di Massimo MARTINI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
Un’Installazione raccontata nella forma letteraria di un Bando di Concorso
Partita a scacchi con Dio
(ognuno con il suo, ovvio)
Concorso di idee per il ripristino della Spina di Borgo a Roma
Articolo primo: La cartolina va stracciata
Partendo dal punto più basso non si può che migliorare. Se uno continua ossessivamente a rimuginare di un oggetto, una situazione, un’architettura anche, viene come conseguenza la voglia (giusta) di disquisire, distinguere, facendo magari un poco di storia del fenomeno in oggetto. Che è quello che normalmente viene sempre fatto. Ma essendo questo un luogo in overdose di storia, un vero e proprio Super Luogo, non può esistere alcun tavolo di conviviale meditazione. L’artista, o aspirante tale (quando è come a un passo dalla sfacciata consapevolezza di sé), quasi d’istinto è portato a dire (con passione): io lo farei così, punto e basta! … Riservandosi il piacevole onere di giustificare a posteriori le ragioni della sua idea… Ecco il perché di un articolo che si presenta in forma di Bando di Concorso. Un’idea-concorso che io, nella mia testa, ho già da tempo allestito (progettato sarebbe la parola giusta). Alla quale devo adesso fornire i contorni della riconoscibilità, non oso sperare della ragionevolezza. Il bello è che tutto questo dire accanito, non scaturisce da una reale necessità (fondamento dell’architettura come bene sociale). Bensì da un reale fastidio! e dal bisogno di ripristinare un caos significativo! un irrisolto ragionevole! (La cui ragion d’essere, quella del mio intollerabile fastidio, è fragile, umanissima, per nulla a-sociale, non trattabile in questa sede). Tutti intuiscono di cosa sto parlando. L’insopportabile oscenità concettuale di via della Conciliazione a Roma. Quando si è in procinto di muovere i passi verso la Basilica di S. Pietro, il Vaticano, i luoghi deputati della Spiritualità…. (Partendo, e chiedo scusa per questa scelta estrema, dal punto più basso del racconto, quello determinato dall’immagine che segue). (fig 1)
Articolo secondo: Un ben servito anche a Maderno
L’effimero non è affatto effimero in una società effimera. Se un noto rapper si fa ricoprire dall’attaccatura dei capelli e giù lungo tutto il corpo da tatuaggi e poi sposa una nota influencer marketing (il solo influenzare altri, può divenire professione oggi…) in un dilagare di graffitismo urbano che segna tutto il mondo occidentale seppur nell’ambigua formula di linguaggi artistici che nascono dal disagio sociale… allora non può dirsi un caso bizzarro il fatto che, nel dicembre del 2015, in occasione dell’apertura del Giubileo straordinario della Misericordia, Papa Francesco accetti di promuovere la sua Enciclica “Laudato sì” attraverso una manifestazione tipo luci e suoni, (Fiat lux: illuminating our common home). Immolando la facciata della Basilica di S. Pietro al nuovo senso delle cose. E’ vero che il Santo Padre ha l’accortezza di sacrificare al rito del dissolvimento la parte più infelice del grande complesso architettonico (e sono generoso a dire infelice) ma, con esso, vanno a rotoli molte cose, fra cui guarda caso proprio quell’apparato tronfio, inutile e dannoso che è la missione prospettica di via della Conciliazione. Con il dubbio, quasi, che la preveggenza di questo Papa arrivi come a chiedere scusa, sanare ove possibile, le scelte fatte da Clemente VIII nel 1603. Per non dire quelle imposte alla città negli anni neri dolorosi, molto dolorosi, a ridosso della metà del secolo scorso… Fino a che confronto e merito delle idee rimangono prigionieri nei limiti espressi dalla pura forma esteriore delle cose, allora credo che fra noi non ci si possa intendere. Ma se, proprio in architettura, si tiene nel giusto conto anche il significato dei segni, allora non si potrà negare che le identità possono mutare al di là del mutare o meno della loro stessa forma. Anche al semplice scorrere di una nuvola. La furia dei graffitari, che riduce il muro a dazebao, tanto per fare un rapido esempio, non può che alla lunga minare le stesse incrollabili ragioni vitruviane (solidità, utilità, bellezza). Seppure a favore di altro incognito. Per cui. La cosa più consolante e positivamente orientata che io possa dire oggi è che, andando al cuore del problema, A≡I (l’essere Architettura coincide con l’essere Installazione). Nell’attimo in cui la facciata del Maderno ospita l’immagine sovradimensionata del leone della foresta africana… quell’ordine architettonico, quell’apparato di segni, cambia per sempre di senso, (verso un nuovo che non può che essere, solo e soltanto, in fieri). (fig 2)
Articolo terzo: Rimodulare tre vuoti (uno reale, due immaginari)
Michelangelo se la cava sempre, è Bernini il vero sbeffeggiato. Ora qualsiasi persona ragionevole è portata a domandarsi, ammesso che condivida le ragioni del mio sdegno, come sarà mai possibile l’applicazione della regola (giusta e insensata al contempo, pilatesca piuttosto) del dov’era, com’era? E subito dopo, la stessa persona ragionevole dovrebbe di necessità ancora chiedersi, come comportarsi se questo ritorno al passato fosse palesemente impossibile?… come individuare, in terra riformista, strade alternative praticabili? Ora facciamo un passo indietro. E diciamo che, a nostro modesto parere, non sono gli atti del demolire, del farsi largo, quelli che vanno messi sotto accusa. L’arte (fino all’oggetto città) può essere perseguita anche sbiancando parti dipinte, cancellando segni, benedicendo la negazione come atto creativo. Il fatto è che la demolizione della Spina di Borgo non appare come un segno nuovo, trasgressivo, forte di un suo pensiero. E’ un fare del tutto prevedibile. Ripete sempre la stessa nenia: la cupola è la cupola è la cupola. Nel secolo delle avanguardie, addirittura! (E il pianto degli urbanisti per bene, circa quegli abitanti di Borgo deportati alla borgata del Trullo, una verità solo contenutista che alla fine si appaga e si spegne nel compiacimento di se stessa, senza suggerire altro di utile…). Io dico. Teniamoci questo stupido spazio, ma buttiamo giù i birilli, giochiamo un’altra partita! Ce lo dice Bernini che se la dovette vedere con Maderno. Mimando il vuoto della cupola, piuttosto che stendendo un prevedibile ossequioso tappeto di fronte alla mediocre facciata! (è il senso del colonnato, il vero capolavoro da salvaguardare!). E siamo al cuore dell’osceno problema che ci troviamo sul groppone. Giacché il vero delitto viene perpetrato non tanto dall’attivazione della stupida prospettiva, quanto dalla costruzione di due propilei, il nobile impedimento come lo definiscono autoassolvendosi gli autori, un banale boccascena, in verità. Parliamo degli edifici che delimitano l’odierna piazza Pio XII. Oggetti che chiamerò Inadeguato 1 e Inadeguato 2. Che nessuno abbatterà mai. E che noi, sopravvissuti nella vergogna della vittima stuprata, siamo tenuti comunque a tenere in vita. Seppure immergendo quell’inutile violenza dentro un ineffabile contrappasso: il supplizio di una stralunata aleatorietà di Tantalo, un graffitismo corrosivo ed eterno. (fig 3)
Articolo quarto: Partita a scacchi con Dio
Ogni punto del palcoscenico va bene per danzare (Merce Cunningham). Male non fa, prenderci una pausa. Formulare in maniera diretta e con il linguaggio spiccio del geometra (liberatorio perché inequivocabile), gli articoli del Bando di Concorso. Art 1– Demolizione di tutti gli arredi stradali di via della Conciliazione, compresi marciapiedi e simili, con la riduzione ad un’unica sede di tutto il manto di posa. Art 2– Mantenimento del traffico attuale (anche con varianti ragionevoli) nel rifiuto di soluzioni tipo area pedonale generalizzata. Art 3– Predisposizione di un arredo minimale per la fornitura dei servizi tecnici essenziali. Art 4– Derubricazione dal tavolo progettuale del falso problema del nobile impedimento, ovvero del boccascena su piazza Pio XII. Art 5– Atto progettuale n.1: Ideazione di un’installazione multipla (o sequenza di più installazioni) che consideri come infinito il nuovo piano di posa di via della Conciliazione, nel rispetto delle esigenze d’uso e con la tassativa esclusione dello spazio definito dal colonnato di Bernini. Art 6– Atto progettuale n. 2a: Trasfigurazione figurativa dell’edificio prospicente piazza Pio XII (lato largo del Colonnato) attraverso libere soluzioni di lifting stilistico e nel mantenimento di tutte le attuali funzioni abitative. Art 7- Atto progettuale n 2b: Idem per l’edificio prospicente piazza Pio XII (lato largo degli Alicorni). Art 8– Gli atti progettuali 1, 2a, 2b, vengono reiterati a scadenza annuale, nella cura di uno o più artisti, di volta in volta diversi. Art 9– La partecipazione è aperta agli architetti o a gruppi che contengano almeno un architetto. Gli elaborati sono liberi ma solo e soltanto nel formato digitale. Cercasi adeguati amministratori e adeguata giuria. (L’immagine che segue, la n. 4, usa la metafora del gioco degli scacchi per rompere la fissità, il non senso della prospettiva centrale. Le pedine sono Installazioni o parti di una stessa Installazione. Il piano, come detto, infinito… verso la città, ben oltre. Via libera, in volo, nell’aria). Da qualsiasi movimento può derivarne qualsiasi altro (Merce Cunningham). (fig 4)
Articolo quinto: L’architettura può contenere un dubbio irrisolto
Costretto, chi scrive, a mostrare le immagini della propria idea (1). Con una breve precisazione. Che questo strano bando di concorso non fornisce qui ora tutti i materiali necessari, planimetrie, foto storiche, ante e post operam relativi alla complessa vicenda legata alla demolizione della Spina di Borgo. Il discorrere ne verrebbe troppo diluito. Internet, d’altronde, strapieno di ogni notizia. E chi scrive di fronte a un bivio. Accennare a un’idea, soppesarla, oppure di getto, dire come fare. Con la piena scelta del fare. Ovvio. Visto che il carattere effimero dell’opera (come detto rinnovabile alla fine di un anno della sua vita), pone me stesso come il primo già sbarcato nella pattumiera della storia… (Abbiamo buttato giù quegli stupidi lampioni fatti ad obelisco, sistemato altrove la piante espressioniste di ulivo, riciclato i relativi vasi rossi di plastica, cancellato marciapiedi e company, mantenuto il traffico, rinnovato il permesso agli ambulanti senza porci il problema se esista o meno un finto ambulante vero burattinaio, insomma mantenuta in essere la complessità, evitata quella finta pulizia che tanto assomiglia ad altro innominabile)… E come detto all’inizio. E’ necessario ripristinare un caos significativo, un irrisolto che possa dirsi ragionevole… Il piano di posa nel frattempo si va espandendo nella nostra percezione molto più liberamente di quello prima costretto alla prigionia centrale prospettica. Si espande a Borgo Pio, Lungotevere, Oltre Tevere, Tuscolana se necessario. Una regata di barche (ne bastano poche) e velature (ne servono molte e complesse) coglie il vento della storia nella fissità di un’eterna bonaccia. Tutto è fermo, eppur si muove. Gli alberi, le cime, le vele si colgono all’occhio della città fin da lontano, molto lontano. Sono bianche (per ora) (certo in attesa dei mille simboli che costellano il cielo dei Santi). Risuonano, sbattendo al vento. Mostrano e nascondono. Sono al contempo macchine sceniche e parvenza di quinte. Io non riesco dire di meglio… Indurre i luoghi al meticciato. E questo, penso, un modo non banale di sentirsi architetto. (fig 5)
Articolo sesto: Inadeguato 1 e Inadeguato 2: violenti da sedare
Costretto, chi scrive, a mostrare le immagini della propria idea (2a, 2b). Adesso abbiamo a che fare con l’aspetto più ostico del problema. Perché gli edifici costruiti per dare un senso compiuto a via della Conciliazione (il cosiddetto nobile impedimento), invece di presentarsi come un semplice boccascena, spalancano grandi fauci e si autoproclamano a vera e propria controscena. Un fuori scala che penalizza soprattutto il sacro colonnato di Bernini. Disegnati per altro con mano pesante. Senza nemmeno quel tanto di metafisico che poteva ben essere traslato dai coevi oggetti dell’Eur… Ma non ci addentriamo nei perché scivolosi della storia dell’arte. Il nodo della questione, ovviamente per chi ritiene ineludibile sedare questi due esseri violenti, è come farlo!, giacché né matasse di neon né orde di graffitari (ammesso che ciò venisse mai concesso) potrebbero raggiungere credibilmente lo scopo. I nostri eroi, Inadeguato 1 e Inadeguato 2 (affacciati sull’odierna piazza Pio XII), vanno attaccati a fondo, nella loro fisicità, nel loro elementare linguaggio formale (inadeguati, appunto). E il mio istinto mi suggerisce qualcosa come di un’opera di traforo, una tarlatura estesa, un destino che si smaterializza nell’aura della transizione paleocristiana, merletti di pietra. Le pezze d’appoggio ce le avrei. Chi può dire no ai reperti del Lapidario Cristiano ai Musei Vaticani? Segni arcaici. Scritte concettuali latine. Santi che ricordano Giacometti. Un bendidio di segni già pronto in piccole lastre, mattonelle ideali di un rivestimento su impalcati leggeri. Guidati da un artista figurativo. Attraverso calchi metamorfici dei reperti. Guidati dalla mano di uno scultore. Le mescole adatte non mancano davvero. Fuori scala, molti. Marmi incisi nel profondo, addolciti dal tempo. Bianchi non bianchi ombrati dall’aria e dall’uso. Le briciole della storia come tessere di un mosaico. La modernità sotto forma di incertezza. Svuotamento cosciente dei miti. Un eterno cantiere di un cantiere! L’unica forma di quasi architettura perenne che mi sentirei di consigliare in questi luoghi indiscutibili. (fig 6)
Articolo settimo: Nel frattempo
Stando ai bordi, seppur emarginato, guardi sia dentro che fuori. Mentre io, una tantum, vado svolazzando su luoghi che sembrano come fuori dalla discussione sulla storia, tutti i miei colleghi architetti sono immersi in lavori di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria. (Tutto è manutenzione, a ben vedere, in un mondo complesso). Dentro città che si sono dilatate a dimensioni senza misura. Sconosciute agli artefici stessi. In un mondo che mi affascina non solo per la sfuggevolezza dei perché, ma soprattutto per i processi di continuo lifting dell’immagine cui assisto curioso. Grazie alla miracolosa elasticità del moderno. Cui si aggiunge la percezione, netta, della dimensione planetaria del fenomeno. Ora, se quanto detto si avvicina al comune sentire (tranne il deliquio di fronte al fatto…), meno certa è la percezione diffusa di un progressivo irrigidirsi della storia su se stessa. Che è alla disponibilità di tutti, la storia, ma nelle formule di conoscenza e d’uso che ben conosciamo. Quelle che presuppongono un preventivo, per quanto inconscio, atto di adorazione. Una passiva accettazione di valori che finiscono per dirsi assoluti. Rigidezze che, per forza di cose, producono crepe. E nelle crepe, se non ci si infilano gli architetti (soggetti potenzialmente pericolosi) certo ci si infilano altri. Benedetti. Che è inutile cambiare le forme, quando puoi agire sul significato delle forme stesse (dopo il “gesto” arriva non a caso lo “sciamano” – seppure in un vivido ed eterno mondo di neo qualcosa). Profetico ci appare il leone africano, gigante fuori scala! sulla facciata del Maderno (ci sono anche branchi di pesci argentei, che fluttuano liberi, su ordini di pietra, svaniti nell’inconsistenza di un qualche mare oceano)… Questo strano concorso vuole dire una cosa sola, semplice. Ci sono uomini e donne che accendono le loro lampadine e le relative connessioni neuronali, nell’istinto delle cose che capitano. E le cose capitano. Che lo si voglia o no. (fig 7)