40 anni fa scompariva Peggy Guggenheim, indimenticabile protagonista di una stagione artistica indimenticabile

di Mario URSINO

Peggy Guggenheim, collezionista, mecenate e donatrice, prima del suo museo a Venezia

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A quarant’anni dalla sua scomparsa Peggy Guggenheim (1898-1979) [fig. 1] torna a far parlare di sé: già lo scorso anno a Venezia è stata ricostruita in una mostra la sua collezione che fu presentata settanta anni fa alla Biennale di Venezia del 1948 [fig. 2]. Quest’anno, la nuova direttrice del museo Guggenheim dal giugno del 2017, Karol Vail [fig. 3], nipote della celebre Peggy, ha aperto recentemente la mostra Dal gesto alla forma. Arte europea e americana del dopoguerra nella Collezione Schulhof  (26 gennaio-18 marzo 2019) [fig. 4], a sua cura e di Gražina Subelyté.

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Si tratta di un nucleo di ottanta opere che si è aggiunto dal 2012 alle collezioni della Fondazione Solomon R. Guggenheim (zio di Peggy, fondatore del Guggenheim Museum di New York), da un lascito di Hannelore B. Schulhof  (1922-2012), la collezionista che raccolse, insieme al marito Rudolph B. Schulhof (1912-1999), opere d’arte del secondo dopoguerra, dall’Espressionismo astratto al Minimalismo, all’arte Concettuale, includendo artisti americani ed europei,  anche con opere di famosi e più noti astrattisti italiani, come Fontana, Burri, Capopgrossi, Afro [figg. 5-6-7-8].

Perché rivive, ancora una volta, con questa esposizione lo spirito dell’eccentrica Peggy, mi sono chiesto? È il titolo stesso della mostra a richiamare alla memoria gli inizi pioneristici della attivissima Peggy, tra Londra, Parigi e New York negli anni Trenta-Quaranta, quando acquistava opere di artisti  europei dell’avanguardia (in parte già abbastanza noti, come Picasso, Duchamp, Kandisky, Ernst, Arp, Mondrian, Tanguy, Calder, Brancusi, ed altri diversi autori emigrati, sfuggiti dall’Europa delle dittature e dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939); a costoro la Guggenheim aggiunse acquisti di opere di  sconosciuti giovani americani (quando ritornò da Parigi a New York, nel 1941), aspiranti artisti che avevano lavorato in prevalenza per il PWAP (Public Works of Art Project), istituzione creata nel 1933, quale Progetto federale per le opere d’arte pubbliche, intese genericamente come “Pitture Murali” per la decorazione  appunto di edifici pubblici americani per i quali avevano lavorato artisti-studenti, divenuti in seguito famosi come Gorky, Rothko, Pollock, Pevsner, all’epoca completamente ignoti in Europa, e persino poco attraenti per gli stessi collezionisti e musei degli Stati Uniti. Del resto questi pittori e scultori non avevano ancora trovato un loro personale linguaggio, dovendo collaborare ad opere essenzialmente realiste e regionaliste, come quelle di Grant Wood e Thomas Hart Benton, dedicate ai grandi spazi americani, alle decorazioni primitive dei nativi (gli indiani), oppure ispirandosi, talvolta, per un maggiore vigore espressivo, a pitture “esemplate – come scrisse Marisa Volpi negli anni Sessanta – sulle opere degli artisti messicani Orozco e Rivera, che costituivano un precedente in questo tipo di attività”. Insomma una forma di incoraggiamento per giovani artisti americani nel 1933-1934, a seguito della Grande Depressione, con il New Deal del presidente Roosvelt. Invece le opere degli artisti europei, che si vendevano a prezzi abbastanza moderati, vennero acquistati dalla Guggenheim in maggioranza a Parigi (addirittura, lei ha scritto, “una al giorno”) verso la fine degli Anni Trenta. Benchè ella si fosse formata con studi sui pittori italiani del Rinascimento, in particolare veneziani,  sulla scorta degli insegnamenti di Bernard Berenson, fu l’amicizia con Marcel Duchamp dal 1930, come è noto, ad orientarla verso l’arte contemporanea; e, in questo modo, volle così, non solo iniziare il suo collezionismo, ma nello stesso tempo divenire anche gallerista, persino con l’ambizione di fondare un museo d’arte moderna a Londra, quando soffiavano già venti di guerra. Ed è singolare questo aspetto della sua personalità, nell’assecondare il suo intuito didattico, fra conoscenza della tradizione e attrattiva della modernità, che emerge dal suo protagonismo nella frequentazione bohèmien a Parigi di personalità del mondo cosmopolita dell’avanguardia dell’arte e della letteratura (per esempio, l’amicizia stretta con Djuna Barnes, Samuel Beckett, Jean Cocteau), grazie al suo primo matrimonio con Lawrence Vail (1891-1968), figlio di genitori americani, nato a Parigi, scrittore, poeta, scultore, dadaista, intellettuale di spicco nella Parigi degli anni Venti, che sposò Peggy nel 1922, dalla quale ebbe due figli (Sindbad e Pegeen), divorziando dopo otto anni, ma restandone sempre amico e partecipe delle sue mostre finché visse. Fu dunque questo ambiente a fornirle lo stimolo per realizzare, o tentare di realizzare, i desideri di cui sopra, come la Guggenheim narra in brani centrali delle sue memorie, laddove scrive con una naturalezza senza orpelli personalistici, di questa sua intensa attività collezionistica, svolta precedentemente alla sua fama di stravagante miliardaria a Venezia nel secondo dopoguerra, e della quale pare non si sia ma vantata, si direbbe quasi elusa, e quindi tutto sommato (fatto salvo agli specialisti)  ancora poco nota al grande pubblico che affolla oggi l’ineludibile veneziana “Peggy Guggenheim Collection”, di cui si è detto all’inizio di questa nota,  nella sede, oggi divenuta tradizionale meta di un turismo ben informato, in quella che fu  la sua casa-museo dal 1949 al 1979, nel settecentesco Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, non molto distante dalla Basilica della Salute.

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fig 9

Ecco cosa scrive infatti in un elegante e raro suo libro di memorie, in mille copie numerate, Peggy Guggenheim, Una collezionista ricorda,  Edizioni del Cavallino-Venezia, 1956 [fig. 9], con prefazione di Alfred H. Barr jr. (direttore del MoMA dal 1929 al 1943), pagine che si aggiungono alla sua autobiografia, Out of this century del 1946):

Mi era venuto in mente di istituire una galleria d’arte moderna  (la Guggenheim si trovava a Londra nel 1938, n.d.A.) Marcel Duchamp che era stato mio amico per quindici anni, venne in mio aiuto. Non so cosa avrei fatto senza di lui: non sapevo distinguere un’opera dall’altra nel campo dell’arte moderna, poiché la mia educazione artistica si era fermata agli impressionisti. Tra molti pittori e scultori, Marcel mi fece conoscere Kandisky, Tanguy, Cocteau, e Arp”.

Ma per realizzare un tale ambizioso progetto diversi furono gli ostacoli che trovò a Londra, paradossalmente proprio nell’allora direttore della Tate Gallery.

Il surrealismo stava diventando popolare in Inghilterra. La pittura astratta non era per niente apprezzata […]. Mi trovai di nuovo nei pasticci con le dogane inglesi […] non mi permisero di importare  nel loro paese la scultura astratta. Non era considerata arte”.

(Eppure si trattava di opere di Arp, Brancusi, Pevsner, Duchamp, Villon, Laurens, Calder!).

E Peggy, senza mezzi termini aggiunge:

Questo verdetto fu annunciato dal signor Mansen direttore della Tate Gallery” […]. Il suo atteggiamento ci sembrò così atroce che preparammo una petizione firmata da tutti gli artisti inglesi,  fra i quali Henry Moore che doveva anche lui esporre in questa mostra, e la faccenda venne portata alla Camera dei Comuni. Il risultato fu che i poteri del direttore della Tate vennero rescissi”.

In questo modo Peggy poté dare inizio alle mostre nella sua galleria londinese che chiamò “Guggenheim-jeune” al 30 di Cork Sreet W 1. Esposero con grande successo sia lo scultore inglese Henry Moore che il surrealista francese Yves Tanguy [fig. 10], e molti altri (cfr. op. cit. 1956, pp. 23-37). Dopo un anno e mezzo chiuse la galleria, ed ebbe l’idea di fondare un museo d’arte moderna a Londra, con l’aiuto di Sir  Herbert Read (1893-1968), noto storico di arte moderna, critico letterario [fig. 11], nonché direttore del prestigioso “Burlington Magazine”.

 

fig 12

Ma tale progetto non andò in porto, sia per la difficoltà di trovare una sede idonea, anche se erano iniziate delle trattative per ottenere la grande casa stile reggenza a Portman Place del famoso storico dell’arte Lord Kenneth  Clark (1903-1983], sia per l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Questa, in sintesi, è la storia della prima parte del collezionismo di Peggy Guggenheim in Europa.

La seconda fase si svolgerà a New York dove Peggy arrivò nel luglio del 1941, insieme a Max Ernst, poi suo secondo marito. Si mise subito al lavoro:

Alla fine del 1942 aprii a New York una galleria e la chiamai Art of this Century e André Breton mi aiutò a preparare il catalogo che portava lo stesso nome [fig. 12] della Galleria e Frederick Kiesler  (1890-1965, architetto austriaco e designer teatrale, n.d.a) decorò i locali in maniera molto originale e moderna: gli diedi carta bianca con una sola eccezione. Gli dissi che non volevo cornici ai quadri. Egli allora preparò come sfondo per i quadri surrealisti, pareti ricurve di legno di eucalipto e le appoggiò su bastoni da base-ball che servivano da braccio, in modo che i quadri sporgevano di circa un piede dal muro [figg. 13-14]. Nella galleria degli astratti appese i quadri su corde pendenti dal soffitto, così che sembravano galleggiare [fig. 15] […].
fig 13

In aggiunta alla galleria per la mia collezione, avevo altre due sale per fare mostre ed ero sempre in cerca di nuovi pittori sconosciuti. Ogni primavera facevamo una mostra e un giuria (della giuria facevano parte sei persone: Marcel Duchamp, Piet Mondrian, James Johnson Sweeney, James Thrall Soby, Howard Putzel, e la stessa Peggy Guggenheim, n.d.a)  sceglieva i quadri migliori e ai pittori facevamo una personale. Fu così che scoprii Jackson Pollock, Motherwell, Baziotes, Hare, Rothko, Still e altri” (op. cit. 1956, pp. 61-62).

La galleria “Art of this Century” fu inaugurata nell’ottobre del 1942 al 30 West 57th Street di Manhattan [fig. 16], e fu attiva fino al maggio del 1947, con una serie continua di mostre; e in questi cinque anni solo a Pollock ne furono dedicate quattro. Inutile dire che Jackson Pollock (1912-1956) è oggi il più noto e famoso pittore dell’Espressionismo astratto americano. Peggy lo aiutò più d’ogni altro, intendo anche economicamente, con un contratto personale, e tentò inutilmente di farlo curare dall’alcolismo, che lo condurrà alla morte a soli 46 anni in un incidente automobilistico, mentre guidava in stato di ebbrezza.

 E fu lei a farlo conoscere in Italia quando la sua collezione fu esposta a Venezia alla Biennale del 1948 [fig. 17]; e due anni dopo organizzò la prima personale di Pollock sempre a Venezia, Ala Napoleonica, Museo Correr, 1950, con una presentazione sua e di Bruno Alfieri (1927-2008), noto giornalista e critico d’arte. Nel 1958, Pollock fu presentato anche a Roma nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, nella mostra [fig. 18] curata da Nello Ponente e Palma Bucarelli. Certo non fu il solo ad essere beneficiato dalla Guggenheim: quando lei lasciò New York per tornare in Europa nel 1947, e non aveva ancora immaginato di stabilirsi a Venezia con la sua collezione, si preoccupò di sistemare anche altri artisti, innanzi tutto Pollock, naturalmente, presso Betty Person (1900-1982), un’amica collezionista [fig. 19], che dal 1946 aveva aperto una galleria a Manhattan, dove furono accolti anche Mark Rothko, Clifford Still, Barnett Newman, ed altri esponenti dell’Espressionismo astratto.

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Le donazioni di Peggy Guggenheim

Alle attività collezionistiche e di mecenatismo, Peggy Guggenheim acquistava anche per donare, aderendo ad un istintivo desiderio di istruire e diffondere l’arte moderna americana ed europea nei musei, piuttosto restii alle novità, e a istituzioni culturali, soprattutto nel Midwest; e il caso più singolare, a mio avviso, è quello di aver regalato allo IOWA State University, il più grande dipinto di Pollock, Mural, 1943, olio su tela, cm.247×605 [figg. 20-21], quando l’Università non aveva ancora un museo, che solo anni dopo realizzerà.

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fig 21 Peggy con Pollock

La Guggenheim ha narrato come commissionò a Pollock questa grande tela:

“Pollock espose per primo al salone di primavera e quando mi accorsi di quanto era bravo gli feci un contratto e ordinai un murale per la mia sala d’ingresso. Doveva essere di circa ventitre piedi di lunghezza e sette piedi di altezza [….]. Purtroppo era troppo grande per portarlo a Venezia quando lasciai New York, così lo regalai all’Università di Iowa per il refettorio degli studenti. Questo murale è completamente astratto ma sembra rappresentare delle figure danzanti” (op. cit. 1956, pp. 62-63).

(Mural è stato esposto per la prima volta in Italia, a Venezia, presso La Peggy Guggenheim Collection, dal 23 aprile al 16 novembre 2015, fig. 22).

fig 22 sul fondo La Donna Luna del 1942 di Pollock
fig 23

Questo aspetto davvero sorprendente nell’acquistare, e poi donare è forse il meno noto, anche fra gli addetti ai lavori, della personalità della stravagante collezionista americana. Va ricordata perciò a tale riguardo, la mostra a lei dedicata, prima a New York, Solomon R. Guggeneheim Musem, e poi a Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, nel 1987-1988, a cura di due noti studiosi, Melvin P. Lader e Fred Licht, quando quest’ultimo era curatore della collezione veneziana. Significativamente, la mostra venne intitolata Le eredità sconosciute di Peggy Guggenheim. Da Max Ernst a Jackson Pollock [fig. 23]. Era nata da un’idea precedentemente esposta dallo stesso Fred Licht a Peggy, in un colloquio che lo studioso riporta in chiusura del suo saggio in catalogo, Le donazioni di Peggy Guggenheim.

Circa dieci anni fa – ha scritto Licht  (verosimilmente nel 1977, un paio d’anni prima della scomparsa della Peggy, n.d.A.) – in un piovoso autunno veneziano, Peggy stava rileggendo in modo occasionale delle vecchie lettere e delle carte degli anni Quaranta e Cinquanta. Da poco ero ritornato da San Francisco e le dissi come mi ero entusiasmato nel vedere van Doesburg nel locale Museo di Arte Moderna, etichettato “Dono di Peggy Guggenheim”. Ne fu compiaciuta e cominciò a ricordare altre donazioni da lei fatte. Allora mi venne in mente di mettere assieme tutte le opere da lei donate e sparse in giro per il mondo […]. In un primo momento l’idea le piacque […]. Poi improvvisamente cambiò umore. «La gente dirà che devo essere stata stupida a disfarmi di queste cose» […]. Ma nessuna l’ha definita stupida – continua Fred – Unica eccezione fu Bernard Berenson, che dopo aver visto la sua collezione esposta alla Biennale del 1948 le disse: «Avrebbe dovuto venire da me, mia cara, e io le avrei fatto fare dei buoni affari»”.

Berenson si sbagliava di grosso, lui doveva aver pensato ai suoi affari con Isabella Stuart Gardner (1841- 1924), altra bizzarra collezionista che costruì il suo museo a Boston, grazie agli acquisti suggeriti dallo stesso Berenson. Il famoso critico d’arte evidentemente non sapeva che Peggy non aveva mai pensato di fare grandi affari, e infatti le sue vendite furono scarse, occasionali e poco remunerative; lei al contrario comprò molto, convinta (e il tempo le ha dato ragione) di contribuire a far comprendere l’arte del suo secolo agli altri collezionisti, ma soprattutto ai direttori di musei di arte moderna, verso quali fu così munifica con le sue donazioni, come ha dimostrato Fred Licht con la sua mostra sopra citata, realizzata circa dieci anni dopo la scomparsa di Peggy.

In quella mostra, i curatori riuscirono a mettere insieme ben 56 opere di artisti americani ed europei, tutti da provenienti da musei pubblici (21 per esattezza, si veda elenco in cat. cit. p. 25). E fa molto piacere trovare, fra questi, la nostra Galleria Nazionale d’Arte Moderna, alla quale Peggy destinò un interessante Birolli del 1947 (cat. 8), e uno splendido Pollock del 1947 (cat. 41)*; non solo, ma ancora più sorprendente sapere che la Guggenheim acquistò per quasi un decennio, dopo il suo trasferimento a Venezia, anche opere di famosi astrattisti italiani del secondo novecento per donarli a musei americani: una scultura di Pietro Consagra, Senza titolo, 1948, al New Orleans Museum (cat. 11), un singolare gruppo scultoreo in vetro di Lucio Fontana, Costruzione, 1963, Boston, Museum of Art (cat. 19), due bellissime tele del pittore feltrino, Tancredi (Parmeggiani), Composizione, Hatford, Collezione Wadsworth (cat. 50), e Alba a Venezia, Kansas City, The Nelson Atkins Museum of Art (cat. 51), due significative opere del nostro action painter veneziano, Emilio Vedova, Documenta N.2, Hartford Wadsworth Atheneneum (cat. 55), e Grafico astratto, Atlanta, High Museum of Art (cat. 56), confermando ancora una volta la sua innata vocazione didattica, sempre latente nella sua lunga attività collezionistica.

Mario URSINO   Roma Febbraio 2019

*Le donazioni dei due dipini, Renato Birolli, Natura morta, 1947, olio su tela, cm.48×50 [fig. 24], e Jackson Pollock, Sentieri ondulati (Watery Paths), olio su tela, cm.114×86 [fig. 25], furono proposti in dono alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1949 dalla Peggy Guggenheim, tramite un suo amico, tale Vittorio Corrain (“a friend from earliest days in Venice”, come è citato nella biografia, Mistress of Modernism. The Life of Peggy Guggenheim, 2004, p. 295 di Mary V. Deaborn). Dal carteggio intercorso tra il Corrain e Palma Bucarelli, si evincono rapporti strettamente formali e per interposta persona, fra la direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e la collezionista americana, che però si dovettero incontrare almeno una volta alla Biennale del 1948, quando fu esposta la collezione di Peggy. Una rara foto del 1948 mostra la  Bucarelli in visita alla Guggenheim nella sua dimora veneziana [fig, 26],
fig 26
ma i commenti riportati intorno alla foto tratta dalla rete (di cui non si conosce la fonte) ci confermano che i rapporti in seguito tra le due prime donne non dovettero essere stati mai particolarmente cordiali. Comunque dal carteggio sulla donazione si deduce che il rapporto tra le due si conclude molto burocraticamente con un freddo e formale ringraziamento della soprintendente Palma Bucarelli alla Peggy Guggenheim,  per dichiarare di aver ricevuto le due opere, e che esse erano state esposte nel museo con il suo nome: “Le rinnovo i più sentiti ringraziamenti anche a nome del Ministero della Pubblica Istruzione. Distinti saluti. Palma Bucarelli” (dalla nota della Galleria Nazionale d’Arte Moderna del 26 gennaio 1950,  n. 4167, Pos. 2-F, indirizzata alla Signora Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia).
Ringrazio per la sua cortesia il dottor Claudio Bianchi, responsabile dell’Archivio Generale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, per la consultazione del carteggio sopra indicato relativo alla donazione Guggenheim.
Ringrazio la dottoressa Giulia Talamo, direttore della Biblioteca della Galleria Nazionale d’arte Moderna, che sempre cortesemente mi consente la consultazione e il prestito dei volumi di volta in volta a me necessari per le ricerche dei miei studi.