Monica Cardarelli: “Entrò timido, quasi per ultimo, con l’aria gioiosa che hanno i bambini nei negozi di prelibate leccornie …”

di Monica CARDARELLI

Il cinque luglio di due anni fa, giorno in cui ho incontrato per la prima volta Mario Ursino, faceva un tale caldo che anche lo sciamare dei turisti per le strade di Roma sembrava essersi placato. Ero quasi certa che la delegazione di appassionati d’arte a cui avrei dovuto raccontare la storia del “Mago del bianco e nero”, Alberto Martini, mostrandone orgogliosa le chine acquarellate, alla fine, dato il clima, non si sarebbe presentata.

Mi sbagliavo. La delegazione arrivò, e all’unisono, un nugolo ansimante che cicalava festoso, grato soprattutto del refrigerio degli spazi della Galleria W. Apolloni, allora ancora in via del Babuino. Mario, entrò timido, quasi per ultimo, con l’aria gioiosa che hanno i bambini nei negozi di prelibate leccornie e non sanno decidersi a sceglierne una sola. Con questa stessa aria gioiosa l’ho visto più tardi, immobile di fronte ad una scultura, un dipinto, un disegno, in tutte le altre mie mostre, che non ha mai mancato di recensire con lunghi e appassionati articoli. Quando ha varcato per la prima volta la soglia della nuova sede della W. Apolloni in Via Margutta, in occasione della mostra “Io sono Cambellotti”, la sua gioia mi sembrò più grande, gli piacque ogni cosa; lo spazio denso di storia, l’incanto del giardino segreto, l’allestimento della mostra, e ovviamente l’opera di Duilio Cambellotti, uno dei più poliedrici e geniali maestri del Novecento italiano.

Si entusiasmò della mostra dello scultore “Andrea Spadini” di cui scrisse pagine e pagine in un puntuale articolo.

il 12 ottobre di quest’anno è stato l’ultimo giorno in cui ci siamo visti. Venne a vedere la mostra “XX IL GENERE FEMMINILE NELL’ARTE DEL ‘900 ITALIANO” nella mia Galleria di Via Monterone. La sua aria immutata da bambino mi sembrò però meno gioiosa, non riuscivo a capire, pensai che la mostra non gli piacesse. Aveva sostato a lungo di fronte al dipinto di Savinio, all’ acquarello di Guttuso, alle opere della Raphael, a quelle di Melli, Ziveri, Sironi, Sartorio, Funi, insomma come sempre aveva guardato e riguardato, atteso silenzioso di fronte a ciascuna singola opera. Quasi commosso mi aveva chiesto dettagli dell’imponente gruppo scultoreo del Laocoonte di Vincenzo De’ Rossi. Poi con aria preoccupata, cercando di trovare il coraggio da qualche parte dentro di se, mi aveva detto che non sarebbe venuto all’inaugurazione, perché adesso non usciva quasi mai di casa. A questo punto, ignara delle reali ragioni di queta clausura, ero ancora più convinta che la mia mostra non gli fosse piaciuta e me ne rattristai molto. Qualche giorno più tardi fui sorpresa di leggere il suo articolo che raccontava della mostra con una tale perizia e con un tale fervore  che persino a me che  l’avevo meditata e curata sembrò di vederla in una prospettiva nuova.

Quella sera anche io  gli scrissi, esortandolo ad uscire di casa, tornando ad essere l’uomo gioioso e pieno di entusiasmo che avevo avuto la fortuna di conoscere in quell’afoso cinque luglio 2017. Mi rispose che sarebbe tornato e io  spero che possa farlo anche ora, come spirito, sarebbe bello ricevere le sue recensioni dal paradiso!

Monica CARDARELLI     15 novembre 2019