di Fabio OBERTELLI
Ludovico Carracci a Piacenza:
un innovatore della storia dell’arte moderna che nella città emiliana ha lasciato preziosissime testimonianze.
Piacenza crocevia di culture, “terra di passo”, madre accogliente di un patrimonio storico artistico tanto delizioso quanto popolarmente discreto, celebra fino al 6 Gennaio 2020 il grande pittore bolognese. Ludovico e il cantiere del Duomo piacentino, una relazione nata dallo spirito rinnovatore del Vescovo Claudio Rangoni, il quale si fece promotore dell’adattamento artistico della Cattedrale agli incalzanti dettami della spinta controriformista.
L’evento espositivo si divide tra gli spazi del Museo Kronos e i nuovi affacci dai matronei presbiteriali dell’annesso Duomo. Qui tra il 1605 e il 1609 furono impegnati nella decorazione pittorica non solo il Carracci (con gli allievi Lorenzo Garbieri e l’eccellente Giacomo Cavedoni), ma anche Camillo Procaccini. L’apertura inedita di questi percorsi permette di godere appieno della straordinaria macchina artistica progettata e realizzata dai maestri emiliani.
Le orchestrazioni cromatiche di Ludovico, i suoi corpi rinati e ridestati dal torpore tardo manierista e gli stravaganti angeli dalle capigliature a tratti rosate donano al visitatore la percezione di un sapore artistico che sta a metà tra la pienezza corporea e l’astrazione celeste. Non meno sensazionale risulta l’esposizione presso l’attiguo museo della cattedrale della tela raffigurante San Martino e il povero. Il dipinto, realizzato dal Carracci nel 1614 per l’altare dedicato al santo di Tours, venne posizionato nell’attuale sito in controfacciata della cattedrale dopo le ristrutturazioni scalabriniane volte al recupero dell’originale stile austero del duomo medievale. In mostra non solo la tela ma anche la documentazione attestante la commissione dell’opera al Carracci.
La grandiosa pala d’altare si presenta nella sua più completa ed innovativa portata artistica.
La composizione semplice, il Santo a cavallo intento a dividere il suo mantello col povero, il tutto ambientato al di fuori di una città turrita. La meravigliosa verità del corpo del mendicante, una scelta di modello che Ludovico scelse più volte e che già il Malvasia appellava “magroni”, per la loro emaciata, sciupata fisicità. L’accostamento cromatico, intelligentissimo, che guida l’occhio dello spettatore dal cielo aranciato infuocato, a tratti venustiano, al mantello che Martino è pronto a lacerare, fino ai riverberi caldi e terracei della consunta pelle del mendico. Un profumo di genuinità ammanta la tela, con le fisionomie di Martino che rimandano agli acerbi quanto autentici esiti guercineschi della seconda metà del primo decennio del XVII secolo.
Ci viene narrata una storia di conversione operata attraverso un gesto di misericordia, una storia che vuole nel povero la manifestazione del Cristo, motore della conversione martiniana. E sembra di rileggere il San Giuliano di Flaubert in queste trame pittoriche perennemente contemporanee. Un focus interdisciplinare che permette l’allenamento multisensoriale, un dialogo espositivo reso possibile dalla sinergica collaborazione dell’Archivio Storico Diocesano di Piacenza e dell’Archivio Capitolare del Duomo. Puntuale lavoro di interscambio e collaborazione tra i vari organi culturali della diocesi che permette inoltre la visita agli affreschi, sempre carracceschi, strappati e trasportati su tela oggi conservati presso il palazzo Vescovile.
Fabio OBERTELLI Piacnza 14 dicembre 2019