In ricordo di Mario Alberto Pavone, un Maestro come pochi. La figura e l’opera dello studioso nel commosso ricordo delle allieve.

di Simona CAROTENUTO & Manuela D’ANGELO

Non è semplice parlare al passato di qualcuno che per noi continua ad essere presente

e così ci piace pensare che sia solo impegnato ad inseguire qualche sconosciuto artista in uno dei suoi tanti viaggi di studio.

Il viaggio, infatti, era la sua dimensione ideale, il momento in cui si prospettava l’opportunità di esplorare nuovi luoghi e contesti che, oltre ad offrire la possibilità di osservare l’arte dal vero, diventava l’occasione per nuove interessanti scoperte.

Ha conseguito la laurea in lettere Moderne nel 1970 all’età di ventuno anni presso l’università di Napoli, dopo aver abbandonato gli studi in Giurisprudenza, proprio come Francesco Solimena – l’artista cui avrebbe dedicato gran parte dei suoi studi – per seguire la sua passione per la storia dell’arte.

L’attività di ricerca, condotta da sempre con entusiasmo e dedizione, è stata sin dall’inizio al centro dei suoi principali interessi, così come la sua attenzione per il territorio che ha fornito numerosi spunti di ricerca e ha posto le basi per la riscoperta di pittori del Sei e Settecento, gravitanti nell’orbita di Luca Giordano e di Francesco Solimena, in un rapporto di continuo interscambio tra centro e periferia.

Questa sua particolare attitudine ha trovato ampio riscontro già a partire dai suoi primi studi condotti negli anni ‘70, quando ancora borsista a Napoli con Ferdinando Bologna, ha rivolto la sua attenzione a Paolo De Majo, realizzando una monografia sull’artista, in cui ha posto l’accento sulla sua produzione all’ombra del maestro e sullo stretto rapporto tra pittura e devozione. Quest’ultimo aspetto ha trovato continuità nella poderosa Enciclopedia Bernardiniana (1981), realizzata insieme all’amico Vincenzo Pacelli, e nei successivi studi iconografici su Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Pantaleone, San Sossio e San Gennaro.

Nel 1980 il suo contributo monografico su Angelo Solimena, ha consentito di tracciare un profilo esaustivo sull’artista e attraverso l’analisi della sua produzione e del suo percorso formativo, è stata sviluppata ulteriormente la traccia fornita da Ferdinando Bologna in merito all’individuazione di episodi di collaborazione con il giovane figlio Francesco, che ha posto le premesse per un approfondimento successivo tenutosi in occasione del convegno e della mostra di Nocera Inferiore (1990), dedicata ai due pittori.

Ricercatore confermato dal 1981 presso l’Istituto di Storia dell’arte a Napoli, ha continuato a dare ampio spazio al territorio attraverso i contributi pubblicati sia nei Documenti sull’Abruzzo Teramano (1983/86), sia nel volume Napoli Scomparsa nei dipinti di fine Ottocento (1987), molto apprezzato dai turisti, senza trascurare il suo interesse per la pittura napoletana, come si evince dagli interessanti approfondimenti sugli artisti del Seicento quali Carlo Sellitto, Massimo Stanzione, Onofrio Palumbo, Francesco Guarini, Giacomo Farelli e Giovan Battista Beinaschi.

Nell’anno accademico 1993/94 è approdato come professore associato di Storia dell’arte moderna presso l’Università di Trieste, per poi trasferirsi presso l’Università di Salerno nell’anno accademico 1994/95.

Gli studi condotti negli anni ’90, confluiti nel volume Pittori napoletani del primo Settecento. Fonti e documenti (1997), hanno dato ampio spazio all’analisi filologica delle fonti, alla ricerca documentaria e al riscontro attribuzionistico, consentendo di riesaminare e di riscoprire artisti napoletani del Seicento e del Settecento, in stretto dialogo con Francesco Solimena e con Luca Giordano, oltre a fornire un profilo biografico di pittori poco noti come Nicola Malinconico e Tommaso Fasano.

In tale contesto però, è proprio al Solimena che è stato rivolto un particolare interesse per segnalare le novità documentarie, le aggiunte al catalogo delle sue opere e le precisazioni cronologiche dei progressivi interventi pittorici. Dall’indagine è emerso, inoltre, il rapporto privilegiato dell’artista con il cardinale Vincenzo Maria Orsini (Papa Benedetto XIII), proseguito anche con alcuni dei suoi allievi, e il ruolo della sua bottega nel corso del Settecento, anche in rapporto alle relazioni con le botteghe coeve, in cui sono stati identificati numerosi discepoli, tra i quali: Andrea D’Aste, Paolo Di Falco, Francesco De Mura, Onofrio Avellino, Michele Foschini, Paolo De Majo, Lorenzo De Caro, Sebastiano Conca, Corrado Giaquinto.

Il lavoro di ricerca in ambito territoriale, proseguito instancabilmente, ha trovato maggiore impulso quando nel 2005 divenuto professore ordinario per gli insegnamenti di Storia dell’arte moderna e Iconografia e Iconologia, ha recuperato quanto già prodotto in merito alle aree della Costa d’Amalfi, e dell’Agro Nocerino-Sarnese, e ha esteso le sue indagini nella Valle dell’Irno, del Cilento e del Vallo di Diano, puntando sulla riscoperta di inediti percorsi di artisti attivi tra il centro e la periferia.

Proprio tali circostanze lo hanno indotto a ricoprire la carica di Vicepresidente dell’Associazione Centro studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale “Giovanni Previtali”, fondata dall’amico Francesco Abbate nel 2003, offrendo costante sostegno alle pubblicazioni dei volumi annuali del Centro, e alla promozione delle iniziative culturali rivolte alla valorizzazione e tutela del patrimonio artistico, nell’intento di sensibilizzare e coinvolgere un numero sempre maggiore di giovani studiosi.

Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali e ha contribuito alla catalogazione dei dipinti dal ‘400 al ‘700 della Pinacoteca Provinciale di Salerno, di quelli di Villa Guariglia a Raito e della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Trieste. Ha collaborato a numerose mostre: Civiltà del ‘600 a Napoli (1984), Angelo e Francesco Solimena: due culture a confronto (1990), Da Padovanino a Tiepolo (1997), Visibile Latente (2004), Capolavori dalla Terra di mezzo. Opere d’arte dal Medioevo al Barocco (2012), Sveto i profano (2015), ed è stato curatore di: Metamorfosi del Mito. Pittura barocca tra Napoli, Genova e Venezia (2003), Il collezionismo dei Ruffo (2005) e La fortuna del barocco napoletano nel Veneto (2010).

Una vita spesa per l’arte!

La grande eredità che ci ha lasciato non riguarda solo l’immenso bagaglio di conoscenze, ma la sua infinità umanità, la disponibilità, la generosità e la sensibilità che lo contraddistinguevano. Tali caratteristiche, unite al suo spirito ironico di eterno sognatore, gli hanno sempre consentito di instaurare rapporti di stima e di affetto con i suoi allievi.

Amava stare tra i giovani con i quali riusciva a trovare nuovi stimoli e a divertirsi con la massima spontaneità, vivendo sempre con leggerezza e mai con autorità il suo ruolo di docente.

Prediligeva i contesti informali, quelli che non davano troppo nell’occhio, non preferendo essere protagonista. La sua umiltà e la sua semplicità si coglievano anche in questo, nel suo modo di essere, senza sovrastrutture.

Ha sempre seguito con interesse il lavoro scientifico dei suoi allievi, incoraggiando con un atteggiamento paterno e leale, a perseguire con tenacia gli obiettivi prefissati nel rispetto delle ricerche condotte dagli altri studiosi. Mai altero e aperto al confronto, è stato in grado di creare un ambiente di lavoro favorevole, in cui il dialogo tra allievi e colleghi diventava un momento di proficua collaborazione e, questo atteggiamento, ha fornito a ognuno di noi gli strumenti per trasformare quelle semplici conoscenze in legami di solida e duratura amicizia.

I suoi insegnamenti si riflettono anche nella metodologia che ci ha trasmesso, in quella costante e continua ricerca estetica di “vedere e rivedere” l’opera d’arte per allenare l’occhio e, attraverso opportuni confronti, giungere a possibili attribuzioni, secondo quanto aveva imparato durante la sua formazione.

Ogni nuova acquisizione diventava motivo di gioia condivisa perché il suo unico interesse era quello di dare il giusto merito agli studi condotti dai suoi allievi e trasmettergli l’entusiasmo per la ricerca.

La sua forza ha costantemente risieduto in questa sua capacità di apertura verso gli altri e la vita stessa, sempre pronto a lanciarsi in nuove sfide e a godere dei momenti felici che gli si presentavano, e tali caratteristiche lo hanno reso una persona speciale, gioiosa, fuori dal comune e originale nel pensare e nell’agire.

Nel suo modo di vivere ha spesso dimostrato come la libertà dagli schemi e dall’ipocrisia abbia sempre rappresentato un valore in grado di aggiungere ricchezza all’esistenza, e come essa sia al di sopra di qualsiasi giudizio ed errore.

Ci piace ricordare il suo sorriso mentre canticchiava una canzone latina dal titolo “Vivir mi vida”, che tra le tante stravaganze, era diventata il suo motivo ricorrente, di ritorno da uno dei suoi ultimi viaggi, e che ben riusciva ad esprimere il senso della sua gioia di vivere e della sua filosofia di vita.

Aveva ancora tanti progetti da sviluppare con noi, e un programma ben preciso per il suo prossimo pensionamento che avrebbe concluso nel modo migliore la sua lunga e impegnata carriera accademica.

Quello che a noi oggi resta, oltre al peso della sua assenza, è il compito di non dimenticare quanto abbiamo imparato in questo lungo percorso in sua compagnia, avendo avuto la fortuna di conoscere e lavorare con un Maestro piuttosto singolare che ha saputo trasmetterci dei grandi insegnamenti umani e scientifici.

Buon viaggio caro prof.

Simona CAROTENUTO e Manuela D’ANGELO    Salerno maggio 2109