di Elena TAMBURINI
Meravigliosa televisione, che ha consentito di vedere un meraviglioso spettacolo in un meraviglioso, “eterno” teatro.
Meravigliosa televisione in cui si è avuta la consapevolezza dell’eccezionalità di quest’evento e dunque si è riusciti ad eliminare l’ineliminabile pubblicità. Ma soprattutto è meraviglioso questo personaggio che ci fa consapevoli della nostra irrimediabile finitezza, lui che, se non ha vissuto le sette vite concesse a Tiresia, ne può vantare almento tre. Quella di un “normale” intellettuale, se di normalità possiamo parlare per questa davvero indefinibile categoria e se soprattutto possiamo parlarne a proposito di una personalità così versatile come quella di cui ci stiamo occupando; quella di uno scrittore di infinito e non declinante successo, conquistato alla tenera età di 75 anni. E finalmente quella attuale di un autore-attore straordinario, nato a 93 anni sulle orme di quelli antichi di Siracusa e anche di quei comici dell’arte che, coltissimi, solo apparentemente improvvisatori, hanno lasciato dietro di sé solo il ricordo della fama; e nato anche molto prima, entro quella zona primordiale e oscura in cui l’oracolo e il vate e il profeta si confondevano con una prima parvenza d’attore.
Autore-attore di un testo che è in realtà frutto di uno studio personale su un mitico indovino: appunto Tiresia, unico a essere stato uomo e poi donna, cieco per un’imprevedibile punizione di Era (per aver rivelato che nell’amplesso il piacere della donna vince quello dell’uomo 9 a 1) e per un’altrettanto imprevedibile ricompensa di Zeus (di fronte alla stessa rivelazione), dotato non solo del dono della divinazione ma anche della facoltà di vivere appunto sette vite “non continuative”. E numerose ne rievoca Camilleri. Da quella come padre di Manto, la ninfa che ha dato il nome a Mantova, a quella che origina la tragedia di Edipo, a quella dopo la sua morte, quando fu consultato da Ulisse, fino alle rivisitazioni dei tragici e poeti del Novecento: cita Hoffmannsthal e Apollinaire, soprattutto Apollinaire, che ha scritto Le mammelle di Tiresia, l’opera che ha visto la nascita del surrealismo e che proprio lui, Camilleri, ha cercato di mettere in scena dopo il ‘68, ostacolato dalle femministe.
L’indovino cieco continua a citare cultura viva spaziando a volo d’uccello, con la sua inconfondibile voce grave, con il suo bell’accento siciliano. Da attore consumato, ma anche con la “verità” di chi sta fuori del tempo. Sta seduto con il ragazzino della tradizione accoccolato ai suoi piedi, con l’unica risorsa di togliersi e rimettersi gli occhiali o la sicilianissima coppola. Una lampada, un flauto, alcune immagini classiche sul fondo ed è tutto. Dall’alto delle sue molte vite forse non tutte consumate, dà appuntamento al pubblico fra cent’anni, sulle stesse pietre “eterne”. Lo spiazza, il pubblico, parlando ora dal mito, ora dalla poesia, ora dal suo presente: forse è vero che, come lui dice, la cecità gli ha dato maggiore chiarezza. In questa notte incantata d’estate tutto sembra possibile. Anche che alle sette vite se ne possa aggiungere un’altra, quella concessa martedì sera dalla nostra televisione.
Elena TAMBURINI Roma marzo 2019