di Claudio LISTANTI
L’Affare Vivaldi torna in un romanzo di Federico Maria Sardelli
Parlare oggi di Antonio Vivaldi è come parlare di un ‘mito’, perché il nome di questo nostro grande musicista è conosciuto a livello pressoché universale per la larga popolarità che alcune sue composizioni hanno raggiunto presso il pubblico di tutte le estrazioni culturali. Immaginiamo che la quasi totalità delle persone sappia chi è Vivaldi e quale è la sua specialità così come sono parimenti famosi musicisti come Verdi, Beethoven, Rossini, Wagner. (Fig 1)
Ma se la fama di questi ultimi musicisti è stata tale nelle varie epoche altrettanto non si può affermare per Vivaldi. Scomparve a Vienna nel 1741 dopo che dovette lasciare l’Italia perché considerato ormai musicista obsoleto, superato in special modo dalla scuola napoletana che proprio a partire dalla seconda decade del ‘700, grazie a musicisti come Pergolesi, Domenico Scarlatti, Cimarosa (solo per fare qualche esempio) fecero di Napoli il centro gravitazionale della musica europea, ruolo che tenne ben saldo fino al tardo Rossini, vale a dire almeno fino al 1825. (Fig 2)
Di Antonio Vivaldi dopo la morte si persero le tracce. Fuggito da Venezia perché inseguito dai numerosi creditori ai quali era stato costretto a chiedere aiuto economico viste le sue ormai scarse fortune di compositore, non si ebbero più notizie dei suoi manoscritti, unica fonte per eseguire le sue musiche, non essendo ancora sviluppate le edizioni a stampa, manoscritti ai quali Vivaldi aveva dedicato estrema cura, fino a quando non ricomparvero in Italia nella prima metà dl ‘900, praticamente durante l’epoca fascista, dopo essere rimasti nascosti per un periodo di poco meno di duecento anni.
Per colmare la lacuna ‘storiografica’ di questi due secoli Federico Maria Sardelli ha espressamente scritto un libro, l’Affare Vivaldi, (edito da Sellerio nel 2015), una sorta di romanzo storico a carattere musicologico che riesce a mettere in luce quanto avvenne nel periodo in questione. E’ un contributo, questo, di enorme valenza perché Sardelli è uno dei massimi studiosi odierni di Vivaldi ed all’argomento ha saputo mettere a disposizione la grande esperienza ricavata, oltre che dai suoi studi, anche come membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi presso la Fondazione Giorgio Cinidi Venezia e come responsabile del catalogo vivaldiano, il Vivaldi Werkverzeichinis. (Fig 3)
Con questo romanzo Sardelli ha ricostruito con una certa credibilità tutto l’iter, alquanto tortuoso, di questi manoscritti, inventando una storia basata su documenti e personaggi principali certi rendendo omogenea tutta la trama anche quando il tessuto del racconto presentava delle lacune, operando degli opportuni inserimenti di episodi, o azioni, sempre in linea, però, con il pensiero o il modo di agire storici dei personaggi descritti.
Proprio partendo da questo romanzo Federico Maria Sardelli ha creato un concerto spettacolo anzi, un concerto reading, come lui stesso lo ha definito dallo stesso titolo del libro, dove la lettura di alcuni brani del romanzo si alternavano ad esecuzioni vivaldiane eseguite assieme al ‘suo’ complesso Modo Antiquo ed ospitato giovedì 7 marzo nell’ambito della stagione concertistica dall’Accademia Filarmonica, richiamando così presso il Teatro Argentina un pubblico foltissimo che ha apprezzato indiscutibilmente la proposta applaudendo a lungo al termine del concerto. (Fig 4)
La sintesi approntata da Sardelli per questa serata è stata molto efficace per esporre il contenuto di questa sua ricerca per mettere in mostra le varie peripezie che hanno subito questi manoscritti. Dopo la morte di Vivaldi ha ipotizzato che il fratello minore Francesco abbia venduto al patrizio e bibliofilo veneziano, Angelo Soranzo, usando alcuni stratagemmi per eludere le richieste di Artabano Tosi, uno dei creditori più accaniti e, quindi, salvare dalla miseria la famiglia comprese le due sorelle Margarita e Zanetta.
Alla morte del Soranzo gli spartiti passarono nelle mani di altri bibliofili, l’abate Matteo Luigi Canonici ed il conte Giacomo Durazzo allora ambasciatore imperiale a Vienna. Alla sua morte, siamo già nel 1794, il suo patrimonio bibliotecario, dopo essere stato trasferito a Genova città d’origine della famiglia, fu diviso tra i due figli. I manoscritti ‘riposarono’ a Genova fino al 1922, quando morì Marcello uno dei discendenti dei Durazzo, che lasciò tutta la biblioteca, tra i quali i preziosi manoscritti, al collegio San Carlo dei Salesiani nel Monferrato dove, successivamente, nel 1926, quando fu nominato nuovo priore Federico Emanuel che decise di venderli per utilizzare il ricavato per procedere ad una ristrutturazione del collegio.
In questo momento ancora non si sapeva che tra i manoscritti c’erano quelli, preziosissimi, di Vivaldi. Ma è in questo momento che la loro storia cambia. Federico Emanuel ha bisogno di una valutazione per sapere a quanto doveva vendere. La cosa migliore era rivolgersi ad un esperto che fu individuato in Luigi Torri, direttore della Biblioteca Nazionale di Torino (Fig.5) che, fortunatamente, era anche violoncellista, compositore e musicologo che capì subito l’importanza di questo archivio e chiese l’aiuto di Alberto Gentili, compositore e direttore d’orchestra, musicologo e didatta, primo docente di Storia della Musica presso l’Università di Torino. Insieme stimarono che tutto aveva un valore complessivo di 296.000 lire valore enorme per quell’epoca (Sardelli ha stimato che con essi si potevano acquistare dieci appartamenti di pregio nel centro di Torino ed una serie di automobili di quelle prodotte a Torino).
Delle istituzioni italiane dell’epoca nessuno era in grado di capire l’importanza di questo patrimonio e, quindi, di spendere soldi. Occorreva trovare un mecenate, soprattutto per consentire che la proprietà del tutto rimanesse ‘pubblica’. Andati a vuoto vari tentativi presso gli emergenti industriali dell’epoca Gentili coinvolse Roberto Foà, agente di cambio, ebreo come gli stessi Torri e Gentili, che subì un tragico lutto con la morte prematura a poco più di un anno del figlio Mauro; per onorare la memoria dello sfortunato bambino donò la somma necessaria e si costituì, quindi, quella che sarà la Raccolta Mauro Foà (87 manoscritti e 66 opere a stampa). (Fig 6)
Nel catalogare quanto acquisito dalla Biblioteca Nazionale di Torino si accorsero che i manoscritti vivaldiani, molto ben catalogati e numerati, erano solo quelli con numero dispari. Ripresero così le indagini e si capì che quando, nel 1794, fu diviso il patrimonio bibliografico di Giacomo Durazzo fra i due figli ad ognuno fu assegnata la metà dei
manoscritti. Così individuarono che i numeri pari di questo patrimonio era in possesso di un altro discendente dei Durazzo, il conte Giuseppe Maria. Questa volta l’ammontare dell’archivio era di 100.000 lire, somma minore ma sempre ‘importante’. Come in precedenza furono incontrate le stesse difficoltà ma superate con lo stesso modo: la memoria di un figlio scomparso, quello dell’industriale tessile Filippo Giordano, anch’egli ebreo, che piangeva la morte del suo Renzo, avvenuta a dodici anni. Nacque così un nuovo fondo che diverrà la Raccolta Renzo Giordano (167 manoscritti e 145 opere a stampa). (Fig 7)
Qui la storia della ricongiunzione finisce. Ma siamo arrivati agli anni ’30 dello scorso secolo ed il fascismo imperava. Entra in ballo Ezra Pound, (Fig 8) poeta americano molto stimato ma anche ‘propagandista del regime’ come lo definisce lo stesso Sardelli, e la sua amante, Olga Rudge, violinista. Sardelli descrive i modi spicci ed autoritari del poeta facendoci capire come questo personaggio, pur valido ed apprezzato poeta, possa ispirare ai giorni nostri gruppi politici che vorrebbero ripercorrere le tragiche esperienze di quegli anni.
Comunque Pound e Olga Rudge vennero in possesso delle musiche operandone anche delle discutibili trascrizioni ed, in nome dell’italianità, fecero in modo che la paternità di questa preziosa scoperta fu attribuita al Conte Guido Chigi-Saracini fondatore, nel 1932, dell’Accademia Chigiana ed al musicista Alfredo Casella che inclusero alcune di queste musiche nella prima edizione della rassegna ‘Settimana Musicale Senese’ del 1939, quando nessuno degli attori di questa vicenda poterono contestare il colpo di mano: Torri era ormai scomparso e le infami leggi razziali del 1938 costrinsero Gentili, Foà e Giordano a riparare all’estero.
Federico Maria Sardelli è riuscito a rendere affascinante questa serata all’Argentina, grazie alle sue doti di comunicatore ed affabulatore, qualità che derivano certamente dalle sue enormi conoscenze sia in campo musicale sia in quello musicologico e letterario ma anche da quella sua attività di vignettista ed autore satirico; tutte esperienze che raggruppate assieme hanno avuto il merito di produrre uno spettacolo elegante, avvincente e godibile nell’insieme.
La parte musicale scelta è stata di grande effetto e completamento ideale della serata giovando a quell’alternanza di lettura/musica che ne è stato l’elemento portante. In apertura c’era Il Concerto in re minore per violino, archi e basso continuo RV 813 composizione che, per la sua inventiva e l’avvicendamento dei movimenti ha introdotto lo spettatore nel ‘clima’ particolare della serata. Il fatto che il catalogo di Vivaldi sia in continuo aggiornamento è stato dimostrato, poi, dalla proposta di un’opera recentemente rinvenuta a Dresda, la Sonata in sol maggiore per violino, violoncello e basso continuo RV 820, splendido dialogo tra violino e violoncello.
Al centro del programma c’era il Concerto in sol maggiore RV 438 per flauto traversiere, archi e basso continuo, esempio chiaro della versatilità di Vivaldi nell’utilizzo degli strumenti più diversi che ha visto strumentista solista lo stesso Sardelli. Così come non potevano mancare alcuni grandi esempi dell’inventiva vivaldiana, la Sonata in re minore per due violini e basso continuo La Follia op. I n. 12 RV 63 con le strepitose variazioni sul tema di quella ‘sarabanda’ che ispirò, all’epoca, numerosi compositori e il Concerto in mi minore per violino, archi e basso continuo da La Stravaganza op. IV n. 2 RV 279 utilizzato come incontrovertibile finale della serata. (Fig 9)
L’esecuzione, che ha contribuito ad aumentare il fascino della serata, è risultata curata e molto ben equilibrata nell’insieme valorizzata non solo dall’abilità e dall’esperienza direttoriale di Federico Maria Sardelli e dal prezioso contributo di Modo Antiquo formazione che lo stesso direttore ha fondato con la quale dimostra di essere in perfetta ‘simbiosi’ , ma anche della non comune acustica posseduta dalla sala del Teatro Argentina. (Fig 10)
Il pubblico ha applaudito le varie fasi dello spettacolo sottolineando il gradimento con lunghi e scroscianti applausi al termine della serata. Sardelli ha ringraziato gli spettatori con un bis, ottimo suggello per tutta la serata: una Ciaccona nello stile di Vivaldi tratta da un Concerto composto dallo stesso Sardelli.
Claudio LISTANTI Roma marzo 2019