di Claudio LISTANTI
La 199 edizione della stagione della Filarmonica è partita al Teatro Argentina con uno strepitoso successo. Ottima intesa tra la splendida voce del violoncello di Sol Gabetta ed il virtuosismo pianistico di Nelson Goerner
L’Accademia Filarmonica Romana ha inaugurato, giovedì 7 novembre, la stagione concertistica 2019-2020 con un concerto affidato alla violoncellista Sol Gabetta che sul palco del Teatro Argentina si è esibita assieme al pianista Nelson Goerner per presentare un programma molto interessante incentrato su alcuni grandi capolavori della letteratura musicale per violino e pianoforte riproposti in trascrizioni per un organico che prevende la presenza del violoncello al posto dell’originale violino.
Il concerto ha riscosso un grande successo decretato da un foltissimo pubblico convenuto presso la storica sala del Teatro Argentina che, al termine dell’ascolto, ha applaudito con convinzione l’esecuzione dimostrando pieno gradimento per il programma proposto e per l’interpretazione dei due strumentisti.
Una inaugurazione in grande stile per la stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana, giunta quest’anno al ragguardevole traguardo delle 199 edizioni, una meta che pochissimi al mondo possono vantare; un elemento che la colloca l’istituzione come punto di riferimento per la cultura musicale non solo romana ma anche nazionale ed internazionale. Come sottolineato dal Direttore Artistico Andrea Lucchesini, nel suo discorso di apertura della stagione, anche per la stagione di quest’anno la Filarmonica ha voluto conservare quella vocazione ‘cameristica’ che ha caratterizzato la sua lunga storia, connotato che l’ha distinta nei momenti più fulgidi come nei momenti di crisi. Concordiamo pienamente con questa impostazione perché rileviamo che abbia dato i suoi frutti grazie anche alla nuova collocazione scelta per i concerti, il Teatro Argentina, che per la sua centralità rispetto alle caratteristiche urbanistiche di Roma consente al pubblico una certa facilità di accesso che assieme all’eleganza architettonica della sala e della pregevole acustica, ne fanno una sede ideale. Tutto ciò è dimostrato da un pubblico progressivamente sempre più numeroso a questi concerti elemento che ne certifica, in un certo senso, la validità.
Per quanto riguarda il concerto del quale stiamo riferendo c’è da mettere in evidenza i molteplici aspetti alla base della indiscussa qualità musicale dimostrata. Innanzi tutto la scelta del programma costruito da tre capolavori cameristici dell’800 scelti per proporre una specie di ‘excursus’, una panoramica generale dell’evoluzione in questo secolo della letteratura per violino e pianoforte.
Per primo brano è stata scelta la Sonatina n. 1 in re maggiore per violino e pianoforte op. 137 n. 1, D 384 di Franz Schubert, scritta nel 1816 quando il musicista era poco più che 19enne. E’ una composizione piuttosto semplice, prima di una serie di tre che a seconda delle edizioni sono classificate come ‘sonatine’ o come ‘sonate con accompagnamento di pianoforte’, fatto che ha introdotto una sorta di diatriba su quale termine usare ma che, in fin dei conti, si rivela una disputa inutile. Quello che traspare nella n. 1 che abbiamo ascoltato è l’estrema semplicità strutturale, nella quale si intravede una ispirazione mozartiana, inevitabile per un ragazzo di 19 anni, ma che possiede alcuni prodromi di quello che sarà lo Schubert più maturo come nell’Andante centrale con un dialogo piuttosto serrato tra pianoforte e violino, un dialogo che si rafforza e si rinsalda nel piacevole Allegro vivace finale.
Andando in ordine cronologico di composizione il secondo brano scelto è stato la Sonata n. 1 in sol maggiore per violino e pianoforte, op. 78 di Johannes Brahms, composta negli anni 1978-1879, nella piena maturità espressiva del compositore amburghese, della quale una delle caratteristiche fondamentali risiede della strepitosa cantabilità dovuta allo sviluppo di materiale tematico proveniente da due lieder, Regenlied e Nachklang, appartenenti alla raccolta 8 Lieder und Gesänge, Op.59.
Questa cantabilità di origine leaderistica pervade un po’ tutta l’opera facendole assumere una espressività dai toni sobri e moderati spesso filtrati da una malinconia di fondo che serpeggia fin dal Vivace non troppo iniziale percorrendo lo struggente Adagio centrale per giungere, in modo straordinariamente concreto, all’Allegro molto moderato finale. Un percorso ottenuto grazie ad una magistrale ‘saldatura’ tra violino e pianoforte, trattati in modo assolutamente paritario per una efficace dialettica tra i due strumenti.
Dopo gli afflati romantici della sonata brahmsiana si arriva al 1886 con César Franck e la Sonata in la maggiore per violino e pianoforte, terzo brano che ha chiuso la serata. Un’opera musicale, certamente, tardo romantica ma che all’ascolto ci comunica un certo desiderio da parte dell’autore di orientare la sua composizione al futuro; pur rispettando la struttura caratteristica della sonata di quel periodo certe sonorità, certe soluzioni armoniche, certe dinamiche musicali, ci fanno pensare a qualche fermento dal quale, poi, nascerà la musica del XX secolo. Qui il virtuosismo strumentale è di grande difficoltà e livello, basti pensare che fu dedicata al violinista belga Eugène Ysaÿe, difficoltà insite non solo nella parte violinistica ma anche in quella pianistica per giungere, anche qui, ad un dialogo tra i due di grande fascino e presa per l’ascoltatore.
L’altra caratteristica del concerto era quella dell’utilizzo di trascrizioni per violoncello della parte violinistica. A prima vista l’operazione può sembrare banale, perfino inutile e forse controproducente. Infatti la letteratura per violoncello e pianoforte offre grandi capolavori e, di conseguenza, gli esecutori hanno ampia possibilità di scelta per le loro interpretazioni. Nell’intervista pubblicata all’interno del programma di sala della serata, Matteo Camogliano ha chiesto a Sol Gabetta il motivo di questa scelta: ”… il repertorio per questa formazione è appunto abbastanza ampio, tuttavia spesso nella vita musicale si sente il bisogno di provare qualche cosa di nuovo, per cui sono la curiosità e la voglia di sperimentare che hanno dato vita all’idea…”
Per quanto ci riguarda approviamo la decisione di Sol Gabetta, forse anche per la nostra preferenza personale verso il violoncello, ma dobbiamo dire che la voce, i colori e i timbri che questo splendido strumento può dare, ne hanno completato la percezione sonora, non in senso alternativo ma complementare, riuscendo con il suo suono color bronzo a completare quella nobiltà musicale già posseduta dagli originali per violino.
Ovviamente la riuscita dipende dalle trascrizioni adottate per il concerto che debbono essere necessariamente equilibrate per rendere con efficacia sul violoncello quanto concepito per il violino. In definitiva l’ascolto del brano deve dare la percezione che esso sia stato concepito proprio per violoncello. E’ una cosa non facile ma, da quanto abbiamo ascoltato, l’equilibrio è stato raggiunto a partire dalla sonatina di Schubert la cui trascrizione è stata effettuata dalla stessa Sol Gabetta alla quale ha senza dubbio giovato la sua esperienza di strumentista dovuta alla pratica del violino oltre a quella del violoncello. Così come efficaci si sono dimostrate le trascrizioni di Paul Klengel per Brahms e quella, immaginiamo difficilissima e complicata, di Werner Thomas-Mifune per Franck.
Infine gli esecutori. Per Sol Gabetta i giudizi sono unanimi circa le sue straordinarie doti di violoncellista e di interprete di grande spessore, quindi, è difficile aggiungere altri giudizi oltre quelli a tutti molto noti. Qui a Roma Sol Gabetta ha suonato un violoncello Stradivari del 1717 da lei utilizzato da una decina di giorni ad oggi. La sua prestazione è stata come sempre di assoluto valore dominando lo strumento per ottenere una sonorità veramente sfarzosa per la dinamica, il colore ed il timbro entrando in simbiosi perfetta con il pianista Nelson Goerner, altro virtuoso di rilievo, una integrazione completa che ha elettrizzato il pubblico della serata che ha tributato ai due esecutori un vero e proprio trionfo inducendo i due interpreti a concedere ben due bis: lo Studio per pianoforte op. 25 n. 7 di Fryderyk Chopin nella trascrizione per violoncello e pianoforte di Aleksandr Glazunov che ha contribuito ad accrescere la valenza ‘romantica’ della serata e il Secondo movimento (Allegro) dalla Sonata in re minore per violoncello e pianoforte, op. 40 di Dmitri Sostakovich che ha materializzato quell’orientamento al futuro del quale abbiamo parlato a proposito della sonata di Franck.
Claudio LISTANTI Roma 10 novembre 2019