di Claudio LISTANTI
Convincente esecuzione della Cantata Giovanna d’Arco di Rossini. Nel programma anche il Te Deum di Haydn e la Serenata n. 1 di Brahms.
La stagione concertista 2018-2019 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sta volgendo a termine. Ci piace porre in evidenza che il bilancio di quanto prodotto in termini di offerta musicale dalla prestigiosa istituzione romana è da ritenersi senza dubbio del tutto positivo per la qualità, ma anche la quantità, di quanto prodotto riscuotendo un successo di pubblico che si è dimostrato netto ed indiscutibile per tutta la durata della programmazione che ha coperto un arco temporale di più di nove mesi.
In linea con questi risultati è stato il concerto del 4 giugno scorso, replicato il 5 e 6 giugno, che sulla carta era uno degli appuntamenti più attesi non solo per la presenza sul podio di Antonio Pappano ma anche per la partecipazione di una delle cantanti liriche più apprezzate del momento, il mezzosoprano Joyce DiDonato, un evento che ha richiamato presso la prestigiosa Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica il pubblico dei grandi eventi che per l’occasione ha accostato ai consueti appassionati di musica sinfonica anche quello variegato ed entusiasta della musica operistica.
L’attrazione principale della serata è stata l’esecuzione della cantata Giovanna d’Arco di Gioacchino Rossini, brano veramente mitico per gli appassionati d’opera soprattutto perché inserito spesso nei recital delle più grandi cantanti che frequentano i palcoscenici operistici più prestigiosi. Anche questa volta l’occasione era ghiotta vista la fama di Joyce DiDonato, in possesso di una carriera costellata da tappe caratterizzate da prestazioni vocali molto apprezzate. Nel suo repertorio, ma solo a titolo di esempio, ci sono grandi personaggi; non solo quelli rossiniani, Cenerentola Rosina e Isabella, ma anche belliniani, Adalgisa e Romeo Montecchi, così come eccellente è il suo Berlioz, Didone e Ascanio.
La Grande scena – Giovanna D’Arco. Cantata a voce sola con accompagnamento di piano, composta da Rossini nel 1832 dopo la decisione di non comporre più opere, fu espressamente dedicata a Madamigella Olympe Pélissier, celebre ‘demi-mondaine’ dell’epoca che fece innamorare Rossini divenendo così sua compagna ma anche futura moglie (Fig. 2); il compositore la sposò nel 1846 dopo la morte di Isabella Colbran, sua prima moglie.(Fig. 3) Negli anni attigui alla composizione di questa cantata i biografi rossiniani non hanno rintracciato notizie di esecuzioni; di certo si sa solo che solo nel 1851, lo stesso Rossini accompagnò al pianoforte Marietta Alboni, celebre contralto dell’epoca, in una esecuzione di questo suo piccolo capolavoro. (Fig. 4)
La Cantata Giovanna d’Arco si può considerare come una emanazione delle grandi pagine del Rossini serio con la quale si può scorgere qualche ‘pentimento’ da parte dell’autore di aver abbandonato questo genere di teatro. E’ strutturata in due parti ideali; una prima composta dal recitativo ‘È notte, e tutto addormentato è il mondo’ seguito dall’aria ‘O mia madre, e tu frattanto la tua figlia cercherai’, una parte dai contenuti piuttosto meditativi dove l’eroina prende coscienza della sua missione contrapposta ad una seconda parte dal sapore guerresco e fiammeggiante aperta dal recitativo ‘Eppur piange. Ah! Repente qual luce balenò nell’oriente’ seguita dall’aria ‘Ah, la fiamma che t’esce dal guardo già mi tocca, m’investe, già m’arde’ che con i suoi virtuosismi da spazio al carattere eroico, trascinante e trascendente del personaggio.
Per quanto riguarda la parte prettamente strumentale, nell’originale concepita per pianoforte, si ravvisa una certa propensione ad essere orchestrata, cosa messa in atto dal Rossini Opera Festival che, nel 1989, ne affidò l’orchestrazione a Salvatore Sciarrino. Tale ‘versione’ è quella adottata da Antonio Pappano per il concerto che stiamo recensendo.
Sciarrino ha concepito una partitura che, in un certo senso, ne esalta la dimensione ‘cameristica’ originale mantenendone le caratteristiche di base grazie all’ utilizzo di una orchestra di medie diensioni che prevede oltre agli archi, un flauto e oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe per due unità per ognuno.
La direzione di Antonio Pappano è risultata fedele a queste caratteristiche ‘cameristiche’, riuscendo a dare risalto alle due ‘anime’ di questa splendida cantata, quella lirica e quella eroica, una impronta musicale nella quale si è inserita efficacemente la prestazione vocale di Joyce DiDonato che ha messo in evidenza la sua indiscussa ‘classe’ di cantante esibendo con sicurezza una linea vocale piuttosto misurata esaltando lo splendido lirismo della prima parte del brano assieme alla parte squisitamente eroica del finale con la ‘precisione’ degli abbellimenti per una interpretazione che, seppur limitata nell’ascolto dalla vastità della Sala Santa Cecilia, è risultata omogenea ed elettrizzante ottenendo così l’applauso incondizionato degli spettatori che hanno gremito la sala (recita del 6 giugno) gratificati dalla DiDonato con un bis, altra sua grande interpretazione, l’aria di Didone tratta dal capolavoro di Henry Purcell che la cantante ha interpretato con magistrale intensità e senso del teatro.
Il resto del programma del concerto aveva come parte iniziale il Te Deum in Do maggiore per coro, orchestra e organo XXIIIc:2 che Franz Joseph Haydn dedicò all’imperatrice Maria Teresa, pagina breve ma pervasa da una entusiasmante brillantezza sonora molto bene eseguita da Antonio Pappano alla quale ha saputo dare un coinvolgente senso del ritmo accanto ad una accurata dinamica dei suoni ben coadiuvato dal Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretto da Ciro Visco che proprio con questo concerto si è congedato dalla prestigiosa istituzione musicale dopo anni di attività che hanno visto una costante crescita del coro lasciando nel pubblico tutto un indelebile ricordo, come dimostrato dai lunghi e reiterati applausi che il pubblico ha tributato a Visco al termine del brano haydniano, semplice ma significativo ringraziamento per tutto il suo operato.
Nella seconda parte del concerto c’era la Serenata n. 1 in re maggiore per orchestra op. 11 di Johannes Brahms grande pagina sinfonica diretta da Antonio Pappano con la consueta precisione nei dettagli e nei particolari, sostenuto dalla professionalità incontrastata dell’Orchestra dell’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Una esecuzione nella quale, forse, mancava un po’ di quella cantabilità ‘brahmsiana’ che rende trascinante il sinfonismo del compositore amburghese ma che, nel complesso, era senza dubbio omogenea e soddisfacente per la scelta dei tempi e per la cura nel colore orchestrale. Anche per Pappano grande successo al termine del concerto applaudito a lungo dal pubblico romano del quale è incontrastato beniamino.
Claudio LISTANTI Roma giugno 2019