di Claudio LISTANTI
A Lione Didon et Énée, remembered di Purcell/Kalima tra disapprovazioni e consenso.
Spettacolo di pura sperimentazione che ha prodotto molti fischi e urla ma anche non pochi applausi. La direzione di Pierre Bleuse, la regia di David Marton e la drammaturgia di Johanna Kobusch.
Dopo il successo di Čarodejca, l’opera di Čajkovskij che ha aperto l’edizione 2019 del Festival inserito nella stagione lirica del Teatro dell’Opera di Lione (vedi https://www.aboutartonline.com/grande-successo-a-lione-per-carodejca-di-cajkovskij-per-la-prima-volta-rappresentata-in-francia/, il 16 marzo è andato in scena il secondo spettacolo di questa breve ma interessante rassegna: ‘Didon et Énée, remembered’.
Lo spettacolo nel suo insieme ha messo in mostra, senza ombra di dubbio, tutti quegli elementi di ‘sperimentazione’ che sono il motore principale di un festival come questo, rivolti alla ricerca di una ‘sintesi’ estetica tra quanto ci propone il passato ‘musicale’ con la sua gloriosa e, spesso, trionfale storia, con le poetiche e le espressioni di oggi. Serge Dorny, direttore generale del teatro, presentando alla stampa questo spettacolo, ha voluto sottolineare con forza questo elemento basilare che costituisce, in un certo senso, l’essenza delle nuove proposte.
David Marton per la parte scenica e Kalle Kalima per la parte musicale hanno accettato di buon grado a partecipare ad un incarico di questo tipo, proponendo uno spettacolo che può essere considerato come una vera e propria sfida a tutto l’ambiente, pubblico, critica ed addetti ai lavori, una realizzazione che farà senz’altro parlare di se anche in futuro. La costruzione di questo nuovo spettacolo, intitolato ‘Didon et Énée, remembered’, come si evince dallo stesso titolo, ha come pilastro portante il capolavoro di Henry Purcell (Fig. 1), uno dei più importanti di tutta la Storia della Musica, che il musicista inglese scrisse nel 1689 su un testo del poeta Nahum Tate, intorno al quale è stata interconnessa una parte musicale che Kalle Kalima (Fig 2) ha modellato su misura mutuando lo stile da poetiche musicali contemporanee utilizzando spesso la chitarra, strumento dl quale è apprezzato specialista ma sconfinando anche in altri mondi musicali come ad esempio il jazz.
Siamo ormai entrati a pieno titolo nel Terzo Millennio ed operazioni musicali rivolte alla valorizzazione delle esperienze passate filtrate ad hoc con elementi del presente per creare i presupposti per progetti musicali rivolti al futuro si verificano con una certa frequenza con risultati, spesso, anche molto interessanti. A tal proposito ricordiamo una iniziativa proposta qui in Italia nel 2017 grazie all’iniziativa del festival OperaIncanto di Amelia e Terni e presentata, lo stesso anno, anche nell’ambito di una delle più importanti rassegne italiane di musica contemporanea, Nuova Consonanza, nella quale il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi aveva la centralità assoluta ed era preceduta da Orazi e Curiazi di Giorgio Battistelli e conclusa da Tancredi appresso il Combattimento di Claudio Ambrosini musica, questa, appositamente scritta per dare un seguito al capolavoro monteverdiano e costruire un ponte verso il futuro. Un incontro tra diverse poetiche musicali per trovare una sorta di unitarietà condivisa.
Qui in ‘Didon et Énée, remembered’ la strepitosa musica di Purcell non aveva centralità assoluta né tanto meno l’integralità di quanto contenuto in partitura. Ad essa sono state tolte tutte le parti secondarie per far rimanere in campo solo Didon, Enée e Belinda ed alcuni interventi del coro. Inoltre il piccolo-grande gioiello musicale è stato smembrato in vari episodi per fondersi con le nuove creazioni di Kalle Kalima e di Johanna Kobusch che ne ha curato la drammaturgia, con nuove musiche ispirate a poetiche musicali di oggi, come rock o jazz, ed all’inserimento di nuove parti vocali, Juno, Jupiter e Esprit assieme ad interludi di Erika Stucky.
La particolarità di Dido & Aeneas di Purcell è quello di essere una composizione estremamente semplice condizione dovuta al fatto che l’opera fu scritta su commissione di Josias Priest un maestro di ballo che guidava un collegio femminile a Chelsea dove fu eseguito ma, con la particolarità che gli esecutori, cantanti e strumentisti, erano tutti dilettanti, fatto che condusse Purcell a produrre una partitura del tutto scevra da abbellimenti e virtuosismi specifici del barocco allora in auge, soprattutto con una strumentazione piuttosto semplice ed una abbordabile parte vocale. Tutto ciò non fu un limite perché l’opera possiede caratteristiche musicali e teatrali assai prossimi allo stile di Monteverdi acquisendone tutti i pregi che sono estrema sintesi nell’azione ed illimitato fascino teatrale e drammatico. Tante è vero che dopo alcune riprese nel 1700 sull’opera cadde il velo dell’oblio, proprio perché ritenuta ‘superata’ per riacquistare fortuna a fine ‘800 ed essere così inserita nel novero dei grandi capolavori della musica considerazione che si è consolidata progressivamente fino a raggiungere i nostri giorni.
Per quanto ci riguarda una parte musicale così concepita ci è parsa una sorta di magma sonoro, dove lo ‘smantellamento’ dell’opera di Purcell le faceva perdere ad essa ogni prerogativa in quanto penalizzata dal sezionamento dei singoli numeri musicali al punto di essere soffocata da quanto costruito all’interno di ogni interstizio creatosi, compromettendone così la genialità che il compositore inglese trasfuse alla sua creatura suscitando nell’ascoltatore una certa confusione di base dove la poesia e le grandi invenzioni appartenenti al ‘dorato’ periodo musicale si alternavano a ritmi e colori di oggi producendo tra i due stili una sorta di poco piacevole attrito (Fig 4).
Ma per giudicare nel complesso e, forse, capire con più efficacia i contenuti di questa sperimentazione occorre parlare della parte prettamente visiva, movimenti ed ambientazione scenica senza dimenticare i testi che sono stati utilizzati per integrare quanto Nahum Tate scrisse e quanto, per l’occasione, è stato espunto dal testo stesso.
Il libretto di Dido & Aeneas si ispira alle pagine dell’Eneide, il poema epico che Virgilio compose su commissione per celebrare la nobiltà delle origini di Roma scaturenti dal mondo greco che Enea importò sulla nostra penisola provenendo dai disastri della guerra di Troia. La genialità di Virgilio ha fatto sì che, stranamente, un’opera letteraria che possiamo definire in un certo senso d’occasione, se non di propaganda, producesse un vero e proprio mito come quello dell’amore tra Enea e Didone, finito poi tragicamente.
Oggi nella nostra Europa si vive questo dramma del terzo millennio che è la migrazione, fenomeno che in Italia, soprattutto, produce fermenti sociali e politici anche molto drammatici, per cui il mondo della cultura ha individuato nel capolavoro di Virgilio il terreno fertile per far capire quali siano le cause che spingono un essere umano a lasciare la propria patria per cercare benessere e tranquillità altrove. Infatti si è individuato in Enea la figura del migrante ‘ante litteram’ come fonte principale di ispirazione per cercare di porre all’attenzione del vasto pubblico le cause scatenanti di questo fenomeno (Fig 5).
Molte sono le iniziative culturali in tal senso e la ‘sperimentazione’ vista a Lione è figlia, senza dubbio, di questo modo di vedere il fenomeno e il regista David Marton ha sviluppato il tema concependo un allestimento nel quale il centro gravitazionale era individuabile proprio nel rappresentare i contenuti e i drammi dell’immigrazione. Punto di partenza è stata la scena che vedeva alcuni archeologi intenti ad uno scavo che portano alla luce testimonianze dei nostri giorni, telefonini, computer, pupazzi, animaletti di peluche e tanti altri oggetti, quasi delle reliquie che ci rimandano a quelli che oggi rinveniamo sulle spiagge e nei drammatici naufragi che giornalmente si verificano per restituire intatto un sentimento di orrore per quanto capita che aiuti a trovare anche un modo per cercare che tutto ciò sia dimenticato, non trascurando o obliando il fenomeno, ma come speranza di azioni che portino a tempi migliori.
Johanna Kobusch ne ha approntato, dobbiamo dire con minuzia, la drammaturgia, integrando i versi del poeta Tate, ispirati a Virgilio per contrapporli ai versi scelti dall’opera dello stesso Virgilio per donare solide basi ad un ‘nuovo dramma’ per il quale le scene di Christian Friedländer si sono rivelate ottimali all’economia dello spettacolo così come i costumi di Pola Kardum, le luci di Henning Streck ed i video, strumento molto utilizzato quest’anno al Festival di Lione, di Adrien Lamande .
Per quanto riguarda la parte musicale è stata affidata alla responsabilità del direttore Pierre Bleuse che ha condotto l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Lione ed il Coro diretto da Denis Comtet con una compagnia di canto anch’essa ideale per questa rappresentazione composta da Alix La Saux (Didon), Guillaume Andrieux (Enée), Claron McFadden (Belinda) e da Erika Stucky, Marie Goyette e Thörbjorn Björnsson nelle tre nuove parti, rispettivamente Esprit, Juno e Juppiter (Fig 6).
Finora abbiamo cercato una sorta di neutralità di giudizio nel riferire di questo spettacolo ma dobbiamo però dire che noi che scriviamo siamo prodotto della cultura del ‘900 ed in quanto tali siamo in possesso di un orizzonte estetico musicale, e visivo, che al giorno d’oggi sarà sicuramente giudicato arretrato dagli intellettuali per cui dobbiamo dire che uno spettacolo come questo non ha scaldato i nostri cuori, trovandolo un po’ macchinoso nell’insieme e, a tratti, incomprensibile nello sviluppo scenico, faticoso anche da seguire, forse anche per la decisione di eseguirlo senza intervallo per due ore filate di musica che ne appannano un poco la percezione anche se, e lo ribadiamo con forza, è stato espressione della necessaria ‘sperimentazione’ che anima una manifestazione musicale come quella di Lione
Questo è il nostro punto di vista ma non un assoluto punto di vista come, alle volte pretendono di enunciare molti critici, e poi, magari, la nostra sensibilità non è in linea con i tempi (Sagra della primavera docet) e tali forme di spettacolo segneranno, nel campo del teatro in musica, gli anni a venire.
Al termine, come per tutte le innovazioni, ci sono stati giudizi particolarmente contrastanti da parte del pubblico nel quale una parte ha sonoramente fischiato e contestato la messa in scena e la proposta tutta ed una parte ha applaudito, forse blandamente o ‘per stima’ come si diceva una volta ma, chissà, se sono proprio loro ad aver visto giusto?
Claudio LISTANTI Lione marzo 2018