redazione
Il New York Times e a seguire Il Fatto Quotidiano lo scorso 27 novembre, hanno sollevato numerosi dubbi intorno alla scultura raffigurante Venere al Bagno, in mostra a Palazzo Pitti nella eccellente esposizione “Plasmato dal Fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici“, a cominciare dal fatto che l’opera sarebbe stata scoperta oltre trent’anni or sono nel negozio di un rigattiere parigino, e che l’attuale proprietario, l’antiquario Alexander Rudigier, è in realtà amico di Eike Schmidt, il Direttore delle Gallerie degli Uffizi (da poco riconfermato nel suo incarico). Mentre va detto che lo stesso Rudigier è stato tra i curatori della retrospettiva tenutasi agli Uffizi e a Boboli nel giugno /ottobre dello scorso anno, dedicata a Fritz König (uno dei maggiori scultori tedeschi del ‘900, noto soprattutto per la sua grande “Sfera Cariatide”, situata tra le torri gemelle a New York e miracolosamente sopravvissuta al loro crollo) Eike Schmidt in effetti firma la scheda nel catalogo della mostra confermando l’attribuzione della Venere, mai esposta prima, probabilmente commissionata dai Medici al Giambologna -secondo chi ci vede la mano dell’artista- per il re Enrico IV di Francia, cosa che, come ha scritto l’organo statunitense “potrebbe influenzare il valore della scultura” considerato che “il signor Rudigier, proprietario dell’opera assieme a un altro mercante, da anni cerca di vendere il bronzo”. Altro elemento riguarda due dettagli non da poco: in primo luogo la data sul bronzo, interpretata come “1697” invece che come “1597” e poi iscrizione in latino “ME FECIT GERHARDT MEYER HOLMIAE” (“Mi fece Gerhardt Meyer a Stoccolma”) un nome che potrebbe individuare sia un collaboratore di Giambologna (forse Gerardo Fiammingo ? ma perchè il Maestro gli avrebbe fatto firmare l’opera?) sia uno scultore attivo in Svezia proprio alla fine del ‘600.
Insomma i contorni di un giallo ci sono tutti; ecco la replica dagli Uffizi
In merito alla vicenda del presunto ‘giallo’ della Venere al Bagno del Giambologna, una delle novità esposte nella mostra “Plasmato dal Fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici”, in corso a Palazzo Pitti fino al 12 gennaio prossimo, le Gallerie degli Uffizi intendono fare chiarezza.
Contrariamente a quanto affermato, non è corretto che una maggioranza degli studiosi sia contraria all’attribuzione di quest’opera a Giambologna. Anzi: a favore si sono schierati, chiaramente e inequivocabilmente, numerosi e stimatissimi esperti della materia. Vale la pena citarne qui alcuni:
Bertrand Jestaz, già professore a Parigi alla École nationale des chartes (Scuola Normale Superiore per la Paleografia), alla École du Louvre ed alla École pratique des Hautes-Études. Jestaz è il doyen degli studi del Rinascimento italiano in Francia e uno dei massimi esperti del bronzo rinascimentale italiano.
Il professor Lars-Olof Larsson, autore della prevalente monografia sul più famoso allievo del Giambologna, Adriaen de Vries, e profondo conoscitore dell’arte svedese.
Charles Avery, già curatore del Victoria and Albert Museum ed autore dell’unica monografia recente del Giambologna. Avery pubblicò per primo la Venere al bagno in marmo ora accolta al J. Paul Getty Museum, la prima versione della Venere al Bagno in bronzo del 1597: all’epoca, dovette sostenerne l’autografia contro molte critiche. Il tempo gli ha dato ragione. Jestaz, Larsson e Avery hanno già partecipato alla fondamentale mostra del Giambologna nel 1978.
In più, la Venere al bagno in bronzo è già stata ampiamente discussa e analizzata in due tra le più importanti riviste scientifiche internazionali di storia dell’arte: Il Bulletin Monumental in Francia e il Burlington Magazine in Inghilterra. Lo scambio degli argomenti disponibili è stato portato a termine nel Burlington Magazine in favore all’ attribuzione al Giambologna. Come anche altri capolavori del bronzo rinascimentale la Venere è solamente firmata dal suo fonditore, che l’ha pure datata al giorno della fusione. Che un bronzo sia firmato dal fonditore corrisponde a un’usanza diffusa nel Rinascimento, ed oggi non più sufficientemente conosciuta.
La critica all’attribuzione è basata su una sbagliata lettura di questa iscrizione. È stato avanzato che la cifra “5” del 1597 sia un 6 incompleto. Questa ipotesi non è tecnicamente verificabile e rimane del tutto speculativa. Si può facilmente immaginare che se fosse stato un “6”, l’autore avrebbe corretto il numero incidendo a freddo dopo la fusione la parte lasciata aperta di quello che si legge come “5”, cosa evidentemente non avvenuta.
Alcuni commenti riportati sul New York Times e interpretati nell’articolo del Fatto Quotidiano si basano su test eseguiti sul bronzo oltre dieci anni fa, quando ancora gli strumenti non erano sofisticati ed esatti come quelli di cui disponiamo ora. Nondimeno, già vent’anni fa i tecnici del J.Paul Getty Museum avevano stabilito che il bronzo fosse del Cinquecento. Il risultato degli esami scientifici eseguiti ultimamente dal Laboratorio scientifico dei Musei di Berlino, confermato dall’Oxford Institute, Wantage e ricontrollati dal Professor Ernst Pernicka, membro dell’ Accademia Austriaca delle Scienze, al Centro di Archeometria a Mannheim permettono di escludere che il bronzo sia fuso dopo il 1648 con una probabilità di 99,7 percento.
Il direttore degli Uffizi, Prof. Eike Schmidt è uno dei massimi esperti della scultura bronzea rinascimentale. Come specialista ritiene che la Venere al Bagno del Giambologna sia un capolavoro dell’arte italiana del Cinquecento e che l’opera meriti l’inserimento nel contesto pubblico della mostra “Plasmato dal fuoco”. Inoltre uno degli obiettivi principali di questa mostra è di far vedere al grande pubblico opere che non sono mai state viste prima.
Quanto all’amicizia dello stesso Schmidt con il co-proprietario della Venere al Bagno, lo storico dell’arte ed antiquario Alexander Rudigier, si risponde che il direttore degli Uffizi, proprio in quanto esperto di bronzi antichi, conosce ed è in buoni rapporti con tutti gli antiquari del settore, tuttavia quando si tratta di stabilire quali opere debbano entrare o meno a far parte di una mostra, si attiene rigorosamente a valutazioni di tipo espositivo ed accademico. Che è lo stesso criterio seguito per scegliere se includere o meno opere di privati: con la doverosa precisazione che dall’ingresso di Schmidt alla guida degli Uffizi nel 2015, su un totale di oltre 90 esposizioni organizzate fino ad oggi, per circa 10mila opere complessivamente offerte alla visione del pubblico, sono stati selezionati prestatori privati in appena 90 casi.
La Venere non è mai stata esposta in una mostra scientifica, in confronto con le opere dello stesso artista. Solo in questa maniera ognuno può formarsi un giudizio. Il “debutto” a Palazzo Pitti è particolarmente prezioso proprio perché solo in pochi finora hanno avuto occasione di esaminarla in un contesto adeguato, quale è la mostra “Plasmato dal fuoco”.