di Giulia Silvia GHIA
Quanto recentemente scritto dal professore Claudio Strinati nell’articolo Caravaggio, il Suonatore di liuto e l’avvento salvifico di Prospero Orsi, apparso il 29 giugno scorso in About Art, conferma il complesso argomento circa i doppi eseguiti dallo stesso Merisi.
Secondo Roberto Longhi, agli inizi degli studi caravaggeschi, Caravaggio non avrebbe mai replicato se stesso. È però plausibile che abbia potuto eseguire una copia di una sua stessa opera nella prima parte della sua produzione romana, quando alquanto squattrinato riusciva a vendere un suo dipinto e pertanto a farne immediatamente una copia.
Ma il tema delle copie non si esaurisce con la produzione dei primi anni romani. Il discorso si complica molto quando Caravaggio fugge da Roma.
Si sa che il maestro lombardo non ebbe mai una bottega né tantomeno vedeva di buon grado quelli che lo volevano imitare nella maniera pittorica.
Dopo la fuga da Roma per il noto omicidio, alcuni artisti si sentirono liberi di poter duplicare i soggetti del Merisi dato che si vendevano molto bene. E da qui parte una storia che tendenzialmente si divide in due grossi filoni, i copisti diretti, ovvero quelli che lo copiarono direttamente avendo a disposizione i suoi originali e i copisti indiretti ovvero coloro che eseguirono le copie dalle copie. Il tutto sotto gli occhi consenzienti dei proprietari, quanto meno di quelli non gelosi dei propri originali.
Come fare per districarsi davanti a triplici versioni di uno stesso soggetto come nel caso del Suonatore di liuto? Certamente la sola osservazione diretta, anche se da parte dell’occhio più esperto, oggi non basta più. Sono necessari altri fattori per riuscire ad avere una vera comprensione dei molteplici aspetti di cui è composta un opera d’arte. Certamente gli aspetti documentari sono necessari a ricostruire la storia, ma anche gli aspetti materiali sono essenziali; ossia la comprensione della tecnica esecutiva, dei materiali costitutivi e della loro alterazione irreversibile causata dal tempo, nonché l’anamnesi conservativa necessaria a capire quanto di originale (comunque invecchiato nel tempo) sia giunto sino a noi.
Mettendo insieme tutti questi dati si è in grado di poter esprimere un giudizio con uno scarso margine di errore. Ciò che si tramanda in un documento riferito ad un dipinto potrebbe, a seguito di accurati e completi studi e ricerche, essere riferito con maggiore certezza ad una copia.
E la stessa copia risultare essere il vero originale, come nel caso ormai noto dei due San Francesco in meditazione della chiesa di San Pietro a Carpineto Romano (oggi alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma) e della chiesa dell’Immacolata Concezione (oggi al Museo dei Cappuccini), recentemente esposti “a confronto” presso la Galleria d’Arte Antica di Palazzo Barberini.
Nel caso dei tre Suonatori di liuto (Hermitage, ex Wildenstain e ex Beaufort) non fa una piega il discorso di Strinati circa il quadro ex Beaufort. La ricostruzione documentaria gioca a vantaggio di questa attribuzione.
E’ certamente un dipinto raffinato, forse troppo, tanto da far sorgere il dubbio sull’identità di genere del soggetto. E’ corretto l’esame delle parole di lode, che Strinati riferisce al dipinto ex Beaufort, del Baglione, che mai espresse apprezzamenti sull’arte del Merisi. Come anche è degna di nota la riflessione di Strinati su quanto tramandatoci dallo storico dell’arte Bellori che ci fa comprendere il ruolo fondamentale nella carriera romana di Caravaggio dell’amico Prospero Orsi.
Nonostante non abbia avuto l’occasione di vedere dal vivo il dipinto, un elemento mi è letteralmente saltato agli occhi ravvicinando i volti dei tre suonatori, la resa dell’occhio interno, quello più in ombra (il destro per chi guarda). Fig. 1.
Caravaggio ci ha abituato a degli errori di proporzione oltre che prospettici che nell’insieme delle composizioni si perdono, dovuti spesso a rimaneggiamenti dei soggetti in corso d’opera.
Osservando altri visi di alcune composizioni giovanili (fig. 2: Ragazzo morso dal Ramarro, coll. Borghese e Longhi, Ragazzo con la canestra, coll. Borghese, Concerto, Metropolitan Museum, il Bacchino malato, coll. Borghese, il Bacco degli Uffizi) ho notato che emerge una certa difficoltà di resa dell’occhio più interno ed anche un costante strabismo più o meno marcato.
Perché un copista avrebbe dovuto riprodurre i difetti? Forse perché questi erano noti essere elementi caratteristici del Merisi e dunque la copia per essere venduta come originale doveva essere pedissequa? O forse perché i “nostri” tre Suonatori di liuto in realtà sono tutti di mano dello stesso Caravaggio?
Una risposta con scarso margine di errore potrebbe essere definitivamente data se si potessero sottoporre tutti e tre i dipinti ad uno studio completo che tenga conto di tutti gli aspetti che permettono di garantire una conoscenza totale di queste tre opere d’arte.
di Giulia Silvia GHIA Agosto 2017