Caravaggio e l’enigma della “Conversione – Odescalchi”. Il contributo di Rossella VODRET

di Rossella VODRET

Prosegue l’iniziativa di About Art online di pubblicare contributi relativi alle tematiche caravaggesche più importanti, analizzate con scritti già apparsi in stampa o del tutto inediti di alcuni tra i più noti e prestigiosi studiosi della vita e dell’opera del genio lombardo. Oggi ospitiamo un saggio scritto da Rossella Vodret -che ringraziamo per la cortese collaborazione- in occasione del restauro della versione Odescalchi della Conversione di S. Paolo che venne messa a confronto con quella in situ nella Chiesa di S. Maria del Popolo

L’enigma del Caravaggio Odescalchi.

Le due versioni della Conversione di San Paolo a confronto.

La storia della Conversione di S. Paolo Odescalchi e della decorazione della cappella Cerasi sembra apparentemente molto semplice.

Il potente Tiberio Cerasi, tesoriere Generale della Camera Apostolica, quindi il ministero del tesoro di papa Clemente VIII Aldobrandini, l’8 luglio del 1600 acquista dai padri Agostiniani di S. Maria del Popolo la cappella Foscari dedicata ai Santi Pietro e Paolo, situata nel transetto accanto all’altare maggiore, con diritto di modificarla a suo piacimento. La chiesa era da anni legata alla sua famiglia e vi erano già sepolti il padre, la madre e il fratello.

Per realizzare la sua cappella Tiberio si rivolge, subito dopo l’acquisto, ai massimi artisti presenti a Roma in quegli anni: l’architetto Carlo Maderno per ingrandire il piccolo vano semicircolare della cappella Foscari, il pittore Annibale Carracci, reduce dalla grande impresa della galleria Farnese, per la pala d’altare con l’Assunta, cui era dedicata la nuova cappella, e infine Caravaggio, che aveva appena debuttato in pubblico a S. Luigi dei Francesi, per i due laterali raffiguranti la Crocifissione di S. Pietro e la Conversione di S. Paolo. Questi ultimi due, dipinti per contratto su tavola di cipresso, erano in onore dei due santi ai quali era dedicata la cappella Foscari. Un progetto ambizioso, prontamente registrato dalle cronache contemporanee, che divenne da subito un evento artistico di assoluto rilievo nel panorama artistico romano all’inizio del nuovo secolo.

Ma qualcosa non andò per il verso giusto. A meno di un anno dall’acquisto della cappella e a pochi mesi dall’avvio della sua grande impresa decorativa, nella notte tra il 2 e il 3 maggio 1601 Tiberio Cerasi muore nella sua villa di Frascati dove era andato per curare dolorosi calcoli. Suo erede universale è l’Ospedale della Consolazione, a lui legato da profondi vincoli personali e famigliari. Con un codicillo aggiunto al testamento il 2 maggio –dettato proprio in punto di morte, quasi sia stato il suo ultimo pensiero terreno- monsignor Cerasi “comanda” ai suoi eredi di completare la cappella conformemente al disegno che fornirà l’architetto Carlo Maderno. E’ evidente quindi che nel maggio 1601 la cappella non era finita, anzi sembra addirittura che Maderno non abbia ancora consegnato il progetto. Dopo questa data, forse per la mancanza dell’occhio vigile di Tiberio, la vicenda  diviene più complessa.

Dopo circa sei mesi dalla morte di Tiberio, il 10 novembre 1601, Caravaggio viene pagato (meno del pattuito) dai responsabili dell’Ospedale della Consolazione per i due dipinti eseguiti per la cappella Cerasi. Le due opere –il documento stranamente non specifica se fossero su tavola o su tela, citandole semplicemente come quadri- non vengono però consegnate , presumibilmente perché i lavori nella cappella non erano ancora terminati, ma restano nello studio del pittore con la promessa (di Caravaggio) di provvedere alla loro sistemazione sulle pareti della cappella ad ogni richiesta dell’Ospedale.

La Crocifissione di S. Pietro e la Conversione di S. Paolo sembrano essere rimaste quindi nella disponibilità di Caravaggio per diversi anni, probabilmente fino ad aprile –maggio 1605, quando un falegname viene pagato per sistemare i quadri nella cappella Cerasi, che verrà consacrata solo l’11 novembre 1606, dopo più di sei anni dall’avvio dei lavori voluti da Tiberio.

A questo punto nasce l’enigma. I due dipinti che dal 1605 sono nella cappella Cerasi sono su tela e non su tavola di cipresso, come invece espressamente indicato nel contratto stipulato tra Cerasi e Caravaggio, mentre le due versioni su tavola, che furono certamente dipinte per prime dal grande maestro lombardo, hanno preso strade diverse, si sono divise, e alla fine una sola, la Conversione di S. Paolo oggi restaurata, è giunta fino a noi.

Fiumi d’inchiostro sono stati riversati sulla tavola Odescalchi. Di questo straordinario quadro, come si è visto, sappiamo quasi tutto –la data, il committente, i passaggi di proprietà- meno la cosa più importante: perché mai venne sostituito dalla versione su tela, che ancora oggi è nella cappella Cerasi in S. Maria del Popolo?

Una possibile spiegazione ci viene dal biografo-pittore Giovanni Baglione (1642) che scrive che le due prime versioni su tavola “non piacquero al padrone (e) se li prese il card. Sannesio”. Nonostante la clamorosa notizia del rifiuto delle tavole riferita dal Baglione, stranamente non riportata da altre fonti seicentesche, le domande ancora senza risposta sono tante e restano ancora oggi insoluti interrogativi importanti ed essenziali:

-Quand’è che fu deciso di sostituire la Conversione Odescalchi e il suo pendant (la Crocifissione di S. Pietro perduta) con le versioni su tela?

-Veramente la sostituzione avvenne perché le due tavole non piacquero al “padrone” come srive nel 1642 Baglione?

-E chi era questo padrone? Il potente Tiberio Cerasi che commissionò a Caravaggio la Conversione per la sua nuova cappella in S. Maria del Popolo nel 1600, ma che morì prima di vederla completata, o i responsabili dell’Ospedale della Consolazione, suoi eredi, che pagarono i quadri nel novembre 1601?

Perché le due tavole, se così fu, non piacquero?

Domande queste che impongono un’attenta riflessione e soprattutto una puntuale verifica dei fatti accaduti più di quattrocento anni fa se si vuol tentare di trovare una soluzione ad uno dei più intricati “gialli” della storia dell’arte del Seicento romano. Per contribuire a sciogliere tale enigma è sembrato importante portare la tavola Odescalchi nello spazio cui era destinata, ossia nella cappella Cerasi, dove con ogni probabilità non è mai stata, mettendola a confronto diretto con la versione finale su tela.

Le due Conversioni di S. Paolo di Caravaggio stilisticamente e compositivamente sono distanti tra loro anni luce. La tavola Odescalchi è ancora profondamente legata a moduli compositivi e formali manieristici, mentre le due tele sono inserite pienamente nella nuova lucida ed essenziale visione della realtà elaborata da Caravaggio. Per quanto il Merisi ci abbia abituati a cambiamenti repentini, è doveroso chiedersi: quando furono veramente eseguite le opere su tela? Sono questi i due quadri pagati nel novembre 1601 dai responsabili dell’Ospedale della Consolazione, oppure, come sembra più plausibile, mano a mano che la cappella veniva completata Caravaggio –forse in accordo con Cerasi o con l’Ospedale della Consolazione- si rese conto che i suoi dipinti su tavola mal si adattavano all’angusto, ma articolato spazio pensato da Maderno e concepì quindi tra il 1601 e il 1605 (data di sistemazione delle opere sulle pareti) i due nuovi quadri?

Un’ipotesi questa di grande fascino che consentirebbe di spostare in avanti la datazione delle due tele, inserendole più coerentemente nel percorso stilistico del genio lombardo.

L’esposizione della Conversione su tavola nella cappella Cerasi a diretto confronto con la sua sostituta non solo ci dà la possibilità di approfondire e ripensare il paragone tra le due versioni alla luce del recente restauro, ma può anche aiutare a capire il problema della misteriosa “sostituzione” .

Tra le numerose differenze che si possono cogliere tra i due dipinti, due appaiono di particolare rilievo. La prima emerge senza dubbio nel raffronto della Conversione su tela (restaurata a sua volta nel 1999) con il nuovo eccezionale equilibrio cromatico-luministico acquistato con il restauro della tavola Odesclachi finalmente liberata dalle vernici offuscate. La seconda osservata per la prima volta attraverso un confronto diretto nella complessa spazialità della cappella progettata da Maderno, riguarda la struttura compositiva delle due Conversioni.

E’ evidente infatti che rispetto alla tavola Odescalchi, la disposizione delle figure nel dipinto su tela suggerisce un punto di vista molto ravvicinato. Ciò è ottenuto ingrandendo le figure –S. Paolo a terra, il cavallo- distanziandole tra loro, e “schiacciando” la prospettiva. Tanto per rendere l’idea, mentre il dipinto Odescalchi appare simile ad una fotografia ottenuta con un obiettivo 50mm a 6-7 metri di distanza dal gruppo fotografato, l’effetto ottenuto nella tela successiva corrisponde a una fotografia eseguita con grandangolo ad un metro e mezzo di distanza. Tale cambiamento potrebbe essere spiegato non solo con una diversa scelta stilistica, per ottenere maggiore drammaticità proiettando lo spettatore all’interno della scena, ma anche come un adattamento alle condizioni di fruizione del quadro all’interno della cappella Cerasi, che effettivamente, date le sue dimensioni e considerata la collocazione del dipinto, costringe l’osservatore a una vision ravvicinata.

Tale ipotesi suggerirebbe che la seconda versione sia stata realizzata dopo che Caravaggio poté tener conto dei lavori architettonici completati sulla cappella per volontà testamentaria del proprietario, spostando quindi in avanti di qualche anno la datazione dei due dipinti su tela. In tal modo apparirebbe anche assai più comprensibile quella distanza stilistica tra le due opere, entrambe eccelse ma espressione di linguaggi diversi, che già notata dagli studiosi emerge oggi con maggior prepotenza alla luce del restauro della tavola Odescalchi.

di Rossella Vodret