di Claudio LISTANTI
Un concerto nato dal progetto di Raffaele Pe per focalizzare la figura di Giulio Cesare nell’opera barocca attraverso la vocalità del controtenore.
Esecuzione di buon livello grazie anche al mezzosoprano Rafaella Lupinacci ed al complesso La Lira di Orfeo.
Giovedì 23 gennaio la Stagione dei Concerti dell’Accademia Filarmonica Romana prevedeva, presso il Teatro Argentina, uno dei concerti di punta della stagione, affidato a Raffaele Pe, controtenore molto apprezzato non solo in Italia ma anche a livello internazionale, per le sue interpretazioni nell’ambito del repertorio ‘barocco’ del quale è ritenuto uno dei punti di riferimento di oggi. Il concerto è stato accolto con favore dal pubblico che ha affollato la stupenda sala romana riservando al cantante e a tutti gli altri artisti che hanno partecipato all’esecuzione, un calorosissimo successo sottolineato al termine da lunghi e scroscianti appalusi.
Il concerto aveva come titolo Giulio Cesare. Un eroe barocco ad era strutturato con la stessa concezione storiografica di un cd recentemente uscito, grazie alla Glossa, dal titolo simile, Giulio Cesare: a baroque Hero, interpretato dallo stesso Pe assieme agli stessi interpreti del concerto che stiamo recensendo che ha ottenuto grande successo ed il prezioso riconoscimento artistico del Premio Abbiati 2019. Sia il Cd che il concerto che abbiamo ascoltato, sono stati concepiti come un ‘progetto’ (termine molto in voga oggi) rivolto a focalizzare la figura di Giulio Cesare, grande e famoso personaggio storico che nell’ambito della storia della musica e del teatro d’opera non ha avuto grande risalto se non nel periodo barocco fino alla fine del ‘700, non incidendo nel periodo cosiddetto ‘romantico’ che poteva essere l’habitat adatto per ospitare le gesta di un personaggio che abbina la grandiosità delle idee all’ eroismo, le passioni ai sentimenti.
In effetti c’è da dire che la scelta dei brani è stata particolarmente felice perché è riuscito a mettere bene in evidenza le varie poetiche musicali degli autori che con la loro musica hanno messo in risalto la personalità del condottiero romano a partire dal 1713 con il Giulio Cesare in Egitto di Carlo Francesco Pollarolo e la vivace aria “Sdegnoso turbine” o con l’aria “Il cor che sdegnato” dal Cesare in Egitto di Geminiano Giacomelli del 1736 dedicando il baricentro di tutta la serata al grande capolavoro di Georg Friedrich Händel quel Giulio Cesare in Egitto del 1724 vera e propria partitura mitica per tutti coloro che amano e studiano questo fervido periodo della Storia della Musica. Di questo capolavoro sono state scelte le arie “Va tacito e nascosto” e “Al lampo dell’armi” dallo spirito eroico e trascinante senza dimenticare la mestizia e i toni tristi dello splendido duetto “Son nato/a a lagrimar” tra Cornelia e Sesto. Nel finale due brani del tardo ‘700, “Spargi ormai di dolce oblio” da Cesare in Egitto di Niccolò Piccinni del 1770 e “Saprò d’ogn’alma audace” del 1788 da La morte di Cesare di Francesco Bianchi; l’ascolto di queste ultime due arie mette in evidenza l’evoluzione musicale maturata durante il ‘700 di questa forma di opera dove, certo, la vocalità conserva l’indiscutibile struttura belcantistica ma lo stile musicale ci porta verso Gluck e addirittura verso Mozart. Nel 1788, anno di composizione dell’aria di Francesco Bianchi, Mozart aveva già scritto opere come Nozze di Figaro (1786) e Don Giovanni (1787); fa particolare impressione rendersi conto di quanto gli stili siano distanti: quello di Bianchi evidentemente rivolto al passato ma sempre con classe ed eleganza e quello di Mozart che contiene i prodromi di ciò che sarà tutto l’800.
Come il lettore avrà già rilevato le opere contenenti i brani proposti sono per la quasi totalità dedicate al periodo storico che vede Giulio Cesare operare in Egitto, quindi un periodo ristretto della sua vita dominato più dai sentimenti personali e amorosi e dall’esotismo dei luoghi che dalla strategia politica per arrivare e conservare il potere e dagli eroismi per le conquiste militari. Solo il brano di Francesco Bianchi è relativo ad un’opera ispirata alla morte di Giulio Cesare. Un modo di rappresentare la vita di Cesare insolito e audace per l’epoca che non gradiva la rappresentazione di assassinii di re o imperatori per cui il contenuto del libretto di Gaetano Sertor può essere considerato quasi un unicum nella storia dell’opera.
Per quanto riguarda l’interpretazione vocale di Raffaele Pe c’è senz’altro da dire che il controtenore ha fornito una prova, per certi versi, superba in quanto a stile di canto, intonazione, controllo delle emissioni, espressività e comprensibilità dei vari testi letterari a base delle arie e precisione negli abbellimenti. Le considerazioni che ci sono da fare, a nostro giudizio, sono soprattutto di carattere estetico musicale.
Come noto le opere liriche di quel periodo prevedevano l’utilizzo, per alcune parti vocali, del castrato. Questo tipo di cantante che, per ovvi motivi, è progressivamente scomparso dalle scene liriche a partire dal tardo Rossini, anche se la prassi dell’evirazione si è protratta anche oltre, aveva una caratteristica preponderante: la potenza della voce in quanto a volume e la facilità estrema nell’affrontare qualsiasi abbellimento o virtuosismo estremo consentendo al cantante di avere una estensione vocale molto ampia tramite la quale poteva, con molta facilità, passare dal registro grave a quello più acuto. Inoltre, la loro educazione teorica musicale era particolarmente approfondita per cui non avevano difficoltà alcuna a praticare l’improvvisazione e arricchire la linea vocale con variazioni estemporanee.
Oltre a straordinari cantanti erano anche straordinari musicisti e gli autori utilizzavano queste peculiarità creando per loro parti vocali di straordinaria difficoltà. Nessuno di noi, oggi, ha la possibilità di rendersi conto di come fosse un’aria cantata da un castrato, ne sono di aiuto, vuoi per il repertorio scelto vuoi per la non eccelsa qualità dell’impianto vocale, le registrazioni di Alessandro Moreschi, cantore della Cappella Sistina fino al primo ventennio del’900 che nei primissimi anni dello scorso secolo incise su disco la propria voce, unico ad aver consegnato ai posteri una testimonianza della sua voce.
Fatte queste premesse si comprende bene che se si vuole eseguire un’opera di quel periodo occorre fare una scelta. Le opzioni sono due: il mezzosoprano o contralto (a volte anche il baritono) oppure il controtenore. Nessuna delle due ipotesi risulta essere appagante all’ascolto. Se con la prima si ottiene una convincente espressività ed un cospicuo ‘spessore’ vocale data dalla naturalità della voce con la seconda, invece, si ottiene certo una maggiore facilità e flessibilità negli abbellimenti ma la voce soffre di una inevitabile ‘artificialità’ che la rende purtroppo gelida e inespressiva.
Per comprendere con più efficacia quanto prima detto occorre dire che le cronache del tempo ci dicono che un cantante come Francesco Bernardi detto il Senesino, primo interprete di Giulio Cesare di Händel, era in possesso di una voce piuttosto potente con una intonazione perfetta; sapeva essere dolce o infuocato quando le circostanze sceniche lo esigevano. Sembra addirittura che fosse in grado di eseguire i gorgheggi ‘di petto’ con risultati sonori strabilianti.
Il controtenore è in un certo senso l’opposto. E’ in grado di rendere al meglio gli abbellimenti ma le note acute, ad esempio, sembrano il più delle volte artefatte. La voce è sempre ‘piccola’ e sembra ‘correre’ con difficoltà negli spazi delle sale teatrali. Nel complesso, però, anche grazie a partiture come il Giulio Cesare händeliano, il personaggio riesce a venir fuori con la necessaria incisività.
Questo contrasto tra i due tipi di voce è venuto fuori anche nel concerto ascoltato all’Argentina, nel duetto, tratto dal Giulio Cesare di Händel, “Son nato/a a lagrimar” tra Cornelia e Sesto. Questi due personaggi erano interpretati alla prima da due fenomeni dell’epoca. Il soprano Margherita Durastanti un Sesto ‘en travesti’ con la Cornelia del contralto Anastasia Robinson due voci, secondo il nostro criterio, di carattere naturale.
Nel concerto, invece, la parte di Sesto è stata sostenuta da Raffaele Pe mentre quella di Cornelia dal mezzosoprano Raffaella Lupinacci. Si è adottata, quindi, la soluzione di contrapposizione utilizzando due cantanti di ottima levatura; i contrasti tra soprano e contralto dell’originale, voce chiara e voce scura, sono stati garantiti. Pe ha cantato con passione ed eleganza così come la brava Lupinacci. Ma la calda voce naturale del mezzosoprano contrastava in maniera evidente con le emissioni perfette vocalmente ma fredde che risultano estranee al contesto.
Per quanto ci riguarda, personalmente, propendiamo per la soluzione ‘mezzosoprano’ spesso adottata in esecuzione del ‘900, in quanto ascoltare una voce più corposa rende i personaggi più veri. Oggi si tende ad affidare parti di questo genere al controtenore. Scelta ‘estetica’ come prima ricordato che, comunque, una non esclude l’altra e regala, in fondo, la possibilità di poter ascoltare queste opere prodotto fondamentale del periodo aureo del barocco.
Tornando ai nostri giorni merito straordinario del concerto è stato quello di presentarci Raffaele Pe come cantante dallo stile raffinato che, comunque la si pensi, ha messo in risalto tutte le bellezze musicali dei brani in programma, dimostrando estrema cura nella preparazione del concerto riuscendo anche ad introdurre quegli elementi di ‘improvvisazione’ necessari per una realizzazione ‘barocca’. Possiede una linea di canto per certi versi accattivante rafforzata da una emissione sicura evitando ogni tipo di forzatura spesso evidenti nelle interpretazioni dei controtenori riuscendo, anche grazie ad una buona dizione, a regalarci delle sonorità meno ‘artefatte’.
Assieme a Pe ed al già citato, e valido vocalmente, mezzosoprano Raffaella Lupinacci il complesso strumentale La Lira di Orfeo, guidata dal violino concertatore Luca Giardini, ensemble fondata dallo stesso Pe con la quale raggiunge una evidente simbiosi utile per realizzare l’intento della riscoperta dei tesori musicali antichi e barocchi. Al complesso erano riservati dei brani esclusivamente strumentali come la Sinfonie tratte da Cesare in Egitto di Geminiano Giacomelli, da Giulio Cesare in Egitto di Georg Friedrich Händel e da La morte di Cesare di Francesco Bianchi.
Qui a Roma c’è un particolare feeling tra il pubblico e la musica barocca ed anche in questa occasione gli appassionati di questo genere di musica sono convenuti numerosi presso il Teatro Argentina mostrando al termine del concerto un ampio gradimento per quanto ascoltato tributando continui e calorosi applausi per tutti gli interpreti che hanno ringraziato con due bis tutti dedicati al grande Händel: quello, certamente doveroso visto il carattere della serata, dello splendido duetto “Son nato/a a lagrimar” dal Giulio Cesare e “Lascia ch’io pianga” la stupenda aria di Almirena tratta dal Rinaldo che Raffaele Pe ha interpretato con grande teatralità restituendo al pubblico tutta la dolcezza, la tenerezza e la tristezza necessarie per la sua realizzazione.
Claudio LISTANTI Roma 26 gennaio 2020