di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
Modernità vs Eclettismo . 2
ALLE ORIGINI DEL CLASSICISMO
Una grande esposizione della collezione dei marmi Albani Torlonia
Il cavalier Hamilton, che risiede qui come ambasciatore inglese, dopo essere stato a lungo un appassionato d’arte e aver ampiamente studiato la natura, ha trovato ora le massime gioie della natura e dell’arte sommate in una bella fanciulla: una giovane inglese sui vent’anni, molto avvenente e bel fatta, che tiene presso di sé. L’ha abbigliata alla greca, con un costume che la veste mirabilmente; ella poi si scioglie la chioma e, servendosi d’un paio di scialli, continua a mutar pose, gesti, espressioni ecc, tanto che alla fine par davvero di sognare … L’anziano cavaliere le regge il lume ed è in costante adorazione davanti alla sua persona. Trova in lei tutte le immagini dell’antichità, i bei profili delle monete siciliane e persino l’Apollo del Belvedere.
J.W. Goethe, Viaggio in Italia Caserta 16 marzo 1787
Era l’anno 1738 quando Maria Amalia Cristina, figlia di Augusto di Sassonia, andò sposa a Carlo III di Borbone re delle Due Sicilie (fig.1).
La regina scoprì nei suoi palazzi napoletani statue e sculture venute alla luce prima dell’ultima eruzione del Vesuvio; esse erano state rinvenute casualmente quando il principe di Elboeuf, facendo scavare un pozzo accanto alla propria residenza di Portici, piombò nel centro del teatro di Ercolano, dove riuscì a recuperare tre statue romane delle Vestali.
La regina insistette presso il regale consorte perché le permettesse di cercare nuovi reperti archeologici; le ricerche quindi ripresero fra molte difficoltà; occorreva superare quindici metri di massa eruttiva pietrificata, eredità della grande esplosione del Vesuvio dell’anno ‘79 dopo Cristo, quando una valanga di fango sommerse Ercolano assicurandone tuttavia la perfetta conservazione anche dei materiali più degradabili quali legno e stoffe. Nel suo periodo di maggior fortuna la città contava circa 4.000 abitanti (fig. 2)
Dalla bocca del pozzo già scavato dal principe d’Elboeuf furono resi praticabili nuovi passaggi e scavati ulteriori cunicoli fino a che vennero alla luce frammenti di un cavallo di bronzo, tre statue di personaggi romani, alcune colonne dipinte, un torso di cavallo bronzeo. Si trattava del palcoscenico del teatro di Ercolano su cui la violenza della lava aveva fatto precipitare la scena teatrale che, come in molti teatri dell’antichità, rappresentava un palazzo adorno di statue. Gli scavi proseguirono e venne rinvenuta la platea dell’Anfiteatro.
Il pensiero neoclassico crebbe con impeto grazie a quel fondamentale stimolo rappresentato dalla resurrezione delle città di Pompei ed Ercolano.
Johann Joachin Winckelmann
Di fronte a tanta ricchezza di rinvenimenti si ritrovò Johann Joachim Winckelmann. Uomo colto ed erudito, erede della cultura umanistica, Winckelmann era in grado di apprezzare e valutare a fondo le eredità dell’antichità. Winckelmann fu bibliotecario presso il conte dell’impero Heinrich von Bunau; la biblioteca che comprendeva 40.000 volumi riuscì finalmente a soddisfare la sua fama insaziabile di letture; lesse Omero, Sofocle, Erodoto, Platone e Senofonte.
Giunse a Roma nel novembre del 1755, strinse amicizia con il pittore Anton Raphael Mengs e conobbe il cardinale Alessandro Albani che lo assunse nella biblioteca della sua villa sulla via Salaria. Winckelman visse a contatto con i materiali della collezione del cardinale. Nel 1758 divenne bibliotecario e ispettore delle collezioni di Alessandro Albani; nel 1763 viene nominato ispettore generale di tutte le antichità di Roma. Egli seppe cogliere accanto alla struggente bellezza degli antichi reperti quella razionalità e funzionalità in grado di educare e promuovere l’elevazione della società settecentesca che l’Illuminismo si era proposto.
In seguito ad una visita ad Ercolano e Pompei pubblica il suo lavoro sulle scoperte di Ercolano. Nella Storia dell’arte presso gli antichi interpreta con grande acutezza le informazioni che aveva raccolto su Ercolano e Pompei. Si aprì in tal modo una potente corrente di attrazione verso gli ideali degli antichi che avrebbe dominato l’età del neo-classicismo.
Cambiò il senso e la qualità del voyage in Italie; la visita delle rovine di Ercolano e Pompei conobbe momenti di una travolgente passione (figg. 3 e 4).
Dietro a Winckelman, che in modo perdutamente sentimentale dichiarava il suo amore per l’antichità al punto da promuovere un ripensamento della storia tutta, seguirono, in particolare dall’Inghilterra, frotte di viaggiatori.
Quando sir Horace Walpole piombò a Napoli alla ripresa degli scavi scriverà emozionato all’amico Richard West:
ho visto qualcosa di cui non si è mai letto e forse mai udito…Un’intera città romana conservata sottoterra con tutti i suoi edifici! (fig. 5).
L’Antico, secondo il manifesto dello scozzese Robert Adam, posto in apertura nel suo “Lavori di Architettura”, diventava il fattore catalizzante di ogni moderno processo educativo: “L’unica via per divenire grandi e, se possibile, inimitabili è l’imitazione degli antichi.” La Grecia e l’Italia ed in particolare il mondo romano divenivano il centro degli interessi culturali degli eruditi. Si vennero a formare le grandi collezioni della antichità.
La Villa Albani
La villa suburbana del cardinale Alessandro Albani, un’ampia distesa di vigne e prati attraversata dall’acquedotto Felice presso Porta Salara, già proprietà degli Accoramboni, Ercolani e Orsi, venne acquistata intorno alla metà del Settecento (fig.6).
Seppur nipote del papa, Albani non poteva disporre di mezzi finanziari tanto vasti da farsi costruire una residenza suburbana nello stile di altre dimore romane come quelle dei Mattei, dei Ludovisi, dei Borghese, dei Doria Panfili; la costruzione della villa gli costò un grosso sforzo e lo occupò, insieme agli importanti decori ed al raffinato arredo, per quasi mezzo secolo.
Del progetto fu incaricato l’architetto Carlo Marchionni che realizzò la Villa fra il 1756 e il 1763; ma il regista della costruzione fu lo stesso cardinale coadiuvato da Winckelmann, il vero signore del magico luogo. La cerchia di artisti che vi lavoravano fu vasta; la definizione dell’apparato decorativo fu affidato, molto probabilmente a Giovan Battista Piranesi, la cui presenza è testimoniata dalla sua “veduta della villa” (fig. 7)
e in molti pezzi antiquari incisi sui vasi che decorano il Casino nobile. E’ quasi certo inoltre che il cardinale si avvalse della consulenza dell’agrimensore e cartografo Giovan Battista Nolli, da lui qualificato come “attuale mio architetto”, che ebbe un ruolo determinante nel definire l’impianto del palazzo, destinato ad accogliere la collezione archeologica, e nell’ideazione del giardino terrazzato. L’architettura del Casino nobile, la regolarizzazione dei dislivelli del terreno, il giardino all’Italiana, il folto bosco, costruiscono un magnifico rapporto della Villa con il paesaggio della campagna romana, che allora si estendeva fuori dalle mura aureliane.
Nella Villa il cardinale non abitò; fu un edificio di rappresentanza progettato essenzialmente in funzione della grande raccolta di antichità archeologiche di cui il cardinale giustamente andò fiero. Fu una sintesi architettonica del gusto antiquario della metà del ‘700; la collezione di marmi greci e romani sarà la più ricca ed importante collezione privata di arte greco-romana del Settecento europeo. La Villa divenne così un luogo di cultura, di dilettevoli soggiorni per la cerchia di amici antiquari che il cardinale raccolse intorno a sé. Si organizzavano erudite discussioni, concerti, danze e commedie mascherate e gli ospiti rimanevano ammirati dalla ricchezza degli arredi, dai marmi policromi, dall’eccezionale raccolto di originali greci e sculture romane.
Winckelman lo assecondò in questa impresa:
“Il cardinale Albani…il più grande antiquario che viva, ha compiuto di far edificare la villa, e vi ha posto in luce delle statue e degli altri monumenti, che nessuno aveva conosciuto sin qui”… “ci andavamo al tramonto e passeggiavamo con il cardinale…è la più stupenda opera che mai sia stata immaginata ai nostri dì….quello che hanno fatto gli altri sovrani è al confronto, gioco da ragazzi”.
Circondata da vigne, orti, prati il terreno perfettamente rettangolare è delimitato nei due lati minori dal Palazzo residenziale, il cosidetto Casino nobile, e dal Canopo semicircolare, con alle spalle la Coffeehouse. Fra i due edifici è disteso un giardino “all’Italiana” impostato su una fontana circolare. Il Palazzo con ampia galleria al piano terreno, piano nobile ed attico è un perfetto parallelepipedo a nove campate e si affaccia sul giardino contornato da boschi e boschetti. Il giardino-terrazza rispetta la regolarità dei parterres e degli assi in corrispondenza delle aperture principali della costruzione (fig. 8)
La collezione delle sculture
Winckelmann ricorda il largo reimpiego dei materiali di scavo che il cardinale andava personalmente a raccogliere non appena veniva informato del loro rinvenimento “nel palazzo di questa villa sono tante colonne di porfido e granito ed alabastro orientale, che sembravano una selva” prima che il cardinale stesso le collocasse al posto stabilito. Ricorda Rodolfo Lanciani che solo a Roma furono rinvenute 1012 colonne; le più belle, circa 200, furono trasportate nella Villa del cardinale che personalmente decise dove riutilizzarle.
Wilckelmann dispose le antichità secondo un calcolato percorso: le statue degli eroi e degli imperatori nel Casino (fig. 9);
quelle dei poeti, dei filosofi nelle ali laterali, infine le divinità nell’esedra terminale. Definì la collocazione emblematica del ritratto di Antinoo, il celebre rilievo rinvenuto a Villa Adriana, incorniciato sopra il grande camino, come uno specchio in una cornice Luigi XIV, in modo da sottolineare l’immortalità di un mito che vincerà lo scorrere dei tempi. In questo gioco di continua commistione fra antico e moderno si inserisce, nel salone principale del Casino nobile, il celebre l’affresco del Parnaso, dipinto da Anton Rafael Mengs che ben presto divenne il manifesto pittorico del neoclassicismo (fig. 10).
Il cardinale volle una Villa pensata in funzione della sua collezione di marmi greci e romani con il fine di conferire la massima leggibilità e rilevanza ai pezzi di maggior pregio e risalto. Il risultato, ben lontano da una banale copia dell’Antico, fu un complesso di grande unità fra tutti gli elementi, il Casino, il giardino, gli edifici minori – il tempio di Diana, il tempio delle Cariatidi, la Kaffehaus, il tempietto diruto – che rispecchiavano la contemporaneità della Villa e l’eccezionalità della collezione. Mecenate di Giovanni Battista Nolli, il cardinale volle che modificasse il disegno della pianta di Roma, già completata nel 1744, proprio per aggiungere la Villa che sorgeva fuori dal perimetro delle mura aureliane.
Così mentre i papi allestivano i Musei Vaticani per aprirli alla popolazione della città, l’esposizione dei marmi e delle statue della Villa del cardinale Albani fu diversamente concepita per una cerchia sceltissima di eruditi; oltre i marmi greci e romani la collezione comprendeva pitture di Perugino, Signorelli, van Dyck, Tintoretto, Guercino, Giulio Romano, Annibale Carracci, David ed altri ancora.
Scriverà Anna Ottani Gavina nel suo saggio Il settecento e l’Antico per la Storia dell’Arte Italiana (Einaudi 1982) a proposito della Villa Albani: “Sono forse gli approdi più alti di quell’architettura d’Arcadia” che il classicismo dell’Accademia, patrocinato dallo stesso Albani, aveva varato negli anni ’30 del Settecento, accelerando il processo di decomposizione della cultura barocca.
I Torlonia diventano proprietari.
Le esorbitanti spese sostenute e quelle necessarie per soddisfare la sua passione di collezionista e mecenate, costrinsero il cardinale Albani alla vendita della sua proprietà. Nel 1867 i Torlonia, famiglia con grandi interessi bancari e proprietaria dei vasti territori del Fucino, acquistarono il Palazzo e la collezione. Unificando la collezione Albani con le collezioni già acquisite dei marmi Giustiniani e Cavacappi ed i famosi affreschi della tomba Francois di Vulci, crearono un patrimonio culturale privato ineguagliabile.
Oggi la Villa Albani Torlonia conserva ancora il suo aspetto settecentesco; tuttavia il giardino appare in forte degrado; i tempietti e le numerosi marmi che adornano il giardino richiederebbero una necessaria periodica manutenzione (fig.11);
le sculture della collezione sono state trasferite nel Palazzo Torlonia di via della Lungara, accanto a Palazzo Corsini, che fino agli anni ‘Quaranta fu sede del Museo Torlona; la Villa è purtroppo difficile da visitare e pochi a Roma la conoscono; è necessario compilare un modulo di richiesta (info@fondazionetorlonia.or) precisando i motivi scientifici che ne giustifichino un sopralluogo, ma con poche speranze che la richiesta venga accolta.
Fin dal 1948 il palazzo di via della Lungara è stato sottoposto a vincolo; circa 40 anni fa i Torlonia, autorizzati a restaurarne il tetto, ne hanno, con l’occasione, ristrutturati gli interni ricavandone 93 miniappartamenti, e ammassando la collezione, compresa la collezione Albani, negli scantinati del palazzo (fig. 12). Le istituzioni non sono intervenute e l’opinione pubblica è stata tenuta all’oscuro.
Va sottolineato che il Codice dei Beni Culturali impone che
“i privati proprietari, possessori o detentori di bene appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione”
e che Il Ministero può imporre al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, gli interventi necessari per assicurare la conservazione dei beni culturali, ovvero provvedervi direttamente (articoli 1 e 32).
Finalmente, nell’Aprile 2020, grazie all’accordo fra il Ministero dei BB.CC. e la Fondazione Torlonia, si terrà a Roma, presso Palazzo Caffarelli al Campidoglio, una storica esposizione dei marmi e delle sculture della Collezione Albani -Torlonia.
Curatore della mostra sarà Salvatore Settis che in un intervista ha precisato il carattere della esposizione.
“Gli oggetti del Museo Torlonia che avevo a disposizione erano oltre 600. Chiaramente non si potevano esporre tutti. Ne abbiamo scelti 96. Cercheremo di far vedere come la collezione di antichità sia stata uno status symbol dalla metà del Quattrocento a tutto l’Ottocento”.
Francesco MONTUORI Roma 26 gennaio 2020