La Istallazione, un tema performativo che non descrive: è essa stessa il compimento di un’azione

di Franco LUCCICHENTI

Riflessioni di un “inaddetto” ai lavori sulle installazioni.

Varcare la soglia di uno spazio che custodisce invenzioni formali diverse dalle tradizionali  opere d’arte è come entrare in un territorio sconosciuto alla scoperta di inaspettate possibilità della materia di provocare  meraviglia.

Penso che il significato dell’esplorazione sia nel succedersi delle COSE COLLOCATE più che nelle singole installazioni. Inoltrarsi nel percorso di visita  porta poi ad uno stato di attesa di un evento conclusivo che non accadrà.

L’installazione non è conclusiva ma semmai esclusiva.

Il labirinto topografico si interiorizza  disorientando l’osservatore. Musei, gallerie, padiglioni, non contengono normali sculture, quadri appesi al muro, bassorilievi, disegni,  ma installazioni di cose che possono anche essere quadri, sculture e altro ma il valore emozionale sta nell’insieme e nella apparente casualità compositiva delle parti che la formano. Le installazioni sono per lo più “NON” LUOGHI che non sono  luoghi immaginari, ma luoghi estranei a qualsiasi contorno  estetico e culturale e come tali assumono significato solo se il visitatore in qualche modo li abita.

Non esiste in genere nessun rapporto tra il luogo della mostra e il “non” luogo mostrato.  l’installazione è fuori del mondo come il visitatore che per un momento gli appartiene e ritorna al mondo solo quando viene smontata  e distrutta. L’opera-installazione ha alla fine l’obbiettivo di determinare nell’osservatore uno “spaesamento” esistenziale che significa appunto smarrimento,  estranietà, sconcerto, indifferenza.

L’installazione è la periferia dell’arte.

Volutamente marginale e dal significato nascosto rappresenta il limite oltre il quale non c’è più niente da inventare e il fare arte si annulla nella futilità.  Ho scelto a caso pochi esempi di installazioni da osservare, non serve citare dove, quando sono state esposte e chi è l’autore, entrerei in contraddizione con quanto accennato.

L’autore può essere artigiano, architetto, artista, elettricista, arredatore, falegname, meccanico, uomo qualunque, non è comunque riconoscibile dall’opera, il luogo dove sono esposte raramente ha significato, il tempo è assente.

L’opera fig 1 presenta un grande pannello che supporta nove riquadri dai tenui colori pastello. Nei due centrali è scritto in italiano e in inglese “non aver paura – tutto va bene“.

fig 1

La prima cosa che viene in mente è la paura che possa cadere sul pannello l’areatore a due braccia posto in alto. Poi pensi che l’areatore è intrinseco all’opera e fa da coronamento. Dopo capisci che probabilmente il pannello con i nove riquadri, forse rettangoli “aurei” sostanzia una serena distensiva atmosfera coerente con la  scritta “non aver paura”.

Al contrario la fig 2 presenta un minaccioso macchinario chiuso in una cella vetrata che sembra costruito per raccogliere sangue sparso sul pavimento.

fig 2

Qui bisogna “aver paura”  l’oggetto appare chiuso in una gabbia come per impedirne l’uscita.  Intorno i visitatori osservano incuriositi. Suonano bene i celebri versi di DanteAhi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nl pensier rinova la paura” La abbagliante illuminazione bianca da un aspetto spettrale al non luogo.

Nell’immagine della foto 3 cala la notte.

fig 3

Un villaggio o un quartiere in scala ridotta sembra un plastico per far giocare bambini con le piccole auto. Un luogo finto, atmosfera notturna, luci trapelano dall’interno delle case. Sembra una cittadina dell’America profonda. Ricorda le suggestioni dei dipinti di Edward Hopper. Altissimi pali che spuntano dal terreno sostengono sulla cima grandi luminosi cartelloni pubblicitari. Il cielo notturno sopra la finta cittadina non sarà mai abitato da stelle, la luce dei messaggi pubblicitari impedirà per sempre ai minuscoli abitanti di vederle.

L’installazione, foto 4 è un enigma.

fig 4

Un ambiente cinquecentesco a pianta ottogonale custodisce  un faretto posto al centro dell’ottagono protetto da una bassa ringhiera tonda installata per impedire ai visitatori di avvicinarsi all’oggetto. Due pareti a specchio sono sporcate da vernice arancione forse per mascherare parzialmente ia “riflessione”.

Quale è l’installazione? Il faretto, gli specchi sporcati, l’ambiente cinquecentesco o tutto insieme.  La “riflessione” sugli specchi limitata dalla vernice  impedisce forse di riflettere per risolvere l’enigma.

Nell’ultima che propongo fig. 5 il significato sembra chiaro.

fig 5

Numerosi fogli di carta sono infilzati in un bosco di puntali verticali ordinatamente disposti.  Un visitatore cerca di leggere cosa è scritto sui fogli illuminati ognuno da un faretto appeso al soffitto.  La carta meraviglioso supporto che ha permesso alla scrittura di diffondere la conoscenza nel mondo è morta infilzata dall’universo della rete e dagli schermi digitali che la connettono. La luce emessa dagli schermi ha prevalso per sempre sulla luce riflessa dalle pagine di carta di un semplice libro.

Franco LUCCICHENTI  Roma  maggio 2019