di Nica FIORI
Mortali Immortali. Archeologia cinese ai Mercati di Traiano
In occasione della recente visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping, alcuni giornali, riprendendo il titolo di un film di Marco Bellocchio del1967, hanno emblematicamente scritto “La Cina è vicina”.
In realtà per la maggioranza degli italiani la Cina è una potenza che ha conquistato un indiscusso ruolo da protagonista negli equilibri politici ed economici internazionali, ma è ancora poco conosciuta, situata in un lontano e favoloso oriente, geograficamente non ben determinato. Dell’odierna Cina conosciamo, o crediamo di conoscere, quanto è successo negli ultimi decenni, mentre delle sue remote civiltà e del suo immenso impero, contemporaneo nel periodo di massimo splendore a quello romano, ben poco sappiamo, a meno che non siamo degli studiosi del settore. Un certo avvicinamento è stato comunque possibile negli ultimi anni grazie ad alcune mostre archeologiche (a Roma ricordiamo in particolare “I due imperi. L’aquila e il dragone” ospitata a Palazzo Venezia), che ci hanno introdotto in un affascinante universo dalle innumerevoli sfaccettature, mentre i cinesi hanno potuto ammirare nel 2018 reperti della civiltà romana, grazie alla mostra “Pompei. The infinite life”, organizzata dal Museo Archeologico Nazionale (MANN) di Napoli.
Nell’ambito di questo scambio interculturale, particolarmente interessante ci appare la mostra “Mortali Immortali, tesori del Sichuan nell’antica Cina”, che si tiene nei Mercati di Traiano-Museo dei Fori Imperiali fino al 18 ottobre 2019.
L’esposizione, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e dall’Ufficio del Patrimonio culturale della Provincia del Sichuan, è stata già ospitata nel MANNdi Napoli e a Roma giunge arricchita di 15 pezzi (per un totale di 145, provenienti da 8 musei e istituzioni cinesi), per sottolineare l’amicizia tra Italia e Cina, che si fa risalire a Marco Polo, come è stato ricordato nel corso della presentazione. La Direttrice dei Mercati di Traiano, Lucrezia Ungaro ha evidenziato “la coesistenza armoniosa tra umano e divino” nei reperti in mostra, e la curatrice Wang Fang, archeologa e vice direttrice del Museo di Jinsha, ha illustrato le opere in bronzo, oro, giada e terracotta – databili dal II millennio a.C. (età del Bronzo) fino II secolo d.C. (età Han) – rinvenute soprattutto nei siti di Sanxingdui e Jinsha, che permettono di compiere un percorso straordinario nella vita quotidiana e nel mondo spirituale dell’antico popolo Shu, che ha definito “allegro e molto creativo”.
I reperti sono sistemati ad arte in un allestimento caratterizzato da specchi che sembrano raddoppiare gli spazi e le immagini, mentre documenti multimediali, pannelli e foto d’archivio illustrano gli scavi effettuati, che hanno portato alla luce mura, fossati, tombe e fosse sacrificali dell’età del bronzo. Al pianterreno, nella Grande Aula troviamo un’installazione dorata, sulla quale è delineato in azzurro un disegno che richiama il fiume Yangtze (il Fiume Azzurro), che rende fertile la pianura del Chengdu (la Terra dell’abbondanza per il popolo Shu). Un’altra installazione è costituita da una serie di riproduzioni fotografiche di maschere funerarie di diverse civiltà (compresa quella egizia di Tutankhamon), non così lontane, per l’uso simbolico dell’oro, dalla straordinaria maschera cinese che è stata scelta come immagine guida della mostra.
Oggetti in bronzo di grande raffinatezza e forte impatto visivo, alcuni dei quali mai usciti finora dalla Cina, documentano come la metallurgia fosse una delle maggiori conquiste tecnologiche e sociali di questa antica civiltà sviluppatasi nel Sichuan, che proprio nell’arte della fusione raggiunse un elevato livello artistico. Ammiriamo in particolare alcune figure di animali e una grande maschera (lunga 138 cm) con gli occhi sporgenti, quasi telescopici, che potrebbe essere ispirata alla fisionomia di Cancong, l’antenato del popolo Shu divenuto simbolo della divinità ancestrale.
Questi bronzi dialogano con i marmi di epoca romana dei Mercati di Traiano, mentre il simbolo dorato del Sole cinese sembra quasi aleggiare in alto in corrispondenza della testa di Giove Ammone, raffigurato in un clipeo proveniente dal Foro di Augusto.
La prima sezione della mostra è incentrata sul mondo spirituale della cultura Shu, attraverso il racconto dei riti di un popolo dedito al culto del sole, che nella sua raffigurazione più antica appare come una ruota di bronzo a cinque raggi che, partendo dal centro (il sole vero e proprio reso come una semisfera convessa), si collegano al cerchio esterno che simboleggia l’alone solare. Questo oggetto (periodo Shang 1600-1046 a.C.) ricorda la decorazione bronzea del tetto del Palazzo Divino, rinvenuta nella stessa fossa nel sito di Sanxingdui, città capitale dell’antico popolo Shu, situata non lontano dalla riva meridionale del Fiume Azzurro e scoperta nel 1986. Una scoperta decisamente importante perché smentisce la teoria secondo la quale il Fiume Giallo fosse la sola “culla della civiltà cinese”.
Proviene invece dal sito di Jinsha (capitale successiva a Sanxingdui) lo spettacolare ornamento (in copia) con il sole d’oro e gli uccelli immortali che volano ruotando in senso antiorario nello spazio compreso tra due cerchi concentrici. Questo motivo richiama il “corvo dorato che guida il sole” di un antico racconto cinese e anche l’alternanza delle stagioni, perché gli uccelli sono quattro. Nella stessa vetrina è esposta una rana d’oro, che nelle antiche fiabe rappresenta la fata della luna, di natura femminile, che combatte con il coniglio che vive sulla luna generando l’alternanza tra oscurità e luminosità e il ciclo lunare.
Gli antichi Shu credevano che ogni cosa avesse un’anima e provavano rispetto e devozione per le divinità naturali, per quelle degli animali e per quelle degli antenati. Eseguivano vari riti propiziatori e offrivano sacrifici rendendo partecipi le divinità dei loro sentimenti e dei loro desideri, nella speranza di essere ascoltati. All’ingresso della mostra ci accoglie una figura maschile su piedistallo, con un braccio sollevato all’altezza del petto, con la mano ripiegata nell’atto di sorreggere un oggetto, e l’altra mano all’altezza del viso. Si tratta della copia della più grande statua in bronzo (cm 262 di altezza) conosciuta di epoca Shu. Dato il suo aspetto solenne e impressionante, potrebbe trattarsi di un sacerdote che simboleggia il potere teocratico.
Anche le teste bronzee esposte nella sala a esedra, un nuovo spazio espositivo del complesso traianeo cui si accede dalla Grande Aula, ci colpiscono per l’aspetto ieratico che fa pensare al sacro. Sono tutte diverse: una ha una sorta di corona piatta in testa, un’altra una fascia intrecciata; un’altra ancora indossa un elmo e così via. C’è poi quella che indossa una maschera d’oro, a ribadire il significato divino dell’elemento aureo, evidenziato pure nel disco del sole (quello con gli uccelli immortali, già descritto) e in uno scettro.
Un altro prezioso materiale dalla forte valenza simbolica è la giada. Veniva usata come mezzo di comunicazione con la divinità, oltre che come ornamento decorativo dei nobili, perché si riteneva che questa pietra semitrasparente dai variegati colori assorbisse tutti gli elementi della natura. Al primo piano, dove è ospitata la sezione dedicata alla vita quotidiana, troviamo in mostra diversi oggetti rituali realizzati in giada (databili al 1200-770 a.C.), tra cui i Bi, a forma di disco, simboleggiante il sole, gli Zang, pugnali simbolo di potere rinvenuti nelle tombe dei nobili, e i Cong a quattro sezioni, ovvero vasi con esterno quadrangolare e interno cilindrico, con solchi verticali e orizzontali che dividono l’oggetto in quattro sezioni.
Il Cong rappresenta la connessione tra il Cielo e la Terra, che per gli antichi cinesi erano rispettivamente rotondo e quadrata (visione del mondo che si ritrova nei mandala della tradizione buddista). Vi sono anche vasi rituali in bronzo (tra cui uno a base quadrata con intarsi in argento a figure geometriche e animali) e un grande Cavallo, pure in bronzo, del periodo Han (25-220 d.C.), preceduto da un piccolo stalliere e la copia di uno spettacolare Albero dei soldi in bronzo, ma con la base in ceramica, della dinastia Han. L’albero in generale rappresenta la fiaba di Xiwangmu (Regina Madre dell’Ovest), che viveva sui monti Kunlun, e fu chiamato “dei soldi” per l’usanza di appendervi molte monete per auspicare prosperità.
Diverse statue in terracotta e mattoni con rilievi ci colpiscono per la loro vivacità. Un Guardiano della tomba in ceramica del periodo Han presenta occhi rotondi, grandi orecchie e la lingua che si estende fino all’addome. La statua del Comico (periodo Han), realizzata in fine argilla grigia, ci colpisce per l’aria ilare e festosa. Deliziose sono pure le statuine realistiche di cuochi (con polli o pesci da cuocere), di una danzatrice, di una cameriera e di una donna che allatta. Tra i mattoni a bassorilievo non passa certo inosservato quello rettangolare, realizzato con uno stampo, che raffigura una scena erotica all’aperto, sotto un albero di gelso. Il gelso è la pianta che serve come nutrimento al baco da seta e potrebbe perciò essere messo in relazione con le feste di primavera in epoca Han, quando agli uomini e alle donne era concesso di fare attività sessuale nei campi per propiziare la fecondità.
Nica FIORI Roma marzo 2019
Mortali Immortali, tesori del Sichuan nell’antica Cina
Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali. Via Quattro Novembre 94 – 00187 Roma 26 marzo – 18 ottobre 2019. Orario: tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima). Biglietto integrato Mercati di Traiano + Mostra per i non residenti a Roma: € 16,00 intero; € 14,00 ridotto Biglietto integrato Mercati di Traiano + Mostra per i residenti a Roma: € 14,00 intero; € 12,00 ridotto. Ingresso gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Per i possessori della MIC Card l’ingresso è gratuito.