di Nica FIORI
Tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te (Sei tutta bella, amica mia, e non vi è alcuna macchia in te).
Questo verso, tratto dal Cantico dei Cantici, cap. IV, è riportato in un cartiglio sotto l’affresco settecentesco dell’Immacolata sulla facciata di una casa in piazza della Rotonda (v. foto 1). L’iconografia è quella tradizionale dell’Immacolata, con il manto azzurro, le mani incrociate sul seno e ai piedi il globo, la falce di luna e il serpente. Si tratta di una delle tante immagini stradali della Vergine, chiamate “madonnelle”, che caratterizzano le vie cittadine, rendendo Roma un vero e proprio “santuario mariano” all’aperto. Anche in via Mario de’ Fiori, in piazza del Collegio Romano (v. foto 2), in via Uffici del Vicario (v. foto 3), in via del Pellegrino, e in altre edicole sacre sei-settecentesche troviamo l’Immacolata, a testimonianza di una devozione popolare, diffusa a Roma molto prima che Pio IX ne proclamasse ufficialmente il dogma l’8 dicembre 1854.
La festa dell’Immacolata Concezione, la più importante dell’Avvento, è in realtà antichissima, testimoniata in Oriente già nell’VIII secolo al 9 dicembre con il nome di “Concezione di Sant’Anna”. Secondo il protovangelo di Giacomo (inizio del II secolo), la nascita di Maria sarebbe stata miracolosa, perché i suoi genitori, Anna e Gioacchino, non potevano avere figli e Gioacchino, dopo esser stato cacciato dal Tempio perché sterile, si era ritirato nel deserto digiunando e pregando il Signore. Dopo 40 giorni un angelo gli apparve in sogno annunciandogli che sua moglie avrebbe concepito un figlio, e allora lui ritornò dalla moglie, che aveva avuto contemporaneamente un’analoga visione angelica. L’incontro tra i due avvenne presso la Porta d’oro di Gerusalemme ed è stato mirabilmente raffigurato da Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Dopo nove mesi venne alla luce Maria (il cui nome vuol dire “amata da Dio”), che sarebbe nata senza peccato originale, ovvero “piena di grazia”, come la chiamerà l’arcangelo Gabriele nell’Annunciazione, per poter accogliere il Figlio di Dio. Questa credenza, anche se non espressa chiaramente nella Bibbia, si affermò nel tempo, nonostante il parere sfavorevole di alcuni teologi. Si ricorda in particolare Anselmo d’Aosta (1033-1109), vescovo di Canterbury, come teorico della Madonna nata nel peccato originale e poi redenta dal Signore prima della nascita di Cristo. La sua tesi fu confutata in seguito da Giovanni Duns Scoto (1265-1308), detto il Dottore dell’Immacolata, al cui pensiero aderirono i francescani, mentre i domenicani seguivano l’opinione di Anselmo d’Aosta. Le controversie durarono per secoli, finché Sisto IV, che era un francescano, proibì le dispute sull’argomento e inserì la festa dell’Immacolata Concezione nel calendario liturgico di Roma. Nel secolo successivo, il concilio di Trento (1556) dichiarava che Maria non era inclusa nel peccato originale, ma senza definirne il dogma, e pontefici successivi ribadirono il concetto, fino a che Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus ne proclamò il dogma.
A Roma si ricorda la presenza dell’Arciconfraternita dell’Immacolata, fondata nel XVI secolo con il patrocinio dei Francescani, che ha avuto per un certo tempo come chiesa di riferimento S. Lorenzo in Damaso. Come molte altre confraternite, soppresse dopo la caduta dello Stato Pontificio, doveva possedere diverse proprietà, in particolare un edificio in via dei Balestrari, 43, dove troviamo una targa marmorea (v. foto 4) con l’immagine a bassorilievo della Madonna e la scritta ARCHICONFRAT. IMACULATAE CONCEPTIONIS.
In via Vittorio Veneto si trova la chiesa dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria, notissima per l’annesso Cimitero dei Cappuccini, decorato con ossa umane, cui si è aggiunto da qualche anno un museo storico dei Frati Minori Cappuccini, che conserva un San Francesco in meditazione attrribuito a Caravaggio (1603 ca.). La chiesa venne edificata su commissione del cardinale Antonio Barberini, cappuccino e fratello di papa Urbano VIII, che ne benedisse la prima pietra il 4 ottobre 1626, festa di San Francesco, e vi celebrò la prima messa l’8 settembre 1630. Come tutte le chiese dei Cappuccini è a una sola navata, con cappelle laterali rialzate e chiuse da cancellate. Tra di esse spicca quella dedicata a San Michele Arcangelo, abbellita con il noto dipinto di Guido Reni raffigurante San Michele Arcangelo combatte contro Satana. Tra le altre opere d’arte che vi si conservano ricordiamo l’Estasi di San Francesco del Domenichino, la Trasfigurazione di Cristo di Mario Balassi, la Natività di Giovanni Lanfranco, San Pietro e la Maddalena di frate Norberto Baumgartner da Vienna e ovviamente sull’altare maggiore vi è una grande pala d’altare con l’Immacolata Concezione, realizzata nel 1814 da Giacomo Bombelli (v. foto 5), in sostituzione della tela di Giovanni Lanfranco del 1628 circa, andata distrutta nel 1813 durante l’occupazione francese. Vestita di rosa e con il mantello azzurro svolazzante, la Vergine scende dal cielo, tra angeli festosi, mentre la colomba dello Spirito Santo irradia su di lei la sua luce.
Nel parco di Villa Borghese vi è pure una piccola chiesa dedicata a S. Maria Immacolata, voluta dal principe Marcantonio IV Borghese, nell’ambito della ristrutturazione tardosettecentesca della villa affidata all’architetto Antonio Asprucci. Si trova in prossimità di piazza di Siena (dietro la cosiddetta Casina di Raffaello) ed è tuttora officiata. Presenta una facciata neoclassica con un portico a colonne doriche (v. foto 6) e all’interno affreschi di Felice Giani e Giovan Battista Marchetti, mentre sull’altare è collocata una statua in marmo dell’Immacolata, scolpita da Filippo Andrea Grand Jacquet e acquistata nel 1792 (v. foto 7).
La chiesa, la cui architettura si deve ad Antonio Asprucci e al figlio Mario, è stata successivamente restaurata nel 1829 da Luigi Canina, sotto Camillo Borghese.
Nonostante la presenza di queste e di altre chiese più recenti (tra cui quella in stile neogotico in via Emanuele Filiberto, all’Esquilino, e quella neoromanica di Santa Maria Immacolata e San Giovanni Berchmans, in piazza dell’Immacolata, nel quartiere Tiburtino) e di varie raffigurazioni sugli altari di diverse chiese, per i romani l’Immacolata per antonomasia è la statua di piazza Mignanelli (v. foto 8), adiacente a piazza di Spagna.
La statua, alta 4 m, è collocata su un’antica colonna di cipollino, a sua volta poggiante su un’alta base, contornata dalle statue di Mosè, David, Isaia ed Ezechiele e da riquadri che illustrano l’Annunciazione, il Sogno di San Giuseppe, l’Incoronazione della Vergine e la Proclamazione del dogma dell’Immacolata (v. foto 9 e foto 10).
Il progetto del monumento si deve all’architetto Luigi Poletti, mentre la statua dell’Immacolata fu modellata dal friulano Giuseppe Obici e fusa in bronzo nella fonderia di Luigi De Rossi. Venne eretta nel 1856 per commemorare la proclamazione papale, non a caso a due passi dall’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, perché questa nazione si era maggiormente impegnata per ottenere la definizione del dogma. Ed è sempre da piazza di Spagna, ma stavolta a opera dei Fratelli del Collegio di San Giuseppe de Merode, che è partita l’idea di deporre un serto di fiori ai piedi della statua il giorno della sua festa. Era il 1885 e da allora la pratica si è diffusa tra varie rappresentanze religiose e tra le maggiori aziende ed enti romani, fino a diventare una tradizione.
Tutti gli anni, dopo aver assistito alla messa delle ore 9 nella chiesa della Trinità dei Monti, le delegazioni delle aziende di trasporto, dell’Italgas, dell’Inps, dei Marinai d’Italia, del Poligrafico dello Stato, dei Pompieri (il più anziano dei quali di prima mattina sale con l’aiuto di un’autoscala a deporre una ghirlanda sul braccio della Madonna), ecc., si recano in processione presso la colonna mariana per deporre i loro omaggi floreali, circondati da una gran folla di romani e di turisti. La discesa lungo la scalinata di Trinità dei Monti è molto suggestiva e avanza lentamente, accompagnata dalla musica della banda dei Vigili. La festa raggiunge il culmine nel pomeriggio, alle ore 16, quando arriva il Papa per rendere, a sua volta, omaggio all’Immacolata e ammirare le composizioni multicolori e profumate che fin dall’antichità sono state associate alla Madre di Dio.
Il Papa nello stesso giorno visita la Basilica di Santa Maria Maggiore, davanti alla quale è collocata una colonna corinzia romana (proveniente dal Foro della Pace), che sostiene una statua della Vergine col Bambino, mentre all’interno vi è un affresco (v. foto 11), detto dell’Immacolata Concezione, realizzato da Lodovico Cardi, detto il Cigoli, tra il 1610 e il 1612 nella Cappella Paolina, su commissione di Paolo V Borghese.
In realtà nella richiesta del papa non si parlava espressamente dell’Immacolata, ma di un’iconografia tratta dall’Apocalisse:
“Nella cupola si dipingerà la visione dell’Apocalisse cap. 12, cioè una donna vestita di sole, sotto i piedi la luna, intorno al capo una corona di dodici stelle. Incontro San Michele Arcangelo in forma di combattente. Intorno le tre hierarchie distinte ciascuna in tre ordini: sotto a basso esca un serpente con la testa schiacciata, come al capo 3 del Genesi. Intorno li dodici Apostoli”.
Secondo moltissime interpretazioni teologiche, la donna che calpesta il serpente allude proprio alla Madonna che vince sul male. Ed è da questa visione che deriva la tradizionale iconografia dell’Immacolata che, pur con diverse varianti, nei suoi elementi essenziali è rimasta immutata. Le dodici stelle simboleggiano le tribù d’Israele, come pure i dodici apostoli, il serpente rappresenta il maligno sconfitto, la veste bianca con il mantello azzurro è un simbolo di purezza. Più complesso è il significato della luna, simbolo della purezza della Madonna e allo stesso tempo dei cambiamenti del mondo. Si potrebbe anche pensare ad una mutuazione dalle immagini di alcune dee dell’antichità, raffigurate con il crescente lunare. La chiesa vedeva la luna come astro incorrotto, con la superficie liscia, ma il Cigoli la raffigurò come la descrisse Galileo nel Sidereus Nuncius (1610), ovvero con rugosità, montagne e crateri, evidenziando così, all’interno di una chiesa papale, l’operato dello scienziato che tre anni dopo sarebbe stato denunciato al Sant’Ufficio per le sue idee astronomiche.
Per storicizzare l’evento della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, Pio IX non si limitò a far erigere la colonna di piazza Mignanelli, ma fece pure realizzare nel Vaticano una serie di affreschi sulle mura di una sala dell’antica Torre Borgia, che da allora viene chiamata Sala dell’Immacolata. L’artista prescelto fu Francesco Podesti (Ancona 1800 – Roma 1895), marchigiano come il papa, che con grande coraggio e umiltà affrontò l’incarico di confrontarsi con la contigua sala dell’Incendio di Borgo di Raffaello.
E proprio al grandissimo Urbinate sembra rifarsi il Podesti, che nel grande affresco della “Proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione” (v. foto 12) rievoca l’impostazione dello spazio della “Disputa del Santissimo Sacramento” di Raffaello. L’affresco si divide in due parti, in basso è rappresentata la Chiesa militante con a capo Papa Pio IX, che proclama il dogma all’interno della Basilica di San Pietro, in alto la Chiesa trionfante con la Santissima Trinità, i santi e gli angeli che rendono onore a Maria Immacolata.
Il Papa chiese al Podesti di essere “figurato alzatosi da sedere”, nonostante il cerimoniale prevedesse che egli leggesse la dichiarazione stando seduto. Pio IX, in effetti, a un certo punto si alzò in piedi, perché all’improvviso un raggio di sole lo aveva colpito in pieno volto e quel raggio fu interpretato dal Papa come segno di approvazione divina. Il raggio di luce nell’affresco è promanato dalla Croce, sostenuta da un angelo. Proprio in corrispondenza del baldacchino papale, in alto è raffigurata la Vergine Immacolata, in candida veste e manto azzurro, con ai lati Dio Padre e Cristo, mentre su di lei scende la colomba dello Spirito Santo (v. foto 13).
A destra di questo gruppo della Trinità, ma ad una certa distanza, sono raffigurati anche Adamo ed Eva. Mentre Adamo tende le sue braccia verso l’Immacolata, Eva china il capo con atteggiamento di vergogna. Il volto di Maria e quello di Eva sono identici. Maria, infatti, è la nuova Eva, che, come afferma Sant’Ireneo, “obbedendo alla Parola di Dio, scioglie il nodo del peccato e della morte, a cui Eva ha condannato tutta l’Umanità”. Alle spalle di Adamo, angeli e demoni sono impegnati in una battaglia tra le nubi.
Tra i dipinti romani sul tema dell’Immacolata, ce ne sono alcuni realizzati da grandi pittori. Ricordiamo l’Immacolata della metà del Seicento del ticinese Pier Francesco Mola nella centralissima basilica di San Marco, che ci colpisce per la dolcezza del volto di Maria e delle testine angeliche che svolazzano nella calda luce del cielo (v. foto 14). Bello e significativo nella sua iconografia è il dipinto ovale di Carlo Maratta (1663) nella Cappella De Sylva della chiesa di Sant’Isidoro, in via degli Artisti: la Madonna, in piedi sulla falce lunare, è raffigurata con il Bambino tra le braccia, che trafigge il serpente con una lunga croce (v. foto 15).
I colori di quest’opera, e in particolare il bruno dorato del cielo al tramonto, s’intonano perfettamente con quelli del fondale architettonico, in un proseguimento ideale dello spazio, progettato in senso barocco nel 1662-63 dall’immortale ingegno del cavalier Bernini, come risulta da un’iscrizione.
Pure di Maratta è la Immacolata con Santi o Disputa sull’Immacolata a Santa Maria del Popolo (v. foto 16). Il pittore, esponente di spicco della cultura romana del secondo Seicento e dell’ultimo barocco, ci offre in questo caso una tela più complessa, dipinta nel 1689, che presenta le discussioni teologiche relative all’Immacolata Concezione della Vergine Maria. Al di sotto della Madonna, San Giovanni evangelista spiega la dottrina dell’Immacolata a San Gregorio Magno, San Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino. Quest’ultimo è dipinto in basso a sinistra: ha deposto il bastone pastorale e la mitra, indossa un abito da vescovo, ma sotto porta il saio nero degli eremitani. È intento a scrivere, ma i suoi occhi guardano in cielo come se fosse ispirato dall’alto.
È opera del pittore di origine sivigliana Francisco Preciado de la Vega l’Immacolata (v. foto 17) della chiesa della SS. Trinità degli Spagnoli, in via dei Condotti. Risale al 1750 ca. e rispecchia l’iconografia della “pulcra et luna”, che in Spagna aveva avuto particolare successo con Zurbaran e Murillo, ovvero la Vergine biancovestita che scende dal cielo sul crescente lunare, simboleggiante in questo caso la vittoria dei popoli cristiani sui musulmani. Ricordiamo a questo proposito che i Trinitari avevano, come fine principale, quello di riscattare gli schiavi cristiani dagli infedeli.
Una chiesa importante per il culto dell’Immacolata è la Basilica di Sant’Andrea delle Fratte (nell’omonima via del rione Colonna), che è stata definita la piccola Lourdes di Roma, per via di un’apparizione mariana che risale al 20 gennaio 1842. All’epoca l’avvocato ebreo Alphonse Ratisbonne ebbe in questo luogo una visione, che lo fece convertire immediatamente al cristianesimo. Egli, che provava una profonda avversione verso i cattolici, indossava in quel momento, quasi per sfida, la cosiddetta “medaglia miracolosa”, che era stata fatta coniare in Francia da suor Catherine Labouré, dopo le apparizioni della Vergine Maria a questa veggente, avvenute a Parigi in Rue du Bac nel 1830. La medaglia, secondo le indicazioni della Madonna, recava una scritta in francese, che in italiano è stata tradotta con le parole “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”.
Queste apparizioni segnarono l’inizio di una serie di manifestazioni mariane sempre più diffuse nel mondo e diedero la spinta a Pio IX a istituire una commissione teologica che si esprimesse sulla possibilità di definire il dogma dell’Immacolata. Nel 1858, quattro anni dopo la promulgazione del dogma, avvennero le apparizioni a Lourdes della “bella Signora”, che si qualificò a Bernadette Soubirous come l’Immacolata Concezione e da allora la Madonna di Lourdes divenne in assoluto quella più popolare del mondo cattolico.
L’immagine che si venera a Roma nella Cappella-Santuario della Madonna del Miracolo a Sant’Andrea delle Fratte, la stessa raffigurata nella “medaglia miracolosa”, è pur essa un’Immacolata, con l’aggiunta di raggi che escono dalle sue mani, a simboleggiare le grazie che la Madonna ottiene per le persone che gliele chiedono (v. foto 18). E allora, non ci resta che entrare a questo punto nella bellissima chiesa romana, sostare davanti all’immagine miracolosa di Maria, sperando in una grazia, se siamo credenti, o, se non lo siamo, possiamo ammirare due Angeli con gli strumenti della Passione, realizzati da Gian Lorenzo Bernini per Ponte Sant’Angelo, o l’architettura di Francesco Borromini, che nel campanile ha dato il meglio di sé creando un’opera spettacolare. Possiamo alla fine passare, direttamente dalla chiesa, nell’attiguo chiostro dei frati Minimi di S. Francesco di Paola, che è una vera oasi, rigogliosa di verde, in pieno centro storico.
Nica FIORI Roma 9 novembre 2019