Grandi eventi al MEFF-Messapica Film Festival a Mesagne (BR), con Andy Warhol e altro ancora (22 – 28 luglio)

di Anna Maria PANZERA

Che la Puglia sia una regione attiva, attenta a rinnovare la sua offerta culturale di là dalle ormai tradizionali – benché sempre affascinanti – sagre popolari e culture locali, feste e divertimenti degni delle più estreme estati riminesi, lo dimostra la presenza di manifestazioni di alto livello, diffuse non solo nelle città note ma anche nei centri più piccoli e apparentemente periferici. Dico apparentemente, perché quanto si può trovare nella cittadina di Mesagne, in provincia di Brindisi, non ha nulla di marginale.

Floriana Pinto

Tra le manifestazioni estive degne d’attenzione, che Municipio e organizzatori hanno avuto il buonsenso di intrecciare con attività dialoganti fra loro, sono: la prima edizione di MEFF-Messapica Film Festival, con la direzione artistica di Floriana Pinto e il contributo di Apulia Film Commission (collaborano l’Associazione Blue Desk, il Centro Sperimentale di Cinematografia, le ambasciate di Svezia e Norvegia, il Goethe Institut e la testata giornalistica Left), e la mostra Andy Warhol – L’alchimista degli anni Sessanta, a cura di Maurizio Vanni, in collaborazione con Puglia Micexepericence, con l’Associazione Culturale Spirale D’Idee e l’Associazione MetaMorfosi (al secondo appuntamento nell’allestimento di mostre diffuse tra Ostuni, Martina Franca e Mesagne, dopo il successo di Picasso – L’altra metà del cielo, nel 2018).

conferenza stampa di presentazione, Castello Svevo di Mesagne, 2019.07.04

Il programma di MEFF-Messapica Film Festival nasce dall’idea di raccontare storie provenienti da ogni parte del mondo, ponendo attenzione particolare a storie di donne ordinarie o straordinarie: una tematica che nei tempi che corrono si presenta urgente e che in questo lembo di terra assume un significato ancora più forte, secondo la direttrice artistica del Festival. Qui, come nel resto del Paese, la condizione femminile ha trovato la sua emancipazione; qui, come nel resto del Paese, i radicamenti culturali ostili al femminile, benché trasfigurati nella leggerezza delle musiche e delle danze che ricordano solo da lontano gli antichi culti del tarantismo, sono in agguato nella quotidianità, nelle cifre che registrano la presenza femminile nelle manifestazioni e nei luoghi dell’arte, nelle abitudini del lavoro, nelle retrocessioni della politica rispetto alle conquiste civili, nelle contraddizioni della storia nel suo rapporto col presente. Il MEFF non vuole essere un festival femminista nel senso storico del termine: difende invece l’attenzione al femminile, che prende valore di là dalla differenza di genere in un’epoca e in una società che voglia dirsi davvero avanzata e al passo coi tempi,  capace di autocritica e di proposizioni nuove. Quasi come se “femminile” divenisse il contrario di “passatista”.

Il programma prevede proiezioni d’interesse storico, come E’ piccerella (1922) di Elvira Notari, prima cineasta italiana; documentari (Indesiderabili di Chiara Cremaschi, Tagliatori di lingua di Solveig Melkeraaen, Adopted di Gudrun Widlok e Rouven Rech, Pussy versus Putin, di Taisiya Krougovykh e Vasily Bogatov, La memoria del Condor, di Emanuela Tomassetti, solo per citarne alcuni); film come Styx di Wolfgang Fischer (presentato al Festival di Berlino, con la sua storia di salvataggio dei migranti ci riporta al senso degli eventi attuali) o Arrivederci Saigon di Wilma Labate. Poi masterclass sulla regia, della stessa Wilma Labate, e sui diritti umani a cura di Moni Ovadia. Presentazioni di libri quali Adolescenti nella rete – Quando il web diventa una trappola (Asino D’oro Edizioni 2018), e Contro il neoliberismo – Conoscenza, lavoro, arte, socialità, volume nato da un convegno a più voci, tenutosi a Roma tra l’Università di Roma Tre e Palazzo Merulana e edito dalla testata “Left”. Ilaria Cucchi, nel Comitato d’Onore del Festival insieme alla senatrice Liliana Segre, alle Pussy Riot, al regista Philip Groening e alla costumista Lina Nerli Taviani, interverrà anche in diretta streaming con l’avvocato Fabio Anselmo la sera di giovedì 24 luglio, quando verrà proiettato il film Sulla mia pelle di Alessio Cremonini.

Programma completo : http://www.bluedesk.it/messapica-film-festival-2019

La volontà di coinvolgere il pubblico attivamente ha fatto sì che non mancasse un workshop di alfabetizzazione al linguaggio cinematografico, Cinema in breve, tenuto dal regista e drammaturgo Simone Amendola, reduce con Valerio Malorni dai successi di L’uomo nel diluvio – piéce teatrale che si è aggiudicato il Premio Nazionale In Box, al suo quinto anno di tournèe, con oltre 50 repliche in tutta Italia – e autore del libro intitolato Teatro nel diluvio (Editoria & Spettacolo, 2019), che raccoglie testi scritti tra il 1998 ed il 2018. Dal 2003 Simone Amendola comincia a cimentarsi con il linguaggio cinematografico, scrivendo copioni e realizzando corti e documentari, tra cui il pluripremiato Alisya nel paese delle meraviglie (Premio Ilaria Alpi 2010), che ha contribuito a far emergere il mondo delle seconde generazioni. Nel 2014 riceve il Premio Solinas per la sceneggiatura della serie I Maya e nel 2016 il suo documentario breve Zaza, Kurd viene presentato nella sezione MigrArti al 73° Festival di Venezia.

Per info e iscrizioni a Cinema in brevehttp://messapica@bluedesk.it,   Telefono  347 – 6459675

Inoltre, in dialogo con la mostra Andy Warhol – L’alchimista degli anni Sessanta, si tiene il laboratorio di teoria e pratica delle arti visive Time Capsule, a cura di chi scrive.

La mostra ripercorre l’universo creativo dell’artista, attraverso le icone più riconoscibili della sua arte, dalle serie dedicate a Jackie e John Kennedy a quelle consacrate al mito di Marilyn Monroe, dall’osservazione della società contemporanea attraverso la riproduzione seriale di oggetti della quotidianità consumista alle collaborazioni con musicisti e altri artisti. 140 opere in esposizione fino al 9 dicembre, accompagnate da eventi collaterali sparsi sul territorio. 6 le sezioni espositive: Consumismo, oggetti quotidiani e serialità racconta l’artista agli inizi della sua carriera, alle prese con la personale rielaborazione della Pop Art; Miti oltre il tempo sottolinea la declinazione delle produzioni serigrafiche dedicate ai più noti – spesso tragici – volti contemporanei;  Amore per la musica. Da producer a ideatore di cover documenta la passione di Warhol per la musica, di cui fu produttore e creatore di copertine, come nel caso dei Velvet Underground, di Lou Reed e Nico, Diana Ross, The Rolling Stones e molti altri. In Personaggi celebri. A uso e consumo ecco i ritratti di Muhammad Alì, Mao Tse-Tung, la nuova serie di Marilyn o le immagini di altre personalità quali Leo Castelli, David Hockney, Man Ray, realizzate agli inizi degli anni Settanta, con un deciso aumento di interventi diretti, di tratti e di colore, attraverso pennelli e dita sulla carta.

La mostra continua con la sezione che analizza la Rivoluzione sessuale di cui Warhol fu controverso testimone, attraverso la famosa serie Ladies and Gentleman del 1975. Chiude il percorso espositivo la sesta sezione, L’influenza pop che raggiunge la Puglia, con un richiamo al contributo degli artisti pugliesi alla cultura pop.

L’esposizione collaterale intitolata Pop now. Nuove identità nelle arti pugliesi, curata da Michela Laporta, ugualmente distribuita nei tre luoghi istituzionali e dedicata agli artisti locali, presenta Dario Agrimi, Antonia Bufi, Pino Caputi, Domenico Carella, Miky Carone, Pierluca Cetera, Cisky, Lisa Cutrino, Flavia D’Alessandro, Fernando De Filippi, Mario Red De Gabriele, Cristiano De Gaetano, Franco Dellerba, Giulio De Mitri, Fabrizio Fontana, Semira Forte, Angelo Galatola, Lorenzo Galuppo, Daniele Geniale, Michele Giangrande, Antonio Giannini, Enzo Guaricci, Iginio Iurilli, Cristina Mangini, Vincenzo Mascoli, Roberto Mazzeo, Massimo Nardi, Massimo Pasca, Pino Pascali, Alessandro Passaro, Stefania Pellegrini, Margherita Ragno, Rizek.

Ai visitatori che dovessero trovarsi in zona è d’obbligo segnalare la Fondazione Museo Pino Pascali a Polignano a Mare.

Ci si potrebbe chiedere in che modo un Festival del Cinema, declinato volitivamente al femminile, testimone e portatore di contenuti di sensibilizzazione alle questioni civili e sociali, impegno, bellezza e trasformazione culturale, si ponga in relazione con un artista che ha fatto del disimpegno la sua bandiera, che ha sposato e usato la filosofia consumista, che ha sbeffeggiato l’arte dei capolavori, che ha condiviso una cultura fondata sull’annullamento dell’identità umana. La verità è che, come afferma Michele Dantini, Andy Warhol è la sfinge dell’arte contemporanea. Quelle immagini, così tremendamente autoreferenziali, accondiscendenti con quanto di più detestabile il mondo moderno abbia prodotto, contengono di fatto alcuni aspetti di cui tutto il contemporaneo non può più fare a meno. La loro estrema “superficialità” – perché difficilmente si può sostenere che Warhol sia stato critico della società globale dagli anni Sessanta agli Ottanta – si piega a una molteplicità di letture con cui l’osservatore attento, se vuole, può cimentarsi. Con lui entriamo nell’ambito delle controculture, attraversiamo il budello, spesso disarmonico e scomodo, delle alterazioni di senso che s’infiltrano nelle grandi correnti del pensiero, pur trovandoci completamente immersi in esse; ricuciamo il filo con la portata delle grandi provocazioni storiche, quelle di Duchamp, tanto per intendersi. E poiché la provocazione ha un effetto a tempo, dev’essere ripetuta, affinché nelle crepe da essa create s’infili nuovamente e prenda spazio autonomo e originalmente sviluppato la contestazione più grande e a oggi ancora fondamentale: quella contro il centralismo del pensiero occidentale, con tutte le sue implicazioni. Non dico, naturalmente, che Warhol debba piacere o che sia l’innovatore dei nostri tempi; semplicemente che il suo inserimento in un percorso storico getta talvolta nuova luce sulla sua produzione e che alcune sue “espressioni” appartengono a modalità che l’arte contemporanea ha riscoperto, acquisito e rinnovato, così che in quelle pieghe, a suo tempo e oggi, penetrino la questione femminile, i discorsi sulle diversità, le microstorie individuali rispetto alla storia unica dei vincitori, l’apertura all’orizzontalità rispetto alle gerarchie.

È il caso della cosiddetta Archive-Art. Warhol, ossessionato dal timore della morte e della sparizione, la mette in pratica nelle fotografie dei tabloids rielaborate in serigrafia; ma soprattutto nelle sue Time Capsules, 610 scatole di cartone dove raccoglie oggetti di vita quotidiana, libri, dischi, biglietti, magliette e tutto quanto può far parte dell’infinita varietà di cose che accompagnano il tempo privato, conservate in maniera compulsiva e di fatto – riaperte ora – risultanti come tracce di personalità, reperti di contingenze interpretabili. L’uso degli archivi nella pratica artistica contemporanea s’inscrive in uno spazio di frontiera (la definizione è di Giovanna Zapperi, autrice di L’avenir du passé. Art contemporain et politiques de l’archive, PUF 2016), che ridiscute sia l’identità degli archivi stessi, sia la loro dimensione culturale. Gli archivi non sono solo quelli storici: si possono creare ex-novo per far emergere ciò che la storiografia ufficiale ha rimosso, ha volontariamente negato e dimenticato. Il rapporto artistico con il sapere storico e con gli strumenti del suo studio, lo trasforma completamente e dal profondo, sperimentando nuove forme di scrittura di ciò che è stato, svelandone particolari inediti. Soprattutto, offrendoli in una veste inconsueta, che punta all’elaborazione estetica di ciò che è già dato ma che può essere continuamente ri-semantizzato. Torna alla mente il fortunato saggio di Nicolas Bourriaud intitolato Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo (Postmedia Books, 2004), che spiega come il contemporaneo risponda all’ingombrante odierno proliferare d’immagini e di opere: «Riciclare suoni, immagini e forme implica una navigazione continua tra i meandri della storia della cultura, lo stesso atto del navigare diventa così soggetto della pratica artistica. Non è forse l’arte, secondo le parole di Marcel Duchamp, “un gioco tra uomini di tutte le epoche”? La postproduzione è la forma contemporanea di questo gioco» (Bourriaud, p. 14).

Gioco tra uomini e tra donne, aggiungerei. Perché è proprio dall’universo femminile – ancora oggi volutamente tenuto da parte – che può provenire la prospettiva veramente nuova sulla storia. Il laboratorio Time Capsule all’interno di MEFF-Messapica Film Festival vuole prendere da Warhol lo spirito laico e dissacrante con cui lui ha usato il patrimonio del suo tempo; ma anche fare post produzione sulle nostre vite, sui nostri archivi personali, sulle storie nascoste, femminili, dell’infanzia: quelle che fanno le gambe della grande storia.

Anna Maria PANZERA    Luglio 2019

Per info e iscrizioni a Time Capsule: messapica@bluedesk.it