Agostino risarcito; la vera grandezza del maggiore dei fratelli Carracci in un saggio di C. Whitfield (1^ parte; with english text)

di Clovis WHITFIELD

Il ruolo di Agostino nel business della famiglia non ha avuto l’attenzione che merita. Se a suo fratello lui sembrava un pedante mentre cercava di completare il progetto più ambizioso delle loro carriere, Annibale era assolutamente incapace di organizzare se stesso o lo studio in cui lavorava.

Recentemente, la natura della collaborazione di Agostino con umanisti e filosofi a Bologna e Roma è emersa, mostrando l’influenza vitale del pensiero del suo amico Melchiorre Zoppi e dell’Accademia dei Gelati a Bologna, della quale era membro. A Roma trovò un’ ispirazione spirituale nell’antiquario Fulvio Orsini che trascorse la sua vita al servizio del Farnese, morendo proprio mentre il duca Ranuccio sposava Margherita Aldobrandini nel maggio 1600.

Allo stesso modo non dobbiamo sottovalutare cortigiani tale l’amico di Caravaggio, Onorio Longhi, e intellettuali come Pomponio Torelli la cui presenza Annibale trovò così irritante quando sudava sull’ impalcatura della Galleria Farnese. In realtà mentre egli fu l’autore della maggior parte delle pennellate, la sua disposizione pittorica, dall’ordine del quadro alla natura dell’interpretazione delle mitologie classiche, è anche il risultato della collaborazione con Agostino, il fratello maggiore. La sua era una quadratura che non riguardava solo l’organizzazione della prospettiva, ma anche il saper affrontare l’intera gamma delle illusioni che il piano includeva, e la forza poetica delle narrazioni mitologiche non era solo un’antologia casuale dell’erotismo classico, ma un nuovo linguaggio visivo che caratterizzava le storie in modo che nessuno degli autori di imprese del sedicesimo secolo era stato in grado di comunicare, e, non meno importante, la gestione pratica del progetto. La pianificazione di un tale progetto, di per sé un commento e contrappunto alla raccolta della statuaria classica a Palazzo Farnese, avrebbe inevitabilmente avuto bisogno della collaborazione di quanto di meglio presso alla corte di Odoardo: la combinazione dell’erudizione di Agostino e la versatilità del pennello di suo fratello era chiaramente considerata essenziale per il suo successo. Allo stesso tempo Agostino stesso era diventato più pittore, con un crescente desiderio di rivaleggiare con Annibale e con i successi del fratello, ma dopo la sua partenza anche le sue vere creazioni sono finite nella frenesia generale di possedere un qualche lavoro di colui che sopravvisse abbastanza a lungo per sostenerne la gloria, tutta la gloria come Mancini ci dice che voleva per sè. Quindi vale la pena di recuperare la sua Identità, perché se non fu lui il volto della rivoluzione carraccese, ne fu era il  cervello. La rivalità tra fratelli, sempre presente tra fratelli minori e maggiori, fu una frattura duratura, ma si accentuò quando Agostino, invece di essere soddisfatto dell’invenzione del programma e del gestire il piano di lavoro, dell’esecuzione quotidiana e del l rapporto con il committente, volle mettere mano alle invenzioni  e mirava che le sue creazioni venissero considerate allo stesso livello.

Sappiamo che era responsabile  dell’invenzione nelle decorazioni a Palazzo Fava a Bologna, con una particolare enfasi non solo sulla narrazione, dove le sue conoscenze e gli scambi letterari svolsero un ruolo importante, ma anche nella gestione del lavoro quotidiano. È chiaro che il gruppo dei Carracci utilizzò questo metodo anche nelle decorazioni di Palazzo Magnani, dove il trompe l’oeil delle cariatidi si segnala come un aspetto della sua eccellenza, e dove la familiarità con la storia antica è stata parte essenziale dell’impresa. All’inizio dei anni 1590, comunque, Agostino, con opere come l’Ultima Comunione di San Girolamo, iniziava a mettere il suo sigillo come inventore indipendente, vantando un bagaglio intellettuale profondo compreso lo studio dei pittori veneziani e delle altre scuole pittoriche, in modo che egli poteva offrire una vera scelta di invenzioni e una familiarità con altre scuole come dimostravono le sue incisioni. La sua partecipazione al progetto più famoso dei Carracci, dove era il candidato più ovvio per gestire l’operazione grazie alla sua esperienza intellettuale e mondana, è stata però travisata nella misura in cui chi gli sopravvisse nelle attività romana ebbe a tramandare per i posteri questo lavoro come completamente suo. Si trattava tuttavia di una scelta deliberata nelle loro operazioni, tesa a non far riconoscere quali mani individuali fossero presenti in quella che era una produzione collettiva, cioè una scelta per nascondere i vari interventi nel lavoro, quindi è stato sin dall’inizio molto difficile identificare chi effettivamente avesse eseguito le singole parti. Sappiamo comunque che non ci sarebbe stato alcun seguito e che non era certo neanche che la Galleria sarebbe stata completata; Annibale era incapace della gestione che richiedevano progetti tipo la bramata cupola del Gesù e l’assenza di suo fratello avrebbe rivelato quanto fosse dipendente da lui. È anche chiaro che la grande malattia che lo colpì alla fine del 1604 non è stato il primo segno del deterioramento della sua salute: Baglione afferma che dopo aver terminato la Loggia (come chiamava la Galleria) egli era caduto in una “grandissima melanconia” che segnò quasi la sua fine (nota 1), e i progetti e le opere che fu costretto ad intraprendere in seguito furono tutti una sfida quasi insormontabile. Possiamo anche cominciare a capire il motivo della sua personalità artistica devastata quando ci rendiamo conto che il cortigiano di Odoardo Farnese, Don Giovanni de Castro, aveva una motivazione quando addebitò al pittore il costo del suo soggiorno e dell’alloggio, nella situazione di come i Farnese avevano da affrontare i problemi di completare una decorazione mezza finita che avrebbe richiesto ancora sei o sette anni per essere terminata. Ciò può essere stata un’eco di problemi precedenti, perché sebbene Annibale fosse arrivato a Roma nell’estate del 1595, sembra che nulla fosse stato realizzato delle decorazioni principali per cui venne assunto, fino a tre anni dopo, quando suo fratello arrivò a Roma  e prese lui il carico del lavoro. In verità non abbiamo riconosciuto il ruolo reale del fratello maggiore nella Galleria Farnese, né abbiamo cercato quelle “poche cose ma bellissime” che Mancini sapeva che egli aveva dipinto.

 Come risultato parziale della continua produzione nel nome di Annibale mentre era ancora vivo, e anche a causa della manipolazione senza scrupoli del mercato da parte di commercianti  della successiva generazione, l’attribuzione di opere carraccesche venne quasi irrimediabilmente corrotta, e l’artista è riuscito nell’ambizione  che tutta la gloria ne sarebbe sua. C’è una tale gamma di lavori attribuiti ad Annibale, che esiste un precedente per quasi tutte le pitture o i disegni che mostrano una infarinatura dello stile caraccesco, al punto che il lavoro del fratello maggiore è stato piuttosto sopraffatto. Anche la tesi principale dedicatagli più di mezzo secolo fa (n2) ci sembra che puntasse a demolire la sua credibilità e diminuire il suo lavoro e la sua posizione, utilizzando ogni occasione per dimostrare quanto l’autore non fosse in sintonia con l’argomento che aveva scelto. Il soggetto non è stato chiarito neanche dalla comparsa, seguita dopo breve tempo, della principale monografia su Annibale, che ha rinunciato ad ogni possibilità di fare distinzioni stilistiche tra le loro opere. Molte cose hanno infatti cospirato a far sì che l’arte di Agostino Carracci venisse dimenticata, mentre paradossalmente fu in qualche modo lui il membro più importante della famiglia, per lo sviluppo di quella rivoluzione artistica rappresentata dal nome stesso della famiglia. Agucchi ha detto che sia partito da Roma quando la maggior parte del progetto della Galleria Farnese restava incompiuta, a nonostante questo la sua direzione è ancora presente anche in alcune delle decorazioni murali realizzate anni dopo. Quel che è certo è che la tradizione accademica non sarebbe evoluta nel modo che conosciamo senza il suo insegnamento, perché sebbene la magia del tocco di suo fratello era sempre la meta dell’occhio del collezionista, persino  la scuola di Carracci ei suoi seguaci dipendevano più dalla direzione del fratello maggiore. Ancora oggi parliamo delle correzioni di Annibale di figure in composizioni interamente inventate da Agostino, come i due principali affreschi che rimangono come testimonianza del suo lavoro nella Galleria Farnese, mentre la realtà era sempre che la correzione della pennellata sciolta e indisciplinata di Annibale fosse uno degli oneri dell’impresa familiare. Ma questo è come mettere il carro davanti ai buoi, per così dire, la soluzione a questi problemi è dalla fine all’indietro. Un piccolo dipinto di due figure allegoriche “Felicità e Abbondanza”, (88,5 x73,5 cm),  {Fig 1]

Agostino Carracci, Felicity and Abundance. Oil on canvas, 88.5 x 73.5 cm.
On loan to the National Galleries of Scotlan

mi pare una buona introduzione all’opera di Agostino Carracci, perché anche se è stato regolarmente considerato opera del fratello minore, deve senza dubbio essere sua e dall’ultimo anno della sua vita, a Parma. È evidente riconoscibile nel dipinto elencato come di Agostino nell’inventario 1680 della Collezione del Palazzo del Giardino a Parma, e riferito da Malvasia ad Annibale (n4), con il suo pendant ancora smarrito. Esso fu subito riconosciuto da Aidan Weston-Lewis quando apparve in vendita nel 2000 (n5), ed è ora in prestito alle Gallerie Nazionali della Scozia. Il dipinto è incompiuto, o forse venne interrotto dalla prematura scomparsa del suo autore, morto a Parma, il 22 febbraio 1602, all’età di 44 anni. Anche se era riferito ad Annibale in una pubblicazione di Daniele Benati (Bologna, 2009 n6) ,il soggetto e il suo autore erano già stati riconosciuti in articolo di Ann Sutherland Harris su Agostino nel 2000 (n7), grazie ad un gruppo di studi a Windsor e in una collezione privata negli Stati Uniti che sono strettamente legate alla composizione, e infatti ad un secondo disegno di “Fedeltà e di Forza” (n8) che era la probabile pittura compagna,registrata come ‘abbozzato’ nel 1680, ma già mancante dalla collezione nei primi anni del XVIII secolo.

Questi disegni e il quadro stesso sono valide testimonianze dello stile di Agostino e ci consentono di retrodatare altre opere,in particolare le opere da cavalletto per Odoardo Farnese ed i suoi cortigiani in Roma. Ann Sutherland Harris ha già sottolineato la preferenza di Agostino per la penna e l’inchiostro in contrasto con l’uso più prevalente del fratello del gesso o del carbone, o al massimo di inchiostro ed acquerello , e le caratteristiche  d’incisore nelle ombreggiature a linee incrociate ripetute al posto di altre soluzioni grafiche. C’è più di questo, però, e lo sfondo del disegno di Windsor in particolare mostra una formula per una recessione prospettica verso la porta della città, con cavalieri e figure in una distanza scalata simile ad altri disegni chesono di solito dati alla mano di suo fratello.

Ag. Carracci, Fidelity and Strength, pen and ink, Windsor Castle Royal Collection
Ag. Carracci, Abundance and Felicity, pen and ink, 85 by 17.5 cm, Private Collection USA

Questa è la stessa mano dello Studio della Morte di Giuda (Inv. 7436, Loisel No. 739, come Annibale), dove le figure di sfondo sono ugualmente scalate alle distanze nella vista. La visione posteriore del cavallo è un utile dispositivo prospettico che in Agostino ritorna ripetutamente, ed è quasi una sorta di firma. La soldatesca che rientra in città è infatti parte del soggetto, perchè la chiara luce del sole che illumina le mura della città a destra nel dipinto mette in risalto anche le truppe che tornano a casa attraverso la porta della città, con i premi ottenuti (dall’Abbondanza e Felicità)  sottoforma di grano mais e un grappolo d’uva tenuto dalla figura dell’Abbondanza (che sostituisce la Felicità nel dipinto). Va ricordato che Mancini annotò che Agostino dipinse poche cose, in parte a causa di problemi di salute: non solo soffriva di asma, ma era miope e queste considerazioni limitavano le sue possibilità di lavoro su affreschi su larga scala. Si sente che la disposizione da fregio delle figure ha qualcosa a che fare con l’esperienza di Agostino nel progettare cariatidi e altre figure nella quadratura delle decorazioni che i Carracci avevano intrapreso, da Palazzo Fava alla Galleria stessa, ma la prospettiva di archi successivi di pendii è qualcosa che appare un dispositivo aggiunto, come spesso appare nei disegni di paesaggio a penna e inchiostro che gli vengono attribuiti. E il drappeggio e la colorazione hanno un grado di sofisticazione che è il risultato finale delle ricerche lineari ripetute nei disegni, dove replica di frequente certe soluzioni per individuare l’accordo più convincente.

Ag. Carracci, Justice, pen and ink, Windsor, Royal Collection

Naturalmente queste figure allegoriche sono state associate a modelli simili presenti nella Iconologia di Cesare Ripa, ma la prima edizione illustrata di questa fondamentale fonte iconografica venne pubblicata solo nel 1603, dopo la morte di Agostino. Questo fa capire che uno degli intellettuali con cui Agostino era al corrente a Roma sarebbe stato certamente questo autore, che fu artefice della creazione di tabulati con il tipo di soggetti più adeguati e moralizzanti che queste figure esemplificano, in una conversione della tradizione emblematica intellettualmente astrusa cui gli intellettuali del XVI secolo erano legati. Questie signore Greche, spesso con i capelli alla Yulia Tymoshenko, sono figure incontrate spesso nelle sue invenzioni, , quasi quanto quel Cupido che si aggrappa a Pan nella stampa dell’ Amor vincit omnia del 1599, o a quelli del soffitto di Palazzo del Giardino. Le loro pieghe elaborate dei drappi riportano a disegni come quello della Giustizia a Windsor (n9) che sebbene associato alla figura sulla parete della Galleria, eseguita nella fase finale del completamento della decorazione, mostra che le realizzazioni di Agostino continuavano a essere disegnate anche dopo aver lasciato Roma. Il carattere grafico di questa impronta è abbastanza distintivo, ed è certamente sufficiente riportare nella pittura di Agostino il disegno a Chatsworth di una donna seduta in una stanza, ancora un gioco sulla donna seduta con un enfatico profilo “greco”. Questo è sempre stato considerato come un esempio dello stile tardo di Annibale, e come un commento alla sua malinconia al momento della decorazione delle mura della Galleria; ma con la forza delle figure allegoriche che Agostino ha disegnato e dipinto è abbastanza chiaro che questo è invece suo.

Le figure allegoriche si riferiscono naturalmente a quelle dell’Iconologia di Ripa e come pittore erudito Agostino era ancora più esperto per scegliere gli attributi di tali personificazioni, mentre Ripa fu un compilatore piuttosto che un inventore. Questo ruolo illustra il bisogno che si sentiva per un interprete delle idee pensate dai literati in modo che potessero poi essere rappresentate da pittori che non possedevano la cultura che erano chiamati ad illustrare. E mentre c’era una fonte di consulenza pronta per i temi religiosi, la nuova passione per le personificazioni del mondo classico richiedeva una nuova classe di consiglieri, specialmente qualora si trattasse di svolgere in un contesto cristiano i miti pagani.  Molto impegno venne dedicato nel XVI secolo allo studio delle fontii visive, come se si dovesse identificare

Ag. Carracci, A Woman seated in a Room, pen and ink, 270 by 170 mm, Chatsworth, Inv 43

gli elementi chiave a pari degli attributi e gesti dei con santi, e in realtà Ripa arriva alla fine di un’estesa tradizione che ha avuto come fonti monete e medaglie classiche, gli affreschi della metà del secolo dipinti in Vaticano da Ignazio Danti nella Biblioteca Vaticana, e da Alberti nella Sala Clementina. Era un radunatore di immagini e riferimenti al posto di un’interprete, un servizio agli altri per fornire gli abiti e accompagnamenti adatti. Queste figure allegoriche avevano un posto prominente nelle strutture temporanee che accompagnavano eventi come ricevimenti cerimoniali, archi trionfali e naturalmente celebrazioni funerarie – proprio come quelle che accompagnarono il funerale di Agostino, riportato nelle pagine della Felsina Pittrice del Malvasia. Come scrisse Gilio (1564) “Un altra fintione anche hannotrovato [i pittori]; la quale penso che durerà per sempre, ed è il dare forma humana, a l’Honore, e la Virtù … dando forma d’huomo a quelli che nome hanno di maschio; e femmine a chi l’ha di donna … Ma questi tali inventioni mi pare più di Archi Trionfali, che a muri convengono …

 

Queste erano per lo più figure singole il cui significato e gli attributi dovevano essere chiariti con etichette e iscrizioni, ed evidentemente non ci si poteva aspettare che un artista ordinario avesse familiarità con simboli e riferimenti, un esercizio intellettuale simile a quello della impresa del Rinascimento. Il relatore Giovanni Guerra (1544-1618), che lavorò a Roma in parallelo con Ripa, era invece più inventivo (anche se non più di Ripa come pittore), con l’obiettivo di fornire indicazioni formali nei suoi album di disegni per personaggi nella sacre scrittur, e alcuni dei suoi disegni sono simili alle figure allegoriche di Agostino; ma il contributo di quest’ultimo all’interpretazione delle mitologie era ovviamente molto più vario e propone una narrativa piuttosto che individuarne semplicemente i personaggi. Interamente in carattere con il dipinto di Felicità e Abbondanza, come illustrazione della mitologia, è il tondo di Clizia a Cincinnati.

Here Attributed to Agostino Carracci Clytie Oil and possibly tempera on round wooden panel 17 3/4 in. (45.1 cm) diameter Cincinnati Art Museum

Esso è stato ignorato dagli studiosi moderni (a parte Schleier, che nel 1972 (n10) fece un suggerimento, poi ritirato, che fosse di mano di François Perrier). Questo pannello ha un tema raramente descritto, quello della figlia di Oceano e Teti, il cui amore non corrisposto per Helios fu reso perpetuo dalla sua trasformazione in Girasole, che tiene nella sua mano destra. Lei scoraggia il Cupido, che le porta una torcia fiammeggiante, respingendolo con un ramo spinoso. È una ripetizione, in un’altra storia mitologica, della resistenza di Cefalo alle avances di Aurora nell’ affresco che Agostino aveva dipinto nella Galleria Farnese, e ci suggerisce che Agostino avesse un repertorio di materie che poteva impiegare e che non era stato pienamente sfruttato dal fratello a Roma. Al Palazzo del Giardino ripeteva la celebrazione del matrimonio di Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini, al loro arrivo nella loro città natale. Stefano Colonna (n11) ha sostenuto che a questo scopo  rispondeva la famosa decorazione della Galleria, cioè un epitelio che onorasse l’unione delle famiglie Farnese e Aldobrandini, con Ranuccio figurato da Bacco, sposo ad Arianna/Margherita, che nel pannello centrale è incoronato con la corona di stelle, cenno a quelle dello stemma di Aldobrandini; c’è ovviamente meno incertezza sul significato degli affreschi nel Palazzo del Giardino, che illustrano il recente matrimonio attraverso la storia mitologica di Peleo e Teti. E benché sia difficile vedere in questo l’origine del soggetto della Galleria, dato che la scelta della sposa dodicenne di Ranuccio è maturata solo durante il tempo della sua realizzazione, e la Galleria era solo terminata a metà quando il matrimonio avvenne, era invece verosimilmente il pretesto per la decorazione del Palazzo del Giardino a Parma. I dipinti più piccoli che realizzò durante quel soggiorno sono evidentemente pieni della sapienza per cui era celebre, e l’invenzione degli affreschi al Palazzo del Giardino ne è una prova. Mentre ci potrebbero essere alcuni cenni improvvisati alle stelle Aldobrandini che stanno sopra la figura d’Arianna, il progetto della Galleria e la sua recensione enciclopedica della mitologia classica era impresa troppo monumentale per essere il frutto di un’unione improvvisata , pur significativa come fu. Noi non conosciamo quali decorazioni temporanee furono preparate per il matrimonio, tenutosi in San Pietro, ma si trattava di un genere certamente  molto sofisticato ma completamente effimero. Il dipinto ora a Cincinnati fu acquisito (n12) da John Strange, un residente britannico a Venezia (1774-1786) e venne inciso da Bartolozzi, nel 1772 (sembra comunque che pagò il suo predecessore per ottenere il posto, e che era già da tempo In Italia). Il carattere ‘francese’ del dipinto è stato sottolineato dai critici moderni (file museali), ma è assai probabile che esso richiamasse più l’influenza indiscussa che Agostino stesso aveva sulla tradizione accademica francese; l’oscura fonte letteraria nelle “Metamorfosi” di Ovidio è l’esempio tipico del tipo di cultura e sapienza che rappresentava e che portò a Roma al volgere del secolo. Clizia è un’altra variante della ragazza Greca seduta, con il classico ornamento e sandali per abbinare il carattere statuario al vestito che indossa. Il paesaggio sullo sfondo, naturalmente, richiama quello della “Felicità e Abbondanza”, ma anche a quelli delle stampe di Agostino della  serie di “Lascivie”, e anticipa quelle del suo allievo Domenichino all’arrivo a Roma, con la combinazione di natura e architettura, nel profilo lontano della città con torre ed obelisco, che costituiscono un elemento chiave delle sue impostazioni. Il Cupido è anche prossimo ad un altro dei disegni di Agostino, quello del Cupido che porta una spada all’Ashmolean (n13). In questo disegno finito, che è stato collegato ad altri tale la Venere, Vulcano e Cupido in Collezione Reale (n14) vediamo che Agostino impiega un tratteggio a linee incrociate molto vicino a quello che adopera  nell’incisione, e che diviene più intenso laddove l’ombreggiatura è più forte, utilizzando anche il disegno come una definizione ferma per le sue forme. Il disegno della Collezione Reale, che può essere arrivato a Giorgio III dal gruppo  di disegni della famiglia bolognese Bonfiglioli, non è mai stato messo in dubbio come opera di Agostino, e oltre a riecheggiare la sua precedente versione di Venere e Cupido ora a Vienna, il soggetto ne richiama gli affreschi di Parma.

Agostino Carracci Venus and Vulcan Windsor, Royal Collection

Quelli sul soffitto della Galleria in Palazzo del Giardino erano evidentemente ancora in corsod di esecuzione, al pari dellatela con Felicità e Abbondanza, quando Agostino venne a morire, perché il duca Ranuccio lasciò vuoto quel pannello rimasto non dipinto per ricordo del pittore. Il lavoro del soffitto era evidentemente previsto per l’arrivo della nuova moglie del Duca, Margherita Aldobrandini, e non sorprende ritrovare alcuni di quegli stessi argomenti che erano stati impiegati nella Galleria; i Tre Cupidi al centro sono legati ai tre episodi della storia di Peleo e Teti che Bellori ha scambiato con il soggetto dipinto da Agostino nella Galleria. Nella parte destra, il Cupido del pannello centrale del soffitto è chiaramente prossimo, in controparte, a quello che porta la torcia nella Clizia, ma qui il tema che Agostino aveva scelto con questo Amor Letheo che spegne il fuoco della sua torcia nell’acqua, alludeva allo spegnere del fuoco di amori passati, come ha notato Jaynie Anderson nel suo studio della decorazione di Parma (n15), un pensiero radatto per Ranuccio, sposo trentunenne, verso la sua sposa tredicenne Margherita Aldobrandini. Mentre uno degli altri cupidi affila la sua freccia come l’altro nella fucina di Vulcano, quello al centro stringe il suo arco. Il formato ha molto a che fare con il carattere emblematico di alcuni dipinti tardi, ma forse anche con l’esperienza di Agostino di progettare figure per cariatidi e altri luoghi architettonici, ora estesi a soggetti con sfondo paesaggistico. Un disegno per i Tre Cupidi era nella collezione Ellesmere (n. 34, 1972, e ora nel Metropolitan Museum, NY) e rappresenta una tappa abbastanza avanzata nella progettazione, in quanto i contorni sono abbastanza definitiper una pittura piuttosto che per l’incisione; ma presenta ancora delle differenze rispetto all’ affresco finale, e dobbiamo immaginare che Agostino abbia proceduto con un tipo di calligrafia quasi frenetico nel recto dello stesso disegno, con i suoi tre studi per la figura di Teti (o Galatea, come pensò Bellori), semi-reclinata in barca, nelle successive tappe della composizione dei cupidi. Questi disegni, insieme a quelli per le figure allegoriche dipinte a Parma, rappresentano diversi aspetti della gamma delle abilità grafiche di Agostino, che vanno dalla calligrafia fluente dell’esplorazione, alla continua sperimentazione delle pose alternative degli arti, a una più definita risoluzione con insistente finitura grafica. Essi hanno davvero un carattere molto più grafico della gamma dei disegni preparatori di Annibale che conosciamo, che tendono verso una più morbida modalità di gesso, carbone e acquerello.

Probabilmente un altro piccolo dipinto, a Parma,”Perseo e ad Andromeda” (n16) (tavola, 13,9 x 21 cm) è associata agli affreschi del Palazzo del Giardino, come pure sarebbe stato un soggetto idoneo per il pannello che è rimasto non dipinto quando Agostino morì. E’ stato collegato da Hans Tietze ( n17) con la decorazione del Palazzo del Giardino, come sottolineato anche da Jaynie Anderson nel suo articolo (n18) sulla Sala, ma non fugra negli studi principali sui Carracci. Si tratta di uno schizzo, un adattamento dello stesso soggetto al formato bislongo delle incisioni in posizione verticale che a loro volta sono legate alla scena dello stesso soggetto della galleria Farnese.

Ag. Carracci, Perseus and Andromeda, panel, 13,9 by 21 cm Parma Pinacoteca Nazionale

Andromeda ha la stessa posa del Pan nella incisione di Agostino dell’ Omnia vincit amor, ed è il risultato dell’infinita variazione di pose di ninfe in posizioni semi-reclinate nei disegni che sono connessi alla Galatea/Teti nell’affresco di Parma affresco con lei e gli Argonauti. È uno studio importante, perché dimostra che Agostino adoperava questo formato pittorico al posto di un mezzo grafico per elaborare una composizione. Ma è anche collegato, come vedremo, ad altri precedenti composizioni dove Agostino sta essenzialmente traducendo i motivi classici, quasi come se fosse da antiche monete e medaglie, in un’ interpretazione più naturalistica della mitologia. 

Clovis WHITFIELD   (1^ parte)

 Note

1 G Baglione, Vite de’ Pittori, Roma, 1642, p. 108
2 Stephen E. Ostrow, at the Institute of Fine Art, New York University, 1966.
3 G. Campori, ‘un quadro alto br. 1 acceso. 7 1/4, largo br 1 acceso.
4, Una donna a sedere che tiene alla destra un mazzo di Spiche, alla sinistra un grappolo d’uva, e avanti di essa un’alttra femina sedente, di Agostino Carazza ‘Il secondoLa pittura, ancora persa, è stata descritta come segue: Una donna a sedere, che si appoggia sul braccio destro sopra di unoScudo, e avanti di essa vi è un huomo vestito alla romana, con torre, e figura in lontananza il tutto abbozzato ‘. Il primo dipinto è ancora menzionato, ancora come da Agostino in un inventario del 1708 pubblicato da G. Bertini, La Galleria Del Duca di Parma, 1987, p 122, con dimensioni che approssimano a 87,5 di 72,7 cm4 Malvasia, 1841 ed., 1, p. 359 “Un Abbondanza con altra Donna, alto un piede circa ‘
5 Sotheby’s, 6 luglio 2002, Lotto 276 Circolo di Agostino Carracci6 ‘Annibale Carracci, Due opere per un centenario, Museo Civico Medievale, Bologna, 2009. Il disegno di Windsor,Wittkower no 426, Plate 62, è stato incluso come da Annibale nella mostra 2006 Bologna / Roma, VII 29, p. 356/57, mentre il disegno americano originariamente pubblicato da Duncan Bull ‘Dipinti e Disegni Emiliani’, Burlington Magazine, 129,1987, 482/83) è stato incluso (ancora come da Annibale) nello show di Washington NG ‘I disegni di Annibale No. 86 di Carracci.
7 Studi di invenzioni, penne e inchiostri di Agostino Carracci di A. S. Harris, 1582 – 1602 ‘, in Master Drawings, 4, 2000, p.393-424.8 Wittkower, n. 427, repr in A. S. Harris, 2000, cit. Figura. 28.Sopra: Agostino Carracci, Felicità e Abbondanza. Olio su tela, 88,5 x 73,5 cm.9 Wittkower, n. 313, pag. 14010 E. Schleier, “Quelques tableaux inconnus de François Perrier a Roma,” Revue de I’Art, n. 18, 1972, p. 46, n. 42.11 S. Colonna, La Galleria dei Carracci a Palazzo Farnese a Roma, Gangemi, Roma, 2007.12 Strano era l’unico figlio del ricco Sir John Strange, Maestro dei Rolls; Morì a Leyton nel 1799 La pittura è stata inclusa nella mostra di vendita dei suoi dipinti a 125 Pall Mall. Dal 10 dicembre 1789, n. 225, E ancora al Museo Europeo, King Street, Piazza San Giacomo, dal 27 maggio 1799, n. 252, ‘Cupido e Clytie, Un gioiello del gabinetto squisito di Annibal Carracci, inciso da Bartolozzi. » Apparteneva a William Wells che lo prestò Alla mostra britannica Old Masters nel 1828 (n ° 72) ed era in vendita nel 1848 (Christie’s, 12 maggio, Lotto 48), quando è stato acquistato dalla 4 Marquessa di Hartford, per il grande prezzo di £ 215. È rimasto abbastanza a lungoHertford House da pulire e alcuni dei dettagli visibili nella stampa di Bartolozzi sono indossati. E ‘stato ereditato daLady Wallace, e poi lasciata a Sir John Murray Scott, i cui discendenti lo hanno venduto dopo la guerra a Parigi;Acquistato dal Duca e Duchessa di Talleyrand-Perigord, è stato dato al Museo di Cincinnati nel 1952. A parte l’incisione di Francesco Bartolozzi del 1772, pubblicata da John Boydell, fu anche incisa due volte Più nel XVIII secolo dopo aver raggiunto Londra: vedi Annibale Carracci ei suoi incisori, ed. Ecole française de Roma, 1986, p. 295-97. Non incluso nella monografia di Posner del 1971, è stato considerato da lui come francese, forse successivamenteNel XVII secolo (corrispondenza museale). Vedi anche J Spike, Dipinti Italiani nel Museo d’Arte di Cincinnati 1993, n. 10, come da un seguace francese o italiano di Annibale Carracci, 1630s o 1640s.13 penna e inchiostro marrone su carta crema, 206 x 144 cm, disegni dei Carracci nelle collezioni britanniche, ed C. RobertsonE C. Whistler, Oxford e Londra 1996/97 n. 48: là datato al tempo della Galleria Farnese.14 Windsor, Inv. 2303, R. Wittkower 1947, No. 101. In the same show, Oxford and London 1996/97, No. 49:
15 ‘The “Sala di Agostino Carracci” in the Palazzo del Giardino’, in Art Bulletin, LII, March 1970, 1, p. 41-48
16 Published as by Agostino in A G. Quintavalle, Tesori nascosti della Galleria di Parma, 1968 Inv No. 385
17 H. Tietze, ‘Annibale Carraccis Galerie im Palazzo Farnese und seine römische Werkstätte’, Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen der Allerhöchsten Kaiserhauses,, XXVIHeft 2, 1906, p. 129.

English Text (part 1)

Agostino’s role in the family business has not had the attention it deserves. If to his brother he seemed a pedant as he struggled to complete the most ambitious project of their careers, Annibale was completely unworldly and unable to organise himself or the studio he worked in. Recently, the nature of Agostino’s collaboration with humanists and philosophers in Bologna and Rome has emerged, showing the vital influence of thinking from his friend Melchiorre Zoppi and the Accademia dei Gelati in Bologna where he was a member. In Rome he found a kindred spirit in the the antiquarian Fulvio Orsini who spent his life in the service of the Farnese, dying just as Duke Ranuccio would marry Margherita Aldobrandini in May 1600. Equally we should not underestimate those courtiers like Caravaggio’s friend Onorio Longhi, and intellectuals like Pomponio Torelli whose presence Annibale found so irritating as he sweated on the frontline of the Farnese Gallery. In reality while he was the author of the majority of the actual brushwork there, its disposition, from the order of the framework to nature of the interpretation of classical mythologies was also the result of collaboration with his elder brother. His was a quadratura that was not just the organisation of perspective, but one that dealt with the whole range of illusionism that the plan included, and the poetic force of the mythological narratives was not just a casual anthology of classical eroticism, but a new visual language that characterised the stories in a way that none of the authors of sixteenth century imprese had been able to communicate, and not least, the management of the project in hand. The planning of such an project, itself a commentary and counterpoint to the collection of classical statuary at Palazzo Farnese, would inevitably have needed the collaboration of the most learned at Odoardo’s court: the combination of Agostino’s erudition and the versatility of his brother’s brushwork was clearly regarded as essential for its success. At the same time Agostino had become more of a painter himself, with an increasing appetite to rival his brother’s achievements, but after his departure even his actual pictures were subsumed in the general frenzy to have a piece of work from the hand of the one who survived long enough to claim the glory, all the glory as Mancini tells us he wanted. So it is well worth recovering his identity, for if he was not the face of the Carraccesque revolution, he was its brains. The sibling rivalry that was always there between the younger and older brothers was a lasting rift, but it was accentuated when instead of being content to have a business plan and manage the day-to-day running, and the relationship with the patron, Agostino challenged his hands-on inventions and wanted his own creations to be seen on the same level.We know that he was in charge of the invention in the Palazzo Fava decorations in Bologna, with a particular emphasis not only on the narrative, where his learning and literary exchanges played a strong role but also the management of the day-to-day work. It is clear that the Carracci firm used this facility also in the decorations of Palazzo Magnani, where the trompe l’oeil of the caryatids are signalled out as part of his excellence, but the familiarity with ancient history was an essential part of the tendering. By the early 1590s, however, Agostino was beginning, with works like the Last Communion of St Jerome, to make his mark as an independent inventor, and one who had profound intellectual experience as well as close study of the Venetian painters, as well as other schools, so that he could offer a real choice of inventions and familiarity with other schools that his reproductive engravings demonstrated. His participation in the most famous project of the Carracci, where he was the most obvious candidate to manage the operation because of his intellectual and worldly experience, has however been disguised by the extent to which the surviving partner in the business, and posterity, claimed it completely as his work. It was in any case a deliberate policy in their lifetimes to disguise individual hands involved in what was a collective production, and there was a policy in place to disguise the various hands at work, so it was from the start very difficult to identify who actually did what. We know however that there was to be no sequel, it was even uncertain that the Gallery would be completed; Annibale was incapable of the management demanded by projects like the dome of the Gesù, and the absence of his brother would reveal the extent to which he had depended on him. It is also quite clear that the major illness that struck at the end of 1604 was not the first sign of the failure of his health: Baglione says that after he had finished the Loggia (as he called the Galleria) he fell into a ‘grandissima melanconia’ that was almost the end of him1, and the projects and pictures he was pressed to undertake thereafter were all an almost insurmountable challenge. We can also begin to understand his fractured artistic personality when we realise that Odoardo’s courtier Don Giovanni de Castro had a point when he totted up the cost of his board and lodging as the Farneses faced the problems of completing a half finished decoration that would still take another six or seven years to complete. This may have been an echo of past frustration, for although Annibale arrived in Rome in the summer of 1595, nothing practical seems to have been done for the major decorations he was hired to do until three years later, when his brother came along and took charge. Signally we have not acknowledged what the brother’s real role was in the Farnese Galleria, nor have we sought out those ‘poche cose ma bellissime’ that Mancini knew that he had painted. Partly as a result of the continuing production in Annibale’s name while he was still alive, and also because of the unscrupulous manipulation of the market by individuals from the next generation, the attribution of Carraccesque works was almost irremediably corrupted , and the artist had his wish that all the glory would be his. There is such a range of work attributed to Annibale, that there is a precedent for almost any painting or drawing that has a smattering of Carraccesque style, to the extent that the work of his elder sibling has been quite overwhelmed. The major thesis that was devoted to him, now over half a century ago2, seems now to have aimed to demolish his credibility and diminish his work and standing, using every opportunity to demonstrate how unsympathetic its author was to the subject he had chosen. Nor was the subject assisted by its being followed within short by the major monograph of Annibale, which somehow failed every opportunity of making stylistic distinctions between their works. Much has indeed conspired to ensure that Agostino Carracci’s art was forgotten, while paradoxically he was in some ways the most important member of the family for the future of the artistic revolution represented by the family name. Agucchi said that he left the project of the Farnese Gallery when the greater part was still unfinished, but despite this his guiding hand is still present even in some of the wall decorations, done years later. Certainly the academic tradition would not have evolved in the way that it did without his teaching, for although the magic of his brother’s touch was always the goal of the collector’s eye, even the Carracci school and followers depended more on the elder brother’s guidance. We still talk of Annibale’s ‘correcting’ figures in compositions wholly invented by Agostino, like the two major frescoes that remain as evidence of his work in the Galleria Farnese, while in reality it was always correction of Annibale’s loose and undisciplined brushwork that had been one of the burdens of the family business. But this is to put the cart before the horse, as it were, for the solution to these problems is from the end backwards. A little painting of two allegorical figures, of Felicity and Abundance, 88,5 by 73,5 cm, is a good introduction to Agostino Carracci’s work, because although it has been regularly mistaken for his younger brother’s work, it must undoubtedly be his and from the last year of his life, in Parma.It is evidently the painting listed as by Agostino in the 1680 inventory of the Parma Palazzo del Giardino collection 3 and referred to by Malvasia as by Annibale 4, with its companion that is still lost. It was immediately recognised by Aidan Weston-Lewis when it came up for sale in 2000 5 , and is now on long loan to the National Galleries of Scotland. It is unfinished, and may well have been interrupted by its author’s premature death at the age of 44 in Parma, February 22 1602. Although it was the joint subject of a publication by Daniele Benati in Bologna in 2009 6 as Annibale, the subject and its author had already been recognized in Ann Sutherland Harris’s article on Agostino in 20007, because of a group of studies in Windsor and a private collection in the US that are closely linked to the composition, and in fact to a second design of Fidelity and Strength 8 that was the likely companion painting, recorded as ‘abbozzato’ in 1680, but already missing from the collection in the early eighteenth century.
These designs and the painting itself are valuable evidence of Agostino’s style, and enable us to push back to other works, notably cabinet works for Odoardo Farnese and his courtiers in Rome. Ann Sutherland Harris has already emphasized Agostino’s preference for pen and ink in contrast to his brother’s more prevalent use of chalk or charcoal, or at most pen and wash, and the characteristics of an engraver’s use of crosshatching and repeated lines to indicate shadows rather than any alternative graphic solutions. There is more than this, however, and the background of the Windsor drawing in particular gives us the formula for a perspective recession towards the town gate, with horsemen and figures in a scaled distance that is familiar from other drawings that are usually given to his brother’s hand. This is the same hand as the study of the Death of Judas (Inv 7436; Loisel No. 739, as Annibale), where the background figures are similarly scaled to the distances in the view. The rear view of the horse is a useful perspective device that Agostino returns to time and again, and it is a kind of signature. The soldiery returning to the city is in fact part of the subject, for the clearing light of sunshine that illuminates the city walls on the right of the painting also highlights the troops going home through the gate of the town, behind the material benefits held in the form of a sheaf of corn and a bunch of grapes held by the figure of Abundance (who changes places with Felicity in the painting). It recalls that Mancini notes that Agostino painted few things, partly because of health issues: he not only suffered from asthma, but was shortsighted (he was obliged to wear glasses) and this limited his possibilities of large scale fresco work. One senses that the frieze-like arrangement of the figures has something to do with Agostino’s experience of designing caryatids and other figures in the quadratura of decorations that the Carracci had undertaken, from Palazzo Fava to the Galleria itself, but the perspective of successive arcs of slopes is something that is an added device, frequently to be found in the pen and ink landscape drawings that are given to him. And the drapery and colouring have a degree of sophistication that is the end result of the frequently much repeated linear designs that are seen in the drawings, where he repeats solutions frequently in order to identify the most convincing arrangement. Of course these allegorical figures have been associated with similar models in Cesare Ripa’s Iconologia, but the first illustrated edition of that fundamental iconographic source was published only in 1603, after Agostino’s death. It does suggest that one of the intellectuals with whom Agostino was conversant in Rome would certainly have been this author, who was responsible for tabulating the kind of eminently suitable and moralizing subjects that these figures exemplify, in a conversion  intellectually abstruse emblem tradition that intellectuals were so attached to in the sixteenth century. These Greek ladies, often with hairdos à la Yulia Tymoshenko, are characters that people his compositions almost as much as the cupid who clambers over Pan in the Amor vincit omnia etching of 1599, or those of the ceiling in Palazzo del Giardino. The drawings with their elaborate folds lead back to drawings like that of Justice at Windsor 9 , which though associated with the figure on the wall of the Galleria, executed in the final stage of the completion of the decoration, illustrates that Agostino’s designs continued to he drawn upon even after he had left Rome. The graphic character of this penmanship is quite distinctive, and it is certainly enough to bring back into Agostino’s authorship the drawing at Chatsworth of A Woman seated in a Room, again a play on the seated woman with an emphatic ‘Greek’ profile. This has always been regarded as an example of Annibale’s late style, and a comment on his melancholy at the time of the decoration of the walls of the Galleria; but with the strength of the allegorical figures that Agostino drew and painted it is quite clear that this is his. The allegorical figures relate naturally to those of Ripa’s Iconologia, and as a pittore erudite Agostino was even better versed to choose the attributes for such personifications, for Ripa was a compiler rather than an inventor. This role illustrates the need that was widely felt for an interpreter of the ideas thought up by literati so that they could then be represented by painters who did not possess the culture that they were called upon to illustrate. And while there was a ready source of advice for religious themes, the new passion for personifications of the classical world demanded a new class of adviser, especially when it involved relating pagan myths to a Christian context. Much learning had been devoted in the sixteenth century to studying the visual sources, as if there had to be recognizable features, attributes and gestures as with the saints, and in reality Ripa comes at the end of a extensive tradition that had sources in classical coins and medals, the mid-century frescoes painted in the Vatican by Ignazio Danti and the Biblioteca Vaticana, by Alberti in the Sala Clementina. He was an assembler of images and references rather than an interpreter, a service to others to get the costume and accompanying props right. These allegorical figures had a prominent place in the temporary structures that accompanied events like ceremonial receptions, triumphal arches and of course funerary celebrations – even like those that accompanied Agostino’s own funeral, recorded in the pages of Malvasia’s Felsina Pittrice. As Gilio wrote (1564) “Un altra fintione anche hanno trovato [i pittori] ; la qual e penso che durerà per sempre, et è il dare forma humana, a l’Honore, e la Virtù…dando forma d’huomo a quelli che nome hanno di maschio; e femmine a chi l’ha di donna… Ma queste tali inventioni mi pare più ad Archi Trionfali, che a muri convengono…’ These were mostly single figures whose meaning and attributes had to be explained with labels and inscriptions, and evidently the ordinary artist could not be expected to be familiar with and the symbols and references, an intellectual exercise that was similar to that of the Renaissance impresa. The draughtsman Giovanni Guerra (1544-1618), working in Rome in parallel with Ripa, was a more inventive designer (although no more than Ripa a painter), aiming to provide visual cues in his albums of drawings for figures from the scriptures, and some of his drawings look like Agostino’s allegorical figures; but the latter’s contribution to the interpretation of mythologies was obviously much more varied and proposed a narrative rather than simply identifying the actors.
Entirely in character with the painting of Felicity and Abundance, but now in, the vein of the illustration of mythology, is the tondo of Clytie in Cincinnati. It has been ignored by modern scholarship (apart from Schleier, who in 197210 made a suggestion, later withdrawn, that it is by François Perrier). This panel has a rarely depicted theme, that of the daughter of Oceanus and Tethys, whose unrequited love for Helios was perpetuated by her transformation into the sunflower that she holds in her right hand. She discourages the Cupid who brings her a flaming torch by prodding him with a thorny branch. It is a reprise, in another mythological story, of the resistance of Cephalus to the advances of Aurora in the fresco that Agostino had painted in the Galleria Farnese, and suggests that Agostino had a repertory of subjects he could employ that he had not fully utilized by the brother in Rome. At the Palazzo del Giardino he was iconographically repeating the celebration of the marriage of Ranuccio Farnese and Margherita Aldobrandini, as they arrived in what was their home town. Stefano Colonna 11 has argued that this was the purpose of the famous decoration of the Galleria, an epithelium to honour the union of the Farnese and Aldobrandini families, with Ranuccio featured as Bacchus, groom to Ariadne/Margherita, who in the central panel is crowned with the crown of stars that is a reference to those on the Aldobrandini coat of arms; there is obviously less doubt about the subject of the frescoes in the Palazzo del Giardino, which echo the recent marriage with the mythological story of that of Peleus and Thetis. However difficult it is to see this being the real occasion of the theme of the Galleria, as the plan to make the twelve year old girl Ranuccio’s bride only matured during the time of its creation, and the Galleria was only half finished when the marriage took place, it was more obviously the pretext for the decoration in Parma. The smaller paintings he did there are evidently full of the learning for which he was famous, and the invention of the frescoes in the Palazzo del Giardino is evidence of this. While there could be some impromptu references to the Aldobrandini stars above Ariadne, the project of the Galleria and its encyclopedic review of classical mythology was too monumental an enterprise to be the fruit of a passing union, however significant that was. We do not know what temporary decorations were prepared for the wedding, held in St Peter’s, but these were a genre that was evidently highly sophisticated but completely ephemeral.
The painting now in Cincinnati was evidently acquired 12 by John Strange who was British Resident in Venice (1774-1786) and it was engraved by Bartolozzi, in 1772 before he took up the position (he seems however to have paid off his predecessor to obtain the job so was evidently in Italy before). The ‘French’ character of the painting has been underlined by successive modern critics (museum files) but is more likely to be down to the undoubted influence that Agostino himself had on the French academic tradition; the obscure literary source in Ovid’s Metamorphoses is typical of the kind of learning that he stood for and brought to Rome at the turn of the century. Clytie is another variation on the seated Greek girl, with classical ornament and sandals to match the statuesque character of the dress she wears. The landscape background relates of course well with that of Felicity and Abundance, but also with those of Agostino’s prints of the Lascivie, and anticipates those of his pupil Domenichino on arrival in Rome, with that combination of nature and architecture, in the distant profile of the town with a tower and obelisk, that would be the hallmark of his settings. The Cupid is also close to another of Agostino’s drawings, that of the Cupid carrying a sword at the Ashmolean 13. In this finished drawing, which has been linked with others like the Venus, Vulcan and Cupid in the Royal Collection 14 we see that Agostino employs a sophisticated cross-hatching resembling that which he uses in engraving, becoming more intense where shading is appropriate, but also using line as a firm definition for his forms. The Royal Collection drawing, which may have reached George III with the Bolognese Bonfiglioli group of drawings, has never been doubted as Agostino, and apart from echoing his earlier painting of Venus and Cupid in Vienna, is linked also in subject with the Parma frescoes.
Those on the ceiling of the Gallery in Palazzo del Giardino were evidently also in progress like the canvas of Felicity and Abundance when Agostino died, for Duke Ranuccio left the one panel of the five that remained unpainted as a memorial to him. The ceiling was evidently planned for the arrival of the Duke’s new wife, Margherita Aldobrandini, and it is no surprise to find some of the same subject matter as had been employed in the Galleria, and the Three Cupids in the centre are related to the three episodes of the story of Peleus and Thetis that Bellori confused with the fresco Agostino painted in the Galleria. The right hand Cupid in the central panel of the ceiling is clearly close in time to his counterpart bearing the torch in Clytie, but here the subject that Agostino had chosen that this Amor Letheo puts out the fire of his torch into the water in order to extinguish the fire of past loves, as Jaynie Anderson noted in her study of the Parma decoration15, a relevant thought for Ranuccio as a thirty-one year old bridegroom to his thirteen year old bride Margherita Aldobrandini. While one of the other other cupids sharpens his arrow like the one in Vulcan’s forge, the central one strings his bow. The design has much to do with emblematic character of some of the late paintings, but also perhaps with Agostino’s experience of designing figures for caryatids and other architectural locations, now extended to subjects with landscape backgrounds. A drawing for the Three Cupids was in the Ellesmere collection (No. 34, 1972, now in the Metropolitan Museum, NY) represents quite an advanced stage in the design, as the figures’s outlines are quite defined for painting rather than engraving; but it still has differences when compared with the final fresco, and we have to imagine that Agostino went through the kind of almost frenetic penmanship of the recto of the same drawing with its three studies for the figure of Thetis (or Galatea, as Bellori thought) semi-reclining in the boat in other stages of the cupids’ design. These drawings, together with those for the allegorical figures painted in Parma, represent different aspects of the range of Agostino’s graphic abilities, going from the flowing penmanship of exploration to insistent experimentation of alternative poses of limbs, to more definite resolution with insistent graphic finish. They have indeed a much more graphic character than the range of Annibale’s preparatory drawings that we know, which tend towards the softer mode of chalk, charcoal and wash. Another small painting, in Parma, of Perseus and Andromeda16 (panel, 13,9 by 21 cm) is probably associated with the Palazzo del Giardino frescoes, as it would have been a suitable subject for the panel that was left unpainted when Agostino died. It was linked by Hans Tietze 17 with the decoration, as is noted also by Jaynie Anderson in her article18 on the Sala, but has not featured in the main studies of the Carracci. It is a sketch, a adaptation to the oblong format of the upright prints that the did of the same subject, which in turn are related to the scene in the Galleria Farnese. Andromeda has the same pose as the Pan in his print of Omnia vincit amor, and the result of the endless variation of pose of nymphs in semi-reclining poses in drawings that are connected to the Galatea/Thetis in the Parma fresco with her and the Argonauts. It is an important study, for it shows that Agostino was using this much less graphic medium in order to work out a composition. But it is also relates, as we shall see, to other earlier compositions where Agostino is essentially translating the classical motifs, almost as if from ancient coins and medals, into a more naturalistic interpretation of mythology.

 

Note

1 G Baglione, Vite de’ Pittori, Roma, 1642, p. 108
2 Stephen E. Ostrow, at the Institute of Fine Art, New York University, 1966
3 G. Campori, ‘un quadro alto br. 1 on. 7 1/4, largo br 1 on. 4, Una donna a sedere che tiene alla destra un mazzo di spiche, alla sinistra un grappolo d’uva, et avanti di essa un’ alttra femina sedente, di Agostino Carazza’ The second painting, still lost, was described as follows: Una donna a sedere, quale appoggia il braccio destro sopra di uno scudo, et avanti di essa vi é un’ huomo vestito alla romana, con torre, e figure in lontananza il tutto abbozzato’. The first painting is again mentioned, still as by Agostino in a 1708 inventory published by G. Bertini, La Galleria del Duca di Parma, 1987, p 122, with dimensions that approximate to 87,5 by 72,7 cm
4 Malvasia, 1841 ed., 1, p. 359 “Un Abbondanza con altra Donna, alto un piede circa’
5 Sotheby’s, 6 July 2002, Lot 276 Circle of Agostino Carracci
6 ‘Annibale Carracci, Due opere per un centenario, Museo Civico Medievale, Bologna, 2009. The Windsor drawing, Wittkower no 426, Plate 62, was included as by Annibale in the 2006 show Bologna/Rome, VII 29, the US drawing originally published by Duncan Bull ‘Emilian Paintings and Drawings’, Burlington Magazine, 129, 1987, 482/83) was included (again as by Annibale) in the Washington NG show ‘The Drawings of Annibale Carracci’ No. 86.
7 A. S. Harris ‘Agostino Carracci’s Inventions, Pen and ink studies, 1582 – 1602’, in Master Drawings, 4, 2000, p. 393-424.
8 Wittkower, No. 427, repr in A. S. Harris, 2000, cit. Fig. 28.
9 Wittkower, No 313, p. 140
10 E. Schleier, “Quelques tableaux inconnus de François Perrier a Rome,” Revue de I’Art, no. 18,1972, p. 46, n. 42.
11 S. Colonna, La Galleria dei Carracci in Palazzo Farnese a Roma, Gangemi, Rome, 2007.
12 Strange was the only son of the wealthy Sir John Strange, Master of the Rolls; he died at Leyton in 1799. Thepainting was included in the selling exhibition of his paintings at 125 Pall Mall. from December 10 1789, No. 225, and again at the European Museum, King Street, St James’s Square, from 27 May 1799, No. 252, ‘Cupid and Clytie, an exquisite cabinet jewel of Annibal Carracci, engraved by Bartolozzi.’ It belonged to William Wells who lent it to the British Institution Old Masters exhibition in 1828 (no. 72), and it was in is sale in 1848 (Christie’s, May 12th, Lot 48), when it was bought by the 4th Marquess of Hartford, for the large price of £215. It stayed long enough at Hertford House to be cleaned, and some of the detail visible in Bartolozzi’s print is worn. It was inherited by Lady Wallace, and then bequeathed to Sir John Murray Scott, whose descendants sold it after the War in Paris; bought by the Duke and Duchess of Talleyrand-Perigord, it was given to the Cincinnati Museum in 1952. Apart from the Francesco Bartolozzi engraving of 1772, published by John Boydell , it was also engraved twice more in the eighteenth century after it reached London: see Annibale Carracci e i suoi incisori, ed. Ecole française de Rome, 1986, p 295-97. Not included in Posner’s 1971 monograph, it was considered by him as French, possibly later in the seventeenth century (Museum correspondence). See also J Spike, Italian Paintings in the Cincinnati Art Museum 1993, No. 10, as by a French or Italian Follower of Annibale Carracci, 1630s or 1640s.
13 Pen and brown ink on cream paper, 206 x 144 cm, Drawings by the Carracci in British Collections, ed C. Robertson and C. Whistler, Oxford and London 1996/97 No. 48: there dated to the time of the Farnese Gallery.
14 Windsor, Inv. 2303, R. Wittkower 1947, No. 101. In the same show, Oxford and London 1996/97, No. 49:
15 ‘The “Sala di Agostino Carracci” in the Palazzo del Giardino’, in Art Bulletin, LII, March 1970, 1, p. 41-48
16 Published as by Agostino in A G. Quintavalle, Tesori nascosti della Galleria di Parma, 1968 Inv No. 385
17 H. Tietze, ‘Annibale Carraccis Galerie im Palazzo Farnese und seine römische Werkstätte’, Jahrbuch der
Kunsthistorischen Sammlungen der Allerhöchsten Kaiserhauses,, XXVIHeft 2, 1906, p. 129.
18 J. Anderson, ‘The Sala di Agostino Carracci in the Palazzo del Giardino’, Parma, Art Bulletin, 1970, p. 45.