redazione
E’ forse inopportuno farlo notare in una circostanza del genere, e tuttavia crediamo sia giusto dare notizia ai nostri lettori di quanto numerosi siano stati gli accessi al sito dopo la pubblicazione del breve saluto che abbiamo voluto dedicare di getto su About Art al caro amico Mario Ursino, nostro preziosissimo e insostituibile collaboratore, subito dopo averne appresa la scomparsa: nel giro di neppure un giorno, tra lunedì e martedì, sono registrati da Google analytics lunedì oltre 800 lettori e martedì 999 (vedi il picco nel grafico) per un totale di oltre 1800 in meno di 24 ore. Un record per noi, un triste record, certo, che avremmo preferito non realizzare mai, che però è testimonianza chiara dell’affetto di cui Mario godeva e dello sconcerto che la sua dolorosa inattesa fine ha provocato nei tanti, tantissimi amici che lo hanno conosciuto. Il numero di questa settimana quindi lo vogliamo dedicare alla sua memoria, presentando gli scritti di alcuni tra i suoi numerosi amici/colleghi -che sentitamente ringraziamo- e il ricordo dei tanti che lo hanno apprzzato, ed anche pubblicando due articoli che abbiamo pensato avrebbe avuto piacere di rileggere tra i tanti che ci ha mandato e con cui ha contribuito al prestigio di About Art nei due anni e mezzo di presenza della rivista nel panorama dei magazine on line italiani.
Ringraziamo per aver voluto testimoniare per iscritto il loro ricordo:
Stefania MACIOCE, Franco PURINI, Claudio STRINATI, Monica CARDARELLI, Valentina CIANCIO & Georgia BAVA, Luca BORTOLOTTI.
Tra quanti hanno voluto esprimere le condoglianze alla famiglia e alla redazione, ringraziamo in particolare
Maria Grazia BERNARDINI, Ivo BOMBA, Caterina BRIGANTI, Gaetano BONGIOVANNI, Francesco BURANELLI, Marco BUSSAGLI, Francesca CAPPELLETTI, Paolo CASALINI, Arabella CIFANI, Maria Vittoria MARINI CLARELLI, Anna COLIVA, M. Cristina CORSINI, Silvia DANESI SQUARZINA, Marcello FAGIOLO, Viviana FARINA, Luigi FICACCI, Antonio FORCELLINO, Alvar GONZALEZ PALACIOS, Sergio GUARINO, Riccardo LATTUADA, Fabrizio LEMME, Anna Lo BIANCO, Franco LUCCICHENTI, Paola MANGIA, Carla MARIANI, Franco MONETTI, Gianfranco NOTARGIACOMO, Gottardo PALLASTRELLI, Francesco PETRUCCI, Massimo PULINI, Vittorio SGARBI, Rossella VODRET, Alessandro ZUCCARI
PUBBLICHIAMO DUE ARTICOLI TRA QUELLI CHE MARIO CI INVIAVA SETTIMANALMENTE E CHE AVREBBE SENZ’ALTRO RILETTO VOLENTIERI
“Bellezza e Bizzarria” nelle sculture di Andrea Spadini
di Mario URSINO
Se fosse nato tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, Andrea Spadini (1912-1983) probabilmente sarebbe stato ben accolto alla corte di Luigi XV, o nella Monaco di Baviera dei Wittelbach, e avrebbe operato in sintonia con gli artisti francesi e tedeschi, secondo lo stile rocaille, allora di moda. Per una curiosa e moderna analogia, e per una specie di sortilegio, questo spirito del passato è transitato e rivissuto, a me pare, nelle opere del figlio del noto pittore Armando Spadini (1883-1925), l’artista che ha immortalato scene di vita e degli “affetti famigliari”, dipingendo autoritratti con la moglie, con madri e bambini, e, come ha scritto Lionello Venturi “… Armando Spadini abbandona i tumultuanti effetti di luce (siamo nel clima della Secessione Romana del 1913, n.d.A.) per amore della soavità del modellato, della fioccosa morbidezza, della trasparenza delle tinte…”.
Niente di tutto questo nelle opere del figlio Andrea, elaboratore di fantasiose sculture,
anche se si era formato sui classici e attraverso attente visite alla Galleria Borghese, ancora bambino, accompagnato dal padre. Dovette qui insinuarsi in lui il gusto per il dinamismo della scultura barocca berniniana, e quindi ne assimilerà i moti e l’agitazione del movimento nelle sue opere, al di là di mode e tendenze artistiche tipiche degli anni Cinquanta-Sessanta.
Come è noto, egli cominciò giovanissimo a far pratica a Firenze alla scuola di Libero Andreotti (1875-1933), scultore, ceramista, dedito a lavori classicheggianti e monumentali, ma non esente da prove e rese di agilità di modellato, come si vede nel gesso Coppia di levrieri, 1914c. [fig.1], Pescia, Gipsoteca; sarà forse anche per questo che il giovane Andrea arriverà a realizzare il dinamico Cavallo e cavaliere, 1965-66 [fig. 2], grande terracotta, cm.150×150: figure lanciate nell’aria si direbbe dall’alto di una rupe; e la numerosa produzione di animali danzanti, e come fantasiosi suonatori di strumenti musicali? Non sarebbe da escludere. Ma c’è di più. Poiché a Firenze il giovanissimo Andrea Spadini non poteva ignorare le sculture disseminate nella città, e soprattutto quelle più bizzarre, e si pensi al cosiddetto Diavolino [fig. 3], il bronzo posto all’angolo di Palazzo Vecchietti con via Strozzi, o al grandioso Appennino [fig. 4] del Giambologna, che giganteggia, metà uomo barbuto e fluente e metà montagna, nel giardino della Villa Demidoff, e alla Grotta del Buontalenti, nel giardino di Boboli, dove emergono dalle pareti rocciose figure e animali, ancora grondanti di fogliami [fig. 5],
che potrebbero aver ispirato la bellissima ceramica invetriata, Inverno, 1958, cm.106×44 [fig. 6] di Andrea Spadini; e sempre nel giardino di Boboli sono presenti sculture di tritoni e scimmie [fig. 7] (quest’ultime, come vedremo, saranno oggetto frequente nelle terrecotte e ceramiche dell’artista); non ha potuto inoltre ignorare, il giovane Spadini, durante il suo apprendistato a Firenze, la Fontana dei mostri marini del 1629 [fig. 8], in piazza dell’Annunziata, con i “leggiadri mostri di Pietro Tacca”, secondo le parole Mario Praz, che delle sculture bizzarre è stato un illustre studioso; ecco come il famoso anglista descrive la fontana: “Non hanno la rude violenza delle gargolle medievali, ma una grazia elegante, alessandrina, che accompagna ogni curva, ogni fossetta, ogni piega dei corpi orridamente leggiadri…”.
Praz, con il suo ponderoso volume Bellezza e Bizzarria, “Il Saggiatore”, Milano 1960, ha redatto un insuperato testo, in materia di stranezze artistiche e letterarie, dal quale io, immodestamente, ho titolato questa nota su Andrea Spadini. Eppure al Praz è sfuggita la personalità eccentrica di questo artista, che, appunto nel 1960, si era già messo in luce in ambiente romano, e, quasi contemporaneamente, a New York. E sebbene Praz, grande studioso, con il suo occhio implacabile, abbia dedicato alcune pagine a Fabrizio Clerici (1913-1993) nel volume sopra citato, purtroppo non si è ricordato dell’Andrea Spadini (si vedano in mostra, i bozzetti per Villa Cicogna dei Mori in cornice, 1952), che proprio con Clerici aveva lavorato nella dimora veneziana della contessa Cicogna. Ma è un fatto ineluttabile che da Mario Praz abbiamo imparato molto sul suo concetto della “linea serpentinata”, che dal manierismo cinquecentesco attraversa il barocco, e si impone nella architettura, nella scultura e nella decorazione rococò.
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Dopo Firenze, Andrea Spadini maturerà altre fondamentali esperienze formative classicheggianti
sia dal Novecento sarfattiano, che dalla Scuola Romana (si veda, per esempio, Fanciulla con uccello, 1939 [fig. 9], con qualche riferimento addirittura in leggero anticipo sulla scultura della Antonietta Raphael, v. Mafai con gatto, 1942, fig. 10), come mi ha fatto notare Monica Cardarelli, curatrice della bella mostra antologica, Andrea Spadini. 1912-1983 [fig. 11] (fino al 18 maggio): un’ottantina di opere fra sculture di materiali vari (marmi, pietre, terrecotte, maioliche invetriate o smaltate, e disegni per gli studi preparatori delle sue stesse sculture), distribuite in tre diverse sedi: in via Margutta 53, nella storica Galleria W. Apolloni, dove un tempo erano i famosi atelier per artisti nel Palazzo Patrizi (dove anche Picasso lavorò nel 1917) sono esposte le sculture di maggiori dimensioni, su cui domina lo spettacolare Lazzarone Napoletano, 1958, in terra bianca, cm.107x58x107 [fig. 12];
da notare in questa grandiosa scultura, non solo i minuziosi dettagli con cui descrive con naturalismo berniniano lo scivolone del mariuolo con le monete rubate ben incise, che cascano dappertutto, ma anche il rigore dell’equilibrio formale stabilito tra lunghezza e altezza (107x58x170), un criterio adottato anche nell’altra scultura sopra citata, Cavallo e cavaliere (150×150), entrambe iscritte in un’ideale forma geometrica, la prima in un rettangolo e la seconda in un perfetto quadrato; ancora un’osservazione peculiare che denota una predilezione di Andrea Spadini per la linea della curvatura “a canoa”, che caratterizza la grande scultura del Lazzarone, ed era già presente nelle elegantissime ceramiche invetriate delle scimmie in canoa, in gondola, o scimmie navigatrici del 1955-1956 [fig. 13], come pure nelle ceramiche bianche colorate, Il Gange e Il gioco del Tevere, del 1958, che tutte richiamano, a mio avviso, la già citata secentesca Fontana dei mostri marini, di Pietro Tacca, collocati appunto su un movimentato natante di motivo “a canoa”, talmente riccioluto da prefigurare il tardo settecento del Rococò.
Molti sono anche i disegni dello Spadini presenti nelle altre due sedi della mostra, insieme alle sculture;
in via Monterone 13, nella Galleria Del Laocoonte, sono presenti quei lavori giovanili classicheggianti di cui si è detto più sopra; infine nello Spazio Espositivo di via del Babuino 136 sono collocate le deliziose sculture di piccolo formato in bronzo e le ceramiche, di cui si è detto e altri bizzarri lavori: scimmie ballerine, scimmie vanitose [fig. 14], nani suonatori, elefanti con obelisco (memoria del Bernini in Piazza della Minerva a Roma?), gatti, cani, persino un Uomo roccia [fig. 15], una singolare ceramica (che più berniniana non si può), del 1980, un Pulcinella nell’obelisco del 1965, e altre amenità varie per la gioia dei collezionisti del genere. Un lungo lavoro accurato, condotto con puntuali ricerche d’archivio, quando i galleristi sono anche storici dell’arte, come Marco Fabio Apolloni, e Monica Cardarelli, appunto curatrice della mostra in oggetto.
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Secondo ulteriori notizie biografiche, sappiamo che Spadini era stato assistente a Monza di un altro grande scultore, Arturo Martini (1889-1947),
al quale dovette guardare con maggiore attenzione, a mio avviso, per lo slancio di alcune figure arcaiche e modernissime del maestro trevigiano, come i noti gessi del 1935, Amazzoni spaventate, o l’Ulisse, a Vicenza, Palazzo Thiene [figg. 16-17]. Ha partecipato poi a lavori più ufficiali per il Padiglione Italiano dell’Esposizione Universale di New York del 1939 (per la storia di questa famosa esposizione americana, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, si veda il mio articolo apparso su questa rivista nel novembre 2018). Spadini ha inoltre lavorato anche per l’ E42. Nel dopoguerra, insieme all’amico Fabrizio Clerici è presente a Venezia, come già detto, per le decorazioni di Villa Cicogna. Ma le prime opere di maggiore fantasia furono create per la storica Galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso e Irene Brin, lavori in ceramica di vari soggetti, obelischi e animali modellati con brio ed eleganza:
“E’ straordinario vedere come Spadini (che quale ceramista prende lo pseudonimo di Lo Spada) giuochi sul rapporto fra tecnica e tema e arditamente rinnovi la grande tradizione della ceramica settecentesca, specialmente quella delle manifatture francesi e austriache” (Lorenza Trucchi, 1989).
Non può essere escluso, inoltre, come descritto più sopra, il ricordo delle bizzarre sculture fiorentine e le manifatture Doccia Ginori al Museo Stibbert. Le ceramiche dello Spadini, quindi, soprattutto fra gli anni Cinquanta-Settanta, per la loro originalità, conquistarono subito un pubblico esigente sia in Italia che in America. Il rapporto di Andrea Spadini con gli States fu dovuto ad un suo collezionista (con la passione per le scimmie), il conte Lanfranco Rasponi (1914-1983), “uomo di mondo”, come si diceva una volta, dai molteplici interessi, musica lirica, arte, scrittura, ampie relazioni sociali internazionali, titolare per un certo periodo della Sagittarius Gallery, a New York, dove nel 1956 si tenne la prima mostra di Spadini in America. Dal successo di questa esposizione, lo scultore presenterà le sue opere nel 1960 anche da Tiffany & Co nella elegante Quinta Strada di New York, che furono molto apprezzate da divi di Hollywood, come Lauren Bacall, Henry Fonda, Douglas Fairbanks jr.; sempre a New York, vanno ricordate le sculture in bronzo di animali suonatori e danzanti del 1964-1965: scimmia, capretta, ippopotamo (i modelli in creta sono esposti in mostra) che decorano e animano il grande Orologio Musicale [fig. 18] commissionato dal facoltoso editore americano George Delacorte (1894-1991), sito all’ingresso dello Zoo del Central Park, a Manhattan.
Anche in Italia, Spadini venne apprezzato da celebri personaggi del cinema, della moda e della mondanità, tra cui Alberto Sordi, gli stilisti Alberto Fabiani e Simonetta Colonna di Cesarò, di cui modellò una originale, elegantissima ceramica invetriata, Leda e il Cigno, 1959, cm.80x52x27 [fig. 19], di gusto serpottiano, se la si confronta con la splendida Fortitudo [fig. 20],una delle numerose sculture a Palermo, nell’Oratorio del Rosario in San Domenico, decorato, tra il 1710-1717, dal celebre plastificatore settecentesco siciliano Giacomo Serpotta (1652-1732).
Mario URSINO Roma aprile 2019
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Dal salotto della Principessa Isabelle le meraviglie della Galleria Colonna, e il nuovo catalogo
di Mario URSINO
Una visita nell’appartamento di Isabelle Colonna, e il Catalogo dei dipinti
Dopo la pubblicazione nel 2015 del nuovo Catalogo dei dipinti della Galleria Colonna [fig. 1], a cura di Patrizia Piergiovanni, quest’anno è stato edito anche il Catalogo dei dipinti esposti nell’appartamento di Isabelle Colonna [fig. 2]: storica dimora, ancora privata (rimasta inalterata) della principessa, sita al piano terreno dell’antico splendido Palazzo in Piazza Santi Apostoli a Roma.
Impeccabile lavoro scientifico, il catalogo, come il precedente, è agile, non pedante, a cura di Mauro Natale con la collaborazione di Patrizia Piergiovanni e di una qualificata schiera di studiosi che hanno redatto saggi e accurate schede delle opere esposte. Naturalmente, entrambi i sopra citati volumi sono dovuti alla sensibilissima volontà del Principe Don Prospero Colonna, nipote della sua famosa nonna, Isabelle Sursock Colonna (1889-1984) [fig. 3], personalità fuori del comune nel gestire e curare la storica residenza e il suo salotto romano, frequentato, nel periodo tra le due guerre (ma anche successivamente), da noti personaggi della politica, da altolocati rappresentanti della Santa Sede (cui la nobildonna era particolarmente legata), da soggetti della diplomazia, in primis Galeazzo Ciano nel quale Ella riponeva la segreta, purtroppo vana, speranza di evitare all’Italia la disastrosa guerra; il giovane Ministro degli Esteri del Fascismo, infatti, non nascondeva la sua simpatia (Isabelle era contraria al regime nazista) per i governi di Londra e Washington, che avrebbero voluto un’Italia estranea al conflitto; in quei convivi a Palazzo Colonna era ospite persino Eugen Dollmann, un testimone puntuale della Roma mondana e politica che frequentava il salotto della principessa Isabelle, vi figuravano anche protagonisti della stampa e della cultura, come Curzio Malaparte; ciascuno, a proprio modo, ha ricordato o descritto la forte personalità di Isabelle Colonna nelle loro memorie e racconti: si vedano, ad esempio, i Diari (1939-1943) del genero del Duce, o Roma Nazista (1948) del brillante e colto colonnello germanico Eugen Dollmann, e in particolare, Kaputt (1944), nel capitolo Golf Handicaps, del famoso scrittore toscano, tanto per citare alcuni dei personaggi di maggiore spicco in quella temperie fastosa e drammatica che precedette la Seconda Guerra Mondiale.
Eppure della celebre nobildonna non esiste, per quanto a mia conoscenza, una biografia, né tantomeno ci sono suoi ricordi scritti (pare sia rimasta ancora incerta anche la sua data di nascita, nel 1889? Per civetteria? Chissà). Donna Isabelle, come è noto, non era italiana, apparteneva alla potente e ricca dinastia libanese dei Sursock, famiglia cristiana greco ortodossa. Ella andò sposa nel 1909 al Principe Don Marcantonio Colonna VII (1881-1947) [fig. 4], nata a Beirut, Isabelle, così è stata ricordata quest’anno in una intervista (cfr. “Vogue” del 27 aprile 2019, di Michele Masneri) da una sua cugina più giovane, Lady Yvonne Cochrane Sursock [fig. 5], per metà italiana (era nata a Napoli da Alfred Sursock e Maria Teresa dei duchi Serra di Cassano, e sposata a Sir Desmond Cochrane nel 1946, n.d.A); la vivace novantasettenne vive tuttora nel suo sontuoso palazzo a Beirut [fig. 6], e riferisce come le era stato narrato l’incontro tra Marcantonio Colonna e Isabelle Sursock: «Era così bruttina» [fig. 7], dice Lady Cochrane. «Ma molto divertente» …
«Dunque mio zio (Nicolas Sursock? che aveva sposato Vittoria, sorella di Maria Teresa dei duchi Serra di Cassano, n.d.A) aveva questa figlia maggiore, Mathilde, molto bella e molto noiosa; alta, bruna. A un ricevimento conosce il marchese Theodoli, che era segretario d’ambasciata. Si sposano. Veniva spesso a trovarlo il principe Colonna, suo amico. Rimane molto colpito. «Mannaggia, la volevo sposare io», dice. Mathilde non perde tempo: «Non ti preoccupare, c’è mia sorella. Identica». La fanno chiamare subito, lei arriva, ed era «piccola, bionda, bruttissima. Ma così divertente!»
(il matrimonio delle due dame è ricordato anche dal diplomatico Pietro Gerbore (1889-1983) nel suo libro Dame e Cavalieri del Re, del 1952: “Alberto Theodoli impalmò Matilde Sursock, prosapia di grandi proprietari levantini, la cui sorella Isabella era maritata a don Marcantonio Colonna”, p. 263, n.d.A). Isabelle – continua ancora Lady Yvonne – specialmente rispolverò i fasti di Palazzo Colonna ai Santi Apostoli e governò su Roma fin quasi a cent’anni, con un ruolo di ufficiosa regina d’Italia, dopo (e un po’ anche prima) la morte di Maria José”.
In realtà è proprio così, e la sua opera memorialistica, oserei dire, sta proprio nella cura e l’amore con cui ha preservato l’appartamento rinascimentale e difeso i suoi tesori artistici, durante il periodo bellico. Don Prospero Colonna ricorda, in apertura di codesto qualificato catalogo dei dipinti, la peculiarità del carattere di sua nonna. Scrive il Principe:
“La sua personalità è riflessa in ogni parte dell’antica dimora, che ha profondamente amato, restaurato e trasformato. La sua impronta è particolarmente nel suo appartamento rinascimentale al piano terreno, che ha abitato oltre 70 anni e che oggi è a lei dedicato. […]. Ho avuto la fortuna di condividere il suo affetto e la sua compagnia per 28 anni e la rivedo spesso in alcuni angoli del suo appartamento, intenta ad accudirlo con ogni premura, a far progetti per i suoi familiari o a studiare interventi conservativi e giardini”.
Non c’è dubbio che già entrando nel luminoso cortile d’ingresso [fig. 8] del Palazzo Colonna, si coglie un’immediata piacevole sensazione estetica per la cura, l’ordine e la straordinaria eleganza, ancor prima di varcare la soglia dell’appartamento della Principessa Isabelle, oggi aperto al pubblico e visitabile, come la Galleria, un solo giorno della settimana, il sabato dalle ore 9 alle 13,15.
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Ho avuto il privilegio, dopo aver attraversato la meravigliosa Galleria Colonna, piena di visitatori radunati intorno a guide in italiano, inglese e francese, un sabato mattina nel caldo settembre in corso, e di poter accedere da solo* nell’Appartamento Principessa Isabelle. Regnava il silenzio e la luce naturale che proveniva dalle finestre sullo stupendo cortile interno che circonda le dieci stanze della dimora patrizia. Si entra dalla Vetrina di ingresso dal cortile, e la visita inizia con la Sala del Baldacchino: qui si conservano ritratti di alcuni maggiori protagonisti di casa Colonna, e per quanto riguarda la storia del collezionismo, si deve segnalare l’espressivo, morbido Ritratto di Lorenzo Onofrio Colonna, 1670-1675c. cat. n.10 di Jacob Ferdinand Voet (1639-1689) [fig. 9], e quello della sua consorte, Maria Mancini Mazzarino, 1669, cat. n. 5 [fig.10], nipote del celebre cardinale, eseguito da un autore italiano del sec. XVII, purtroppo sino ad ora non ancora concordemente identificato, forse il Maratti, forse il Voet, e il pittore Benedetto Fioravanti, specialista nella esecuzione di stoffe e di tappeti; la bellissima donna, rappresentata a figura intera, in veste di Armida (cfr. cat. n. 5, scheda di Paolo Vanoli), appare maestosa, rispetto al ritratto del suo consorte, ma egualmente espressiva nella recitazione della posa. I due coniugi furono famosi per il gusto delle feste e l’amore per l’arte, tanto da essere considerati iniziatori di un sistematico collezionismo di casa Calonna, e a loro si debbono “la massima parte dei dipinti del Cinque e Seicento” (Zeri, 1981).
Si prosegue poi con la Saletta delle Dame, Sala del Vanvitelli [fig. 11], Salottino Rosa [fig. 12]; la sosta qui è d’obbligo per ammirare la quantità dei paesaggi seicenteschi: i due splendidi Andrea Locatelli (cat.118-119), e ancora i protagonisti più sopra menzionati, Lorenzo Onofrio e Maria Mancini, en travestì (lui pastore, lei Venere) nel Paesaggio con giudizio di Paride, ante 1672, un autentico capolavoro [fig. 13] cat. n. 120 di Carlo Maratta (o Maratti) e Gaspard Dughet. Si continua con Sala delle Feste, Sala della Fontana, Sala del Tempesta [fig. 14], Sala del Dughet [fig. 15], Sala da pranzo, Sala del Mascherone. Tra queste stanze si è mossa, ha ricevuto e ha vissuto per 70 anni, Princesse Isabelle.
Pochi e cortesi sorveglianti, che non erano lì per porre divieti, bensì per far sentire a proprio agio il visitatore; abbiamo potuto, mia moglie ed io, accomodarci su divani e poltrone e ascoltare le loro risposte alle nostre domande su quadri e arredi. Tra l’altro ci è stato confermato, mentre sostavamo ogni tanto per la fatica nella caldissima mattinata, che durante il secondo conflitto mondiale, Donna Isabelle mise al riparo i maggiori capolavori, facendoli murare in spazi nascosti del Palazzo, e della sua fuga precipitosa per nascondersi presso l’Ambasciata di Spagna, quando i nazisti volevano catturarla dopo il fatidico 8 settembre 1943.
La visita offertaci in tal modo, è stata un modello inimitabile (e organizzativo) dell’accoglienza principesca. E non tanto perché mi era stato accordato personalmente lo speciale accesso, ma si è trattato dello stesso garbo riservato, nella Galleria, dal numeroso staff in sorveglianza, ben distinguibile giustamente impegnato a garantire la sicurezza del luogo tra il pubblico folto, che mi è sembrato particolarmente interessato e rispettoso.
Sono queste le riflessioni che ho fatto dopo aver attraversato l’Appartamento Principessa Isabelle, ed aver precedentemente rivolto velocemente lo sguardo ai capolavori esposti nella Galleria al piano superiore, che già conoscevo: tra i meravigliosi Bronzino, i Tintoretto, i Guercino, l’ultra noto Mangiatore di fagioli del Carracci, tanto per citare i più famosi, e non lasciandomi sfuggire i bellissimi paesaggi di Francesco Albani, né l’intenso ritratto, Donna Isabella Colonna (1728-1778) di Pompeo Batoni (cat. Galleria, n. 25): l’effigiata era la settima dei sedici figli di Fabrizio Colonna e Caterina Maria Zeffirina Salviati, anch’essi protagonisti dell’ampliamento della Collezione Colonna, come ci ricorda Patrizia Piergiovanni nel suo testo:
“…ultima rampolla del ramo dell’importante famiglia fiorentina, la quale portò in dote alcuni fra i maggiori capolavori della collezione … Bronzino, Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, Francesco Salviati, e veneti, Veronese, Jacopo e Domenico Tintoretto”.
E ancora volgevo il mio rapido sguardo ai ritratti dei due coniugi Marcantonio II Colonna e Felice Orsini Colonna (cat. Galleria nn.197-198 [figg 16-17], due mirabili mezze figure eseguite da Scipione Pulzone tra il 1569-1571, artista poco noto al grande pubblico, ma caro a Federico Zeri: dai suoi studi ho imparato anch’io ad apprezzare questo artista.
E potrei continuare sulla mia visita lampo nella Galleria Colonna…
Ma veniamo al Catalogo dei dipinti Appartamento Principessa Isabelle, che annovera ben 180 dipinti, soprattutto ritratti e paesaggi, con sorprese di capolavori, tra i quali deve essere segnalata la tavola del celebre ferrarese Cosmè Tura (1433c.-1495), San Maurelio e san Paolo con il cardinale Bartolomeo Roverella,1480-1487 [fig. 18] (si veda in cat. n. 173, l’accurata scheda di Mauro Natale), un tempo parte del noto Polittico Roverella, eseguito per l’altare della Chiesa olivetana di San Giorgio a Ferrara, di cui le parti superstiti sono distribuite in diversi e famosi musei: Parigi, Louvre, Londra, National Gallery, San Diego, Fine Art Gallery, Boston, Isabella Stewart Gardner Museum, Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum. Come già detto più sopra il volume è a cura di Mauro Natale, che ha redatto anche l’approfondito saggio, Pintoricchio in Palazzo Colonna; qui lo studioso disvela le meraviglie e i simboli allegorici, mitologici della volta affrescata nella Sala della Fontana [fig. 19]: “… una vivace interpretazione del mondo antico…”,
opera del noto pittore rinascimentale umbro Bernardino di Betto detto il Pintoricchio; i dettagli della stupenda volta si possono cogliere solo attraverso la documentazione fotografica in catalogo [figg. 20-21], tanto è ricco e articolato il soffitto con altre numerose decorazioni.
L’artista verso il 1485 – 90 venne incaricato di eseguire affreschi con motivi ornamentali in una sala al pianterreno di Palazzo Colonna in piazza Santi Apostoli, all’epoca residenza del cardinale Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II. Si tratta di una serie di vele pennacchi con candelabri, cornici geometriche, scene bibliche e della storia antica, sullo sfondo di finti mosaici dorati, completati poi nel Seicento da scene di battaglia nelle lunette. L’effetto antichizzante dell’insieme si inserisce nel clima di erudizione antiquaria del gusto dei Della Rovere e dei Colonna con citazioni nelle figure rappresentate riferite a singole sculture o rilievi antichi sparsi in Roma.
Segue lo studio di Giovanna Capitelli su La pittura di paesaggio con i Dughet, i Lorrain, i fantasiosi Brughel il Vecchio, e Giovanni Francesco Grimaldi, il Tempesta, gli olandesi, i Van Lindt, i diversi Van Bloemen con i loro deliziosi, idilliaci paesaggi seicenteschi della campagna romana (esposti nel Salottino Rosa), ovvero il genere di “pittura di paese” particolarmente gradito ai collezionisti Colonna. Del resto ne è testimonianza la presenza di ben due sale affrescate da due grandi paesaggisti del XVII secolo, la Sala del Dughet e la Sala del Tempesta, dove spesso sedeva la Principessa Isabelle [fig. 22].
Qui infatti troviamo un raro e inedito Ritratto della principessa Isabelle, 1974 [fig. 23] del pittore spagnolo, Juan Antonio Morales (1909-1984), nobilmente seduta, ritratta nella forte espressione del suo carattere, verosimilmente sempre nella Sala del Tempesta; l’artista spagnolo ritrae la Principessa con il medesimo abito e collier (v. nella foto n. 3, supra a figura intera). Sappiamo che Ella non amava essere ritratta, ma vi cedette per amicizia dell’ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, che aveva suggerito a Donna Isabelle di farsi ritrarre dal pittore che aveva effigiato anche Juan Carlos. La principessa cedette, ma non apprezzò l’opera (probabilmente non le piaceva neanche quella pittura materica, di tocco e un po’ sgranata dello spagnolo), per cui, dopo pochi anni lo regalò ad un suo maggiordomo, quando questi lasciò il servizio.
Il nipote, Principe Don Prospero Colonna, volle riacquistarlo nel 2017 dagli eredi dell’ex dipendente per collocarlo, come detto, nella Sala del Tempesta, accanto al ritratto del consorte, Principe Don Marcantonio Colonna, 1947 [fig. 24], in abito da cerimonia di Assistente al Soglio Pontificio con il collare e la placca della massima onorificenza concessa dalla Santa Sede, l’Ordine Supremo del Cristo. Il ritratto è di grande qualità, ed è opera del raffinato pittore napoletano Carlo Siviero (1882-1953), artista ingiustamente dimenticato, ma all’epoca molto stimato da Donna Isabelle, che lo considerava amico e consulente in materia d’arte. Le schede e le notizie di entrambi gli inediti ritratti (in cat. nn. 179-180) sono state redatte dallo stesso Principe Don Prospero Colonna.
Incantevoli poi sono i 42 Vanvitelli, esposti nella omonima sala (v. foto n. 11 supra), meravigliose vedute di Roma, Napoli, Venezia, di Gapar Van Wittel (1652-53-1736), iniziatore del fortunatissimo genere pittorico diffuso in Italia ed Europa nel Settecento, illustrati in catalogo da Laura Laureati che ne traccia i diversi tempi delle loro acquisizioni da parte dei principi Colonna, e ci informa che precedentemente l’attuale collocazione di codeste opere era nel nono Salone al secondo piano del Palazzo.
Di particolare interesse per gli studiosi di architettura, si consiglia il saggio di Tiziana Cecchi, Appartamento Principessa Isabelle. Gli interventi architettonici e decorativi, intervenuti dai tempi di Papa Martino V Colonna nel XV sec., fino ai successivi allestimenti novecenteschi, al tempo del Principe Don Marcantonio Colonna VII e soprattutto dalla sua augusta consorte Isabelle Sursock, alla quale è giustamente intestato l’appartamento.
Mario URSINO Roma Settembre 2019
*Ringrazio il Principe Don Prospero Colonna per aver cortesemente consentito a mia moglie e a me di accedere da soli nell’Appartamento Principessa Isabelle
Ringrazio la dottoressa Patrizia Piergiovanni, curatrice delle Collezioni Colonna che ha disposto il mio libero accesso all’ingresso della Galleria Colonna