di John T. SPIKE
John Thomas Spike (New York, 1951) è uno studioso storico e critico d’arte tra i più conosciuti a livello internazionale; vive a Firenze, si è addottorato ad Harvard con studi su Mattia Preti di cui ha redatto il catalogo generale delle opere; è autore di determinanti ricerche e pubblicazioni oltre che sul mondo del barocco, su artisti del Rinascimento fiorentino quali Masaccio e Beato Angelico; ha firmato una importante monografia su Caravaggio che è stata più volte ristampata; ha diretto la Biennale d’Arte contemporanea di Firenze; collabora con numerose riviste italiane ed internazionali ed ha insegnato nelle più prestigiose università statunitensi; è consulente di varie istituzioni museali; ha organizzato e partecipato a mostre, convegni ed iniziative editoriali, ma della sua multiforme e vastissima attività nel campo della storia dell’arte non è possibile dar conto in questa sede. Con questo saggio inizia la sua collaborazione con About Art.
Appunti per la lettura della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco
Nativity with Saints Lawrence and Francis, Palermo, 1609
Cinquant’anni dopo il furto della Natività di Palermo (La tela venne trafugata tra il 17 e il 18 ottobre 1969, ndT) le voci sul suo recupero sono diventate più frequenti, anche se la triste verità sembra essere che il dipinto è andato perduto per sempre. Bernard Berenson, che non era del tutto favorevole all’arte di Caravaggio, pensava che questa pala d’altare fosse una delle più belle del Merisi. Gli storici dell’arte della mia età (e altri più giovani) hanno visto questo dipinto solo nelle fotografie. Forse a causa della sua scomparsa, la Natività di Palermo ha mantenuto una reputazione fuorviante come una pala d’altare convenzionale del tipo sacra conversazione. Un esame più attento rivela, al contrario, la sua straordinaria originalità[1].
Tra luglio e ottobre 1609, Caravaggio indugiò abbastanza a lungo a Palermo per completare una notevole Natività con i santi Francesco e Lorenzo per l’oratorio aristocratico della compagnia di San Lorenzo[2]. Il mistero più gioioso del cristianesimo, la Natività, celebra la venuta di Dio nel mondo per salvare l’umanità dalla morte. A livello più letterale, la pala d’altare sembra avvicinarsi il più possibile alla idea del rappresentare l’evento reale della nascita.
Mentre Maria contempla il frutto divino del suo grembo, un angelo scende uno stendardo che proclama: “Gloria a Dio in cielo“[3]. Questa frase evangelica riguarda l’annuncio ai pastori, che però non è in realtà il soggetto di questa pala d’altare, ma è stata volutamente evocata da Caravaggio, per ragioni che vedremo di seguito. Con la mano destra, l’angelo punta enfaticamente verso l’alto, creando un ponte vivente tra Dio in cielo e il figlio di Cristo nel mondo. Nella teologia cristiana, la Vergine Maria è il locus vivente attraverso il quale passa il Logos divino per assumere la sua incarnazione umana. Ci sono pochi precedenti nell’arte che rappresentino la Madonna in una posizione così evidente di parto.
Questo realismo sorprendente, quasi aggressivo, è stato abilmente ammantato da Caravaggio nella rassicurante apparenza di un soggetto completamente diverso:
la Madonna che si inginocchia in adorazione davanti al Bambino reclinato a terra, un’immagine basata sulla visione di Santa Brigida. Questa posa è stata adottata così spesso nei dipinti del Rinascimento che non riusciamo a notare nella Natività di Palermo che le mani di Maria non sono strette in preghiera come era tradizione. In realtà, ella appoggia una mano sul suo addome disteso. Questo gesto esplicito indirizza la nostra attenzione verso il neonato che giace supino davanti alle sue ginocchia, come se le fosse stato consegnato qualche istante prima. E infatti, come nessuno ha mai notato, piuttosto che incline all’adorazione, la Vergine Maria sembra immersa nella fatica post partum. Caravaggio dipinge molto poco della stalla rustica nella Natività di Palermo, al contrario della Adorazione dei pastori di Messina, in cui si enfatizzano la polvere terrena della creazione e il legno della Croce. Il carattere meditativo della Natività è confermato dalla rappresentazione di santi che vissero molto tempo dopo la nascita di Cristo. Questi personaggi rispondono in vari modi al mistero centrale. San Lorenzo, diacono e martire della chiesa primitiva, osserva pensierosamente il miracolo mentre si appoggia al suo attributo, la graticola di ferro. Protettore di librai e bibliotecari, questo santo era amato dagli umanisti. A destra, San Francesco d’Assisi china la testa e stringe le mani in devota adorazione. Ed in effetti, l’oratorio di San Lorenzo era amministrato dai frati francescani osservanti. Il giovane seduto in primo piano è stato identificato come San Giuseppe già a partire dalle Vite de’ pittori di Bellori (Roma, 1672)[4]. Tuttavia, a parte la sua vicinanza alla madre e al bambino, in ogni caso la sua giovinezza, sia pure con i capelli bianchi, non consente di riconoscerlo come l’anziano marito di Maria. Elegantemente vestito con le calze attillate, il giovane pastore (?) si gira per parlare con un vecchio dall’aspetto perplesso, che ha tutti gli attributi di Giuseppe che invece mancano nello spavaldo giovane. Certo non è decoroso che qualcuno posizionato così vicino alla Madre e al Bambino distolga lo sguardo da loro, mentre invece sembra indicarli in modo ambiguo con la sua scarpa, che quasi sfiora il Bambino Gesù sdraiato.
Questa conversazione tra Giuseppe e un pastore irrispettoso era un motivo caratteristico delle icone greche e bizantine della Natività.[5]
Il tema è conosciuto come i dubbi di Giuseppe sul miracolo della nascita verginale, dubbi incoraggiati dal diavolo che si presenta proprio sotto le spoglie di un pastore.
Prendendo in prestito un tema da un’icona e aggiornandolo, era del tutto coerente con il noto interesse del Caravaggio per l’iconografia paleocristiana e, inoltre, appropriato per i suoi mecenati. La pala della Natività era destinata in effetti a un oratorio nel cuore del quartiere greco di Palermo.[6] I suoi patroni ecclesiastici, i francescani osservanti, furono diretti in Sicilia dal loro primo generale, fra Bonaventura Secusio, nominato in quel periodo Arcivescovo di Messina e prima ancora patriarca di Costantinopoli (7). Il tema del disorientamento di Giuseppe avrebbe affascinato Caravaggio in qualsiasi momento della sua carriera, ma soprattutto nell’ultimo anno della sua vita, quando affrontò la fallibilità dei santi nei dipinti della Maddalena penitente e della Negazione di San Pietro. Il giovane senza volto in questa Natività richiama l’imperscrutabile ambiguità delle sue prime opere che rappresentano tranelli e insidie. Pur onorando la fede di Lorenzo e Francesco nelle manovre imperscrutabili di Dio, la pala d’altare di Caravaggio mostra anche simpatia per i dubbi umani.
John T. SPIKE Firenze maggio 2019
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