di Claudio LISTANTI
La Stagione Lirica 2019-2020 del Teatro Comunale di Firenze è stata inaugurata lo scorso 12 ottobre con un nuovo allestimento di Fernand Cortez, capolavoro di Gaspare Spontini.
La rappresentazione era basata sulla ricostruzione della prima stesura del 1809 del musicologo Federico Agostinelli e dalla Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi. Apprezzata la regia di Cecilia Ligorio e il balletto eseguito integralmente. Efficace la direzione Jean-Luc Tingaud come la prestazione del Coro e dell’omogenea compagnia di canto.
La proposta si è rivelata di particolare interesse soprattutto dal punto di vista storico, storiografico e musicologico, elementi che hanno catalizzato presso la moderna sala del teatro fiorentino l’attenzione di un pubblico molto numeroso, composto non solo da appassionati ma anche da addetti ai lavori.
Per comprendere meglio la valenza della proposta occorre in primis fornire dei cenni storici che portarono Spontini a mettere in scena questa opera. L’elemento fondamentale che stimolò la composizione di Fernand Cortez fu, praticamente, di carattere politico-propagandistico. Gaspare Spontini fu scelto per soddisfare l’esigenza dell’imperatore Napoleone Bonaparte per celebrare e, in un certo senso promuoverne i contenuti, la sua campagna militare in atto per la conquista della Spagna. Per l’epoca affidare all’opera lirica il compito di influenzare l’opinione pubblica era molto in voga in quanto i teatri erano punti di aggregazione privilegiati dove si incontravano cittadini provenienti da più strati sociali. Napoleone, da straordinario uomo di potere, comprendeva alla perfezione questa particolarità destinando una sostanziosa fetta del danaro pubblico all’incremento dell’attività teatrale e musicale.
Spontini ottenne l’incarico nel 1808 e si individuò come soggetto, con ogni probabilità suggerito dallo stesso Napoleone, le gesta di Hernán Cortés, condottiero e nobile spagnolo noto per essere stato il conquistatore del Messico, qui rappresentato come salvatore di quel popolo dallo strapotere della religione. Il libretto fu scritto da Étienne De Jouy e da Joseph-Alphone d’Esménard; quest’ultimo, oltre ad essere stimato poeta era anche uomo politico e, per l’occasione, fu incaricato da Joseph Fouché, all’epoca Ministro della Polizia, di partecipare alla stesura del libretto anche per garantirne lo sviluppo del necessario elemento propagandistico.
Alla messa in scena dell’opera, esattamente intitolata Fernand Cortez ou la Conquête du Mexique, fu destinato uno straordinario ed illimitato di mezzi, soprattutto quelli finanziari, per garantirne quelle finalità promozionali realizzate grazie ad un non comune sfarzo scenico. La prima assoluta avvenne a Parigi il 28 novembre 1809. Pur ottenendo un discreto successo l’opera ebbe scarse (per l’epoca) rappresentazioni restando in scena con continuità fino al 1811 con due recite successive nel 1812. Tutto ciò non imputabile alle caratteristiche del lavoro ma piuttosto al fallimento della campagna militare napoleonica in Spagna alla quale successe poi la destituzione dell’Imperatore, elementi che costrinsero i responsabili a sospendere le recite.
Con la Restaurazione rivolta alla ricostituzione del cosiddetto Ancien Régime, scaturita a seguito del Congresso di Vienna, Spontini procedette ad una revisione della partitura, consistente in numerosi cambiamenti soprattutto utilizzando un diverso ordine dei tre atti e delle relative scene ma anche un cambiamento della figura di Cortez la cui immagine di ‘conquistatore’ risulta del tutto edulcorata. Questa seconda versione andò in scena, sempre a Parigi, il 28 maggio del 1817 ed ebbe un notevole successo che portarono il capolavoro di Spontini a valicare i confini della Francia per approdare nella Prussia di Guglielmo III, dove fu particolarmente stimato ottenendo, poi, il prestigioso incarico di General Musik-Direktor a Berlino.
Il successo di questa revisione consentì a Fernand Cortez di entrare, con 225 recite complessive, stabilmente in repertorio fino al 1840 e far cadere definitivamente nell’oblio la prima versione del 1809. In questi poco più di 30 anni (1809-1840) Spontini operò numerosi cambiamenti alla sua creatura. Già a partire dalla prima stesura, per esigenze dovute alle necessità dei cantanti e della realizzazione scenica, Spontini fu costretto a diverse modifiche che continuarono con la seconda versione fino al 1840, elemento che ci fa osservare Fernand Cortez come facente parte di un processo di ‘lavori in corso’ mai completamente risolto.
Oggi grazie al musicologo Federico Agostinelli ed alla Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi si è giunti ad una Edizione Critica che ha consentito di porre in ordine tutto il materiale esistente circa questa opera, procedendo, per via cronologicamente inversa a giungere alla ricostruzione della versione 1809. E’ stato un lavoro piuttosto arduo, come evidenzia lo stesso Agostinelli in una nota particolarmente chiarificatrice inserita nel programma di sala. Spontini pur essendo meticoloso ed accurato nell’edizione manoscritta era piuttosto caotico e poco organizzato nel raccogliere in modo organico tutti gli appunti e le varianti oggetto delle modiche approntate. Il materiale è stato totalmente reperibile presso il Musée Bibliothéque de l’Opera di Parigi e raffrontando la musica al libretto a stampa Agostinelli è riuscito a giungere ad una più che soddisfacente ricostruzione di quello che fu il Cortez del 28 novembre del 1809; ricostruzione che è stata alla base dell’esecuzione fiorentina della quale stiamo riferendo.
Il Fernand Cortez ou la Conquête du Mexique ascoltato oggi, dopo 210 anni dalla sua creazione, per la prima rappresentazione in tempi moderni dell’opera, ci appare partitura molto avanzata per l’epoca. Chiaramente influenzata dalla forma della Tragédie Lyrique francese, anch’essa in voga fino al periodo della Restaurazione, prima che l’opera di stile italiano prendesse il definitivo sopravvento. Anche se il Cortez non è strutturato nella classica divisione che prevedeva un prologo ‘allegorico’ seguito da cinque atti, ne conserva le caratteristiche più strettamente vocali e musicali. Innanzi tutto ripropone una sostanziosa parte ballettistica e una linea vocale per lo più sotto forma di recitativo con scarse frasi melodiche che qui nel Cortez si traducono in arie molto sintetiche e di grande presa drammatica. Poi le parti corali che nella Tragédie Lyrique erano già cospicue seppur limitate a cornice per la parte coreutica o per i momenti di grande effetto scenografico in Spontini assumono dimensioni tanto grandiose quanto affascinanti.
Il Cortez è opera che supera, nello stile, il 1809 musicale europeo. Morto Haydn proprio quell’anno solo Beethoven era in piena attività; Cherubini, che due giorni dopo la prima del Cortez presentò sempre a Parigi ma al Teatro delle Tuileries l’opera in un atto Pimmalione aveva già prodotto tutti i suoi grandi capolavori; Rossini avrebbe iniziato l’anno successivo con le farse veneziane mentre Bellini e Donizetti erano di là da venire. Spontini con il Cortez, anche se non presenta ancora quella fluidità teatrale per la mancanza di una cucitura drammaturgica tra le scene mette però in campo una grandiosa orchestrazione accompagnata dalla veemenza drammatica ed espressiva dei personaggi ai quali si contrappongono spesso gli straripanti interventi del coro. L’opera possiede innegabilmente tutti i prodromi di quello che sarà il futuro Grand-Opéra non solo per l’argomento di carattere storico trattato ma anche perché si ravvisano anticipazioni della scena d’insieme del terzo atto del Tell rossiniano (1829) nonché della monumentale struttura sinfonica corale del Rienzi wagneriano (1842); un genere il Grand-Opéra che dopo le grandi esperienze francesi dei grandiosi affreschi storici di Giacomo Meyerbeer proposti fino agli anni 60 giungeranno con Giuseppe Verdi ai vertici più alti.
Per quanto riguarda lo spettacolo messo in scena a Firenze dobbiamo mettere in risalto il fatto che, finalmente, abbiamo potuto assistere ad una realizzazione del tutto coerente con l’epoca di rappresentazione proposta dal libretto rilevando così di non essere ‘ostaggio’ del regista come sempre (o quasi) capita oggi. Il merito è tutto della regista Cecilia Ligorio che ha assolto in maniera del tutto convincente al difficile compito affidatole. La parte scenica, realizzata da Alessia Colosso e Massimo Checchetto, è stata concepita in maniera piuttosto semplice ma efficace; affiancata dai costumi di Vera Pierantoni Giua e dalle luci di Maria Doménec Gimenez per una parte visiva che riusciva alternare con gusto la parte militaresca a quella più spiccatamente esotica. A titolo di esempio molto suggestiva è stata la scena dell’incendio delle navi che conclude il primo atto e la scena del tempio del terzo atto.
Un’altra difficoltà era rappresentata dalla realizzazione del balletto che qui assume dimensioni corpose di circa 40 minuti totali ma eseguiti per intero superando l’odierna idiosincrasia di molti direttori d’orchestra e registi verso le parti danzate inserite nelle opere liriche. Le parti coreutiche sono state coreografate da Alessio Maria Romano e felicemente interpretate dalla Compagnia Nuovo Balletto di Toscana diretto da Cristina Bozzolini. Si è scelto di eseguirle integralmente, rinunciando ad adottare i movimenti del balletto classico, peraltro nel 1809 ancora di là da venire. Invece è stato scelto lo stile ‘pantomimico’ inserendo tutte le parti danzate nella struttura narrativa dell’opera, procedendo anche ad alcuni cambiamenti della sequenza prevista in partitura. Di grande effetto il balletto che rappresentava l’accoglienza della popolazione locale alle truppe spagnole; elegante anche la soluzione del balletto che prevedeva in originale l’uso di veri cavalli per rivocare i fatti storici che ricordano che fu proprio Cortez a far conoscere alle popolazioni indigene questi preziosi animali provando estrema meraviglia per tutto ciò.
Una meraviglia che qui è stata realizzata, ovviamente, con finti cavalli ma con movimenti dei danzatori, intensi e coordinati che ne ricordavano sia le eleganti movenze equine sia lo strepitare delle cariche militari. Per la parte ballettistica difficile era la realizzazione del balletto finale una parte che oggi, nel 2019, può essere considerata insormontabile per l’assoluto rischio di cadere nel cattivo gusto.
Per attualizzare i contenuti della rappresentazione, Cecilia Ligorio ha optato per una soluzione letteraria prendendo spunto da un memoriale anonimo ritrovato in una biblioteca di Madrid e dalle parole di Bernal Diaz de Castillo compagno di missione di Hernan Cortés, testi riprodotti nell’arco della rappresentazione su pannelli trasparenti. Sono parole che mettono in dubbio l’onestà e la legittimità dell’operato del condottiero che più che un benefattore può essere considerato il distruttore di una civiltà arcaica dei nativi del Messico.
Il balletto finale, quindi, ha voluto porre in essere una riflessione sulla figura di Cortez ottenuta abbandonando i toni trionfalistici specifici di questo brano per ripercorrere idealmente la storia rappresentata e mettere lo spettatore nelle condizioni ideali per una valutazione più vicina al suo modo di pensare.
La parte musicale è stata affidata alla guida di Jean-Luc Tingaud direttore esperto dell’opera francese e del grande repertorio internazionale che, grazie alla collaborazione dei complessi, coro e orchestra, del Maggio Musicale Fiorentino, ha messo a disposizione dello spettacolo tutta la sua esperienza per una esecuzione molto stimolante per il necessario impulso musicale e drammatico che ha dato valore aggiunto a questa validissima riproposta. Una menzione particola per il Coro diretto da Lorenzo Fratini che ha assolto con grande professionalità alle difficoltà esecutive di una sostanziosa parte corale.
Concludiamo con la compagnia di canto, da noi ascoltata nella recita del 20 ottobre. Il Cortez non è opera di stile italiano e, quindi, possiede una linea di canto quasi esclusivamente declamatoria in cui l’interprete deve dare estrema cura ed espressività ai recitativi, elemento rispettato da tutti gli intepreti.
Nella parte del titolo c’era il tenore Dario Schmunck, già ammirato qui a Firenze per la sua interpretazione di Arturo nella belliniana La Straniera, proposta nell’edizione 1828, un ruolo che può essere vocalmente affine a quello di Cortez; anche in questo caso Schmunck ha mostrato un buon fraseggio grazie ad un ottimo impianto vocale che lo porta ad eccellere nel registro medio-grave con il solo inconveniente di avere una voce piccola che sembra non ‘correre’; quest’ultimo aspetto, però, potrebbe essere influenzato dalla non felice acustica posseduta dalla sala del nuovo teatro comunale.
L’altra parte fondamentale per quest’opera è quella di Amazily, figura derivata da quella storica di Malinche, ispiratrice di molte azioni di Cortez i cui rapporti con la donna hanno dei contorni ancora poco chiari. A lei Spontini ha riservato una parte vocale sfibrante per un soprano alla quale la greca Alexia Voulgaridou ha saputo dare i giusti accenti anche se nell’intenso secondo atto ha avuto attimi di difficoltà a nostro avviso derivati più da una precaria condizione fisica del momento che da una vera e propria difficoltà ‘tecnica’.
Nelle altre parti la compagnia è risultata del tutto omogena nell’insieme ed era composta da Luca Lombardo Télasco, David Ferri Durà Alvar, Gianluca Margheri Moralez e André Courville Sommo sacerdote messicano.
Lo spettacolo, che ha avuto un notevole successo di pubblico, è senza dubbio ben riuscito nell’insieme e può essere considerato uno degli avvenimenti più importanti di questo 2019 per tutta l’attività del teatro lirico italiano.
Claudio LISTANTI Roma 27 ottobre 2019