di Sante Guido & Giuseppe Mantella
A 14 anni dall’intervento di smuratura dall’angusta nicchia nella quale era collocato, e dal successivo restauro, è stato appena inaugurato un nuovo allestimento del celebre Presepe della Basilica papale di Santa Maria Maggiore, (fig 1) in occasione della mostra dal titolo “Is Born” (24 dicembre 2019 – 22 febbraio 2020), esposizione nata a seguito della promulgazione della Lettera Apostolica di papa Francesco del 1° dicembre “Admirabile signum sul significato del Presepe”[1].
Il Presepe[2], opera di Arnolfo di Cambio, venne realizzato nel 1291 a poco meno di settant’anni dal primo presepe “vivente” ideato nel Natale del 1223 da san Francesco d’Assisi a Greccio, assumendo un valore spirituale e artistico di primaria importanza. Il committente delle sculture, che vennero eseguite per decorare un preesistente Oratorio dedicato alla natività del Cristo, posto presso la navata destra della basilica (fig 2), è da identificarsi nel pontefice Niccolò IV (1288-1292),
il primo francescano a salire sul soglio di Pietro,la realizzazione vide inoltre il coinvolgimento, stando a quanto riferito in un primo momento da Panvinio e successivamente da Giorgio Vasari nella Vita di Arnolfo, di “Pandulphus de Pontecurvo scriptor papae ” canonico della Basilica di Santa Maria Maggiore,.
Sebbene sul finire del Duecento le raffigurazioni della Natività di Cristo e dell’Adorazione dei Magi fossero già largamente diffuse – ad iniziare dal Sarcofago di Adelfia del IV secolo (presso il museo archeologico regionale “Paolo Orsi” di Siracusa) (fig 3) nel quale tra le decorazioni spiccano le scene della nascita di Gesù Bambino ,
sino al gruppo ligneo ducentesco conservato nella Basilica di Santo Stefano a Bologna (fig 4),
passando per le mirabili opere a Pisa e Siena di Nicola Pisano, maestro di Arnolfo – lo spirito della rappresentazione scultorea della Basilica Liberiana, nell’orma di quanto realizzato da san Francesco e per tramite di Niccolò IV, lo pone quale il primo e più antico presepe della storia del cristianesimo. Il contesto e alcune brevi annotazioni storiche appaiono determinanti per capirne il più profondo significato.
Secondo la tradizione, la basilica romana venne fondata sul colle Esquilino da papa Liberio (352-366)dopo la miracolosa nevicata della notte del 5 agosto 358, assumendo il nome di “Liberiana”; l’edificio ecclesiale fu storicamente consacrato da papa Sisto III (432-440) nella zona ove il culto per la Madre di Dio sostituì quello di Giunone Lucina, protettrice delle partorienti. Intorno alla metà del VII secolo, durante il pontificato di Teodoro I (642-649), la Basilica venne intitolata Santa Maria in Praesepium, in quanto venne edificato al suo interno un Oratorio del Presepe, destinato ad accogliere le sacre reliquie giunte da Betlemme: la mangiatoia (praesepium) ove venne adagiato Gesù bambino e le fasce in cui fu avvolto alla nascita (puerperium). Sancta Maria ad Praesepium e la relativa piccola cappella, ove erano conservate le reliquie, furono oggetto della grande munificenza da parte di molti pontefici medioevali come attestato dal Liber Pontificalis.
I due momenti più significativi della storia dell’Oratorio del Presepe sono strettamente connessi con eventi storici di grande valore simbolico: la sua fondazione alla metà del VII secolo con papa Teodoro I e il suo rinnovamento sotto le direttive di Arnolfo nel 1291, coincidono infatti con due date cruciali per la storia della Cristianità. La prima è la caduta della Terra Santa nelle mani degli Arabi dopo la conquista di Cesarea nel 640; la seconda è la definitiva perdita nel 1291 dei territori della Palestina a seguito della espugnazione della roccaforte di Acri, ultimo avamposto della difesa dei Crociati ma anche la disfatta diplomatica subita da Niccolò IV nel promuovere una nuova crociata, da lui strenuamente sostenuta, per riconquistare Gerusalemme e i territori limitrofi. Nell’impossibilità di raggiungere la Terra Santa l’Oratorio del Presepe, ove erano custodite le preziose reliquie, assunse per l’Occidente cristiano il ruolo del Santo Luogo della Natività di Cristo e l’intera Basilica di Santa Maria Maggiore, innalzata al titolo di “Seconda Betlemme”, come per tradizione fu spesso chiamata, divenne meta dei pellegrini “romei” in occasione delle festività natalizie.
Le reliquie del Presepe furono conservate nell’antica cappella fino al 1585 quando un nuovo pontefice francescano, papa Sisto V Peretti Montalto (1585-1590) (fig. 5) fece costruire da Domenico Fontana la monumentale Cappella del SS. Sacramento (fig. 6)
sul fianco destro della basilica e trasferire l’intero oratorio medioevale nella cripta al centro del nuovo ambiente. A riprova della sacralità dell’Oratorio del Presepe, l’architetto del papa, di fronte alle richieste del capitolo di Santa Maria Maggiore di preservare il “Santo Luogo”, progettò un ingegnoso sistema per trasportare l’intera Cappella che, racchiusa in una gabbia di legno e sollevata da carrucole e argani (figg. 7 – 8) ,
gli permise di sollevarla e spostarla di circa 10 metri calandolasotto il livello pavimentale. Fontana inoltre “restaurò” la cappella collocando le sculture di Arnolfo in un’apposito “nicchio quadro”, posto alle spalle dell’altare (fig 9).
Della conformazione originaria dell’Oratorio del Presepio, non rimane alcuna documentazione tranne le descrizioni di Fontana e due piante che permettono di ricostruirne la struttura architettonica nella versione tardo duecentesca: un ambiente rettangolare di circa 2,50 metri per 3,85. La cappella doveva riprodurre, in scala ridotta, l’ambiente edificato dall’imperatore Costantino sul luogo della Natività a Betlemme, la cui antica sistemazione è descritta in una delle lettere di san Girolamo. I romani e i pellegrini fino al 1585 poterono quindi osservare, durante la solenne messa papale della notte di Natale nella Basilica di Santa Maria Maggiore – la “Seconda Betlemme” – una ricostruzione molto simile all’originaria Cappella della Natività, impreziosita dalla fine del Duecento, secondo lo spirito francescano voluto da Niccolò IV, dalle raffigurazioni del Presepe scolpite da Arnolfo. Il Vasari, nel concludere la biografia dedicata al grande scultore e architetto fiorentino, ricorda per ultimo il Presepe di Santa Maria Maggiore “la cappella di marmo, dove è il presepio di Gesù Cristo, fu dell’ultime sculture di marmo che facesse mai Arnolfo”, quasi a suggellare con la citazione di quest’opera il più alto raggiungimento di una straordinaria carriera.
Il Presepe, il suo restauro e una “lettura” tecnica delle sculture.
Il Presepe è costituto da cinque sculture di marmo bianco raffiguranti: san Giuseppe, le teste del bue e dell’asino (fig 10) , un Magio orante inginocchiato e, in un unico blocco, le figure di due Magi stanti (fig 11,) a queste si aggiunga la scultura di Maria con il Bimbo ( fig. 12) seduta su un blocco di roccia. Quest’ultima è quella di maggiori dimensioni misurando circa un metro d’altezza.
Le figure, prima del restauro, erano collocate nell’angusto “nicchio quadro” – di 1,20 metri di lato – voluto da Fontana. Queste si presentavano quasi affastellate le une alle altre, senza alcun legame reciproco di sguardi, con una sistemazione molto distante da quella pensata dal loro artefice con attenti rapporti architettonico – prospettici. Le sculture arnolfiane, pur eseguite spesso ad altorilievo – come ad esempi gli Assetati a Perugia -, si collocano nello spazio quasi fossero sculture a tuttotondo “modellate” con forte sensibilità per i valori plastici ispirati ai modelli classici; la loro realizzazione, tuttavia, segue quello che Angiola Maria Romanini ha definito il “criterio di visibilità”: vale a dire che il maestro toscano realizzò le proprie sculture solo nelle parti che risultano a vista e ne lavorò le superfici sino al punto in cui l’occhio del fruitore poteva osservarle. Inoltre la loro creazione è governata dallo studio di precisi assi visivi: l’anatomia delle figure è deformata e i loro lineamenti non perfettamente definiti se vengono osservate da punti di vista diversi da quelli per i quali furono ideate. Secondo la prassi arnolfiana, quindi, anche le sculture del Presepe dovevano essere distribuite in tutto lo spazio disponibile, appositamente creato per loro, in stretta simbiosi tra scultura e architettura. Ricorrendo a precisi espedienti, Arnolfo ottiene il coinvolgimento “a effetto” del visitatore, che si trova collocato in uno spazio non separato ma condiviso con quello delle sue sculture. L’illusione di muoversi nello stesso ambiente delle figure scolpite giunge a coronare la sensazione di tridimensionalità dell’intero complesso figurativo.
Con queste premesse è stato eseguita,durante il restauro,l’analisi filologica delle cinque sculture e la lettura analitica delle tracce di lavorazione, quale strumento d’indagine che ha permesso di indagare quale avrebbe potuto essere l’originaria collocazione delle sculture e restituire, almeno parzialmente, le suggestioni suscitate dal gruppo originario. Numerose sono state negli anni, da parte degli studiosi ,le possibili“ricostruzioni” del Presepe in base a rimandi ad opere coeve in pittura o in mosaico. L’analisi diretta delle opere in ogni singolo dettaglio- come ad esempio il retro delle sculture ma anche alcuni lati murati o troppo accostati alle pareti -è stata però possibile solo grazie alla smuratura delle cinque sculture (fig 13). Le opere sono quindi apparse in tutta la loro complessità scultorea in base al “criterio di visibilità” ma anche quale risultanza di alcune drammatiche rilavorazioni che ne hanno per sempre alterato la conformazione originale. Interventi probabilmenteeseguiti in occasione dello loro collocazione nel“nicchio quadro” ideato da Fontana nel 1586.
A sinistra, come un pilastro che si emerge dalla parete, si staglia San Giuseppe, ( figg. 14 – 15) scolpito ad altissimo rilievo in un blocco parallelepipedo. Il volto solenne è incorniciato da una corta barba mentre il corpo è racchiuso in un mantello, dalle pieghe che cadono solide perfettamente perpendicolari, con le spalle leggermente incurvate e le mani incrociate sul bastone, elemento non secondario ma fulcro di tutta la raffigurazione. L’analisi dell’opera indica che il punto di visione prescelto dallo scultore è quello frontale e quello diagonale, segnato dal bastone, mentre tutto il lato sinistro della figura è stato eseguito per essere osservato solo parzialmente al punto che lo scalpello lascia i volumi appena abbozzati.
La rimozione dal muro della nicchia del Bue e l’Asino (fig 16) ha messo in evidenza la mangiatoia, sino alla smuratura del blocco assolutamente sconosciuta. La visione di profilo – dal lato del bue – è sicuramente quella scelta dall’artista, sebbene anche una visione diagonale, suggerita dalla perfetta angolatura della linea di giunzione dei due animali, soddisfi pienamente le regole prospettiche (figg. 17 – 18). Il gruppo doveva originariamente avere una lastra di fondo, come nel caso del San Giuseppe, rimossa con un lavoro malamente eseguito con la subbia che ha profondamente inciso il marmo, alterandone le dimensioni e la percezione.
Il Magio orante ha i fluenti capelli posati sull’abito sacerdotale, è in ginocchio, in adorazione, volgendo le spalle allo spettatore (FIG. 20). La sua figura è immobile ma vibrante, le mani bloccate nel gesto di preghiera e la testa sollevata in uno sguardo rivolto al centro della scena. La statua costituisce nel Presepe il caso più evidente della prassi di Arnolfo nel realizzare le sue sculture: non è scolpita sul lato destro (quello nascosto alla vista), e appare correttamente leggibile solo da precisi punti di vista, deformandosi se visto da una diversa angolazione. Anche in questo caso fu rimossa la lastra di fondo danneggiando alcuni dettagli del panneggio e modificando i volumi della spalla destra della figura. Le superfici, specie quelle del volto, sono fortemente deteriorare da un accentuato processo di decoesione del marmo
I due Magi stanti (fig. 20) sono scolpiti in una unica lastra e si stagliano su un fondale dipinto a girali vegetali.
Sono raffigurati in un serratodialogotra loro ed abbigliati con vesti riccamente decorate. Il restauro ha evidenziato alcuni frammenti di policromia originale, recuperati nella parte bassa delle figure, in zone particolarmente protette; bisogna infatti ricordare che le figure erano originariamente totalmente dipinte e dorate, come ad esempio la barba ed i capelli di San Giuseppe.Il loro punto di vista è nettamente frontale. Anche in questo caso il blocco di marmo fu rilavorato, probabilmente nel 1585, per assottigliare lo spesso della lastra del fondo, rimuovendo grosse scaglie di pietra e così come attestato anche sui due lati della scena, riducendone le dimensioni, asportando alcuni dettagli dei panneggi.
Una novità di ancora maggiore importanza è emersa durante i lavori di smuratura della statua raffigurante Maria con il Bimbo addossata alla parete di fondo della nicchia che ospita il Presepe. Quella che oggi osserviamo è da tutti ritenuta una statua tardo-cinquecentesca (fig 21) a sostituzione della perduta opera di Arnolfo. La scultura è attribuita a Pietro Paolo Olivieri o a Giovanni Antonio Paracca, detto il Valsoldo, entrambi impegnati nella realizzazione del monumento funebre di Sisto V. Nulla è noto circa la statua originaria che molti studiosi ipotizzano essere stata una figura sdraiata di puerpera;non esistono, altresì, documenti che fanno cennoa tale sostituzione nella fine del XVI secolo. Il manufatto è stato molto spesso ignorato negli studi del Presepein quanto non coevo alle altre opere arnolfiane.
Le operazioni effettuate per predisporre l’opera agli interventi di conservazione hanno permesso anche in questo caso di recuperare numerosi dati tecnici, alcuni dei quali non potevano essere precedentemente rilevati: proprio a partire da questi è stato possibile avanzare alcune ipotesi che potranno costituire la base per ulteriori approfondimenti e studi. Prima tra tutte, si è notato che molta parte dei volti, parte dell’incarnato del Bimbo e il voluminoso panneggio sul fronte della figura di Maria presentano una lucidatura del marmo − operazione mai riscontrata sulle altre sculture − che annulla i segni dei fenomeni di disgregazione della pietra, presenti invece su molta parte della superficie della scultura così come, in modo più evidente, su tutti gli altri personaggi del Presepe, specie nel caso del magio orante (fig 22).
I due volti, inoltre, presentano il profilo quasi schiacciato e una inusuale resa anatomica dei nasi − quasi deforme e privo di volume nel caso del Bimbo (fig 23) − con le narici esageratamente evidenziate. Tali zone, considerate le parti più rilevanti dell’intera figurazione, appaiono quali frutto di una “rilavorazione” della pietra, a causa dello sfaldamento delle superfici, che ha rimosso in modo uniforme uno strato superficiale, al fine di restituire leggibilità e dignità alle parti più rilevanti dell’intera raffigurazione.
Accanto a questa prima notazione è stato possibile rilevare altri dati in grado di fornire elementi di riflessione sulla genesi e la vita del manufatto in esame, che attendono comunque di essere sottoposti al vaglio di ulteriori ricerche e riflessioni. La statua, infatti, finalmente visibile nella sua interezza, ha immediatamente mostrato alcune particolarità piuttosto inusuali come i sommari segni di lavorazione quali i solchi di subbia che compaiono sul fronte sulla roccia sulla quale la Vergine è assisa: profondi tagli assenti sui lati, specie nelle zone più protette, ma soprattutto totalmente assenti sulla superficie del retro. Tale zona non a vista e destinata ad essere murata per secoli nel “nicchio quadro” mostra incongruente, la superficie del blocco regolarizzata e lisciata grazie ad una lavorazione molto più attenta e meticolosa (fig 24).
Stridente appare il contrasto in entrambe le figure tra il lato frontale dell’immagine, dai volumi particolarmente arrotondati e morbidi, e il dorso, dalla plastica molto lineare e quasi rigida. Un’analoga sproporzione si coglie, sebbene in modo meno appariscente e solo grazie ad una visione laterale, impossibile prima dello spostamento, nella figura di Maria, non equilibrata nella relazione tra il busto e le gambe, troppo lunghe e sporgenti per la postura delle ginocchia molto prominenti. Altrettanto inusuale è la resa plastica delle proporzioni del Bimbo che presenta nella realizzazione degli arti inferiori alcuni errori, come la totale incongruità tra le dimensioni dei polpacci e quelle delle cosce; queste ultime appaiono troppo corte e quasi compresse, specie nel caso di quella destra, protesa in avanti. Sommaria è l’esecuzione dei piedi della Vergine, rivestiti da calzature a punta simili a quelle indossate dalle altre figure arnolfiane, risultando estremamente piccoli e totalmente privi di volume, quello destro addirittura quasi solo abbozzato per mezzo di un’incisione perimetrale che lo separa dalla roccia circostante.
Accanto a queste considerazioni teoricamente giustificabili quali scelte di carattere prettamente stilistico, altre osservazioni rendono l’opera in esame del tutto inusuale per essere un manufatto di fine Cinquecento. Osservando il panneggio di Maria nella zona frontale al disotto della cintola, è possibile notare che questo venne realizzato con piccole e sottili pieghe verticali che s’interrompono drasticamente con un risvolto orizzontale del tessuto che non evidenzia la sovrabbondanza del tessuto sul ventre arrotondato, quanto piuttosto,scava il marmo sottolivello, rispetto al panno della veste e delle carni sottostanti (fig 25).
La resa scultorea di tali semplici pieghe verticali che si dipartono dalla cintola, appare invece particolarmente interessante in quanto si ritrova in altre zone della figura, specie sui fianchi, sotto le braccia e più in generale in tutte le parti più protette ma soprattutto si osserva nella realizzazione del panneggio sulla retro della figura di Maria, per secoli murata e nascosta alla vista (fig 26). Il dorso è infatti tutto realizzato con la stessa semplice trattazione dei panni che cadono in un fascio di pieghe verticali che dipartono dalla cintola e scendono sino alla roccia, adagiandosi in piccoli risvolti e rimborsi. Un nitore scultoreo che interessa anche la zona delle spalle con poche geometriche piegature dei panni che scendono alla cintola con semplici rigonfiamenti.
La pulitura in fase di restauro dai residui di intonaco della nicchia cinquecentesca ha evidenziato come la superficie marmorea dell’intera zona retrostante del manufatto in esame − il dorso della Vergine così come la roccia sulla quale è seduta − sia interessata da una patinatura dal naturale caldo colore ambrato che non cela, anzi mette in rilievo una tecnica di finitura del marmo che molto dissimile da quella utilizzata per i ricchi risvolti dei panneggi eseguiti sul fronte della figura nella zona delle gambe e sul petto. Si leggono particolarmente bene infatti, specie sui fianchi e sul retro, i minuti segni di regolarizzazione delle superfici con strumenti totalmente dissimili da quelli impiegati per l’operazione di levigatura e parziale lucidatura del lato frontale.
La cura con la quale venne tratto il marmo sul retro del blocco di roccia ove Maria è seduta, appare molto simile a quella riservata alla lastra di fondo del San Giuseppe, altrettanto attentamente regolarizzato e spianato, ma anche alla lavorazione nelle superfici di appoggio delle cinque sculture, visibile solo durante le fasi di trasporto. Assonanze che denunciando un diverso trattamento del retro della figura di Maria rispetto al fronte, si riscontrano in modo più evidente, anche nella resa dei panneggi accostabili a quelli del Magio orante (fig 27) che permettono di ipotizzare che la scultura di Maria non sia un’opera cinquecentesca ma una scultura più antica sottoposta ad un processo di modernizzazione con la parziale rilavorazione del fronte.
Resta da chiarire per quale ragione il panneggio sul retro della figura di Maria fu scolpito con cura: una lavorazione che non segue il “criterio di visibilità“ arnolfiano così come non appare necessario nella realizzazione tardo cinquecentesca dovendo murare le scultura nel “nicchio quadro“. Unica possibile ipotesi è che la figura della Madre di Dio, nella sua versione medievale, fosse isolata al centro di uno spazio attorno al quale erano posizionate le altre statue.
Per la prima volta in occasione dell’esposizione “Is Born” è possibile osservare le cinque sculture, poste al centro della grande “Sala dei Papi“, al fine di apprezzare oltre ai numerosi dettagli tecnici qui brevemente accennati anche, e soprattutto, ogni dettaglio scultoreo della magistrale capacità di Arnolfo (fig 28).
Si tratta di una proposta di studio e di verifica di quanto già indicato a seguito del restauro nel 2005 che presenta le suggestioni e i limiti di un lavoro in fieri, nell’attesa di essere sottoposta al vaglio di un supplemento d’indagine che possa giovarsi di ulteriori raffronti e pareri e che si svolga in tempi e luoghi opportuni, anche grazie a specifiche indagini scientifiche in corso di realizzazione.
La ricomposizione del Presepe nell’attuale allestimento è pertanto proposta sulla base delle caratteristiche tecniche e formali delle sculture superstiti, sfruttando quanto acquisito sulla tecnica scultorea di Arnolfo, pur nella consapevolezza che le opere dovevano appare nella loro forma originale diverse da quanto a noi giunto. Una considerazione che condiziona ogni possibile ipotesi ricostruttiva e suggerisce di considerare le cinque sculture semplicemente per ciò che sono: rare e preziose attestazioni un contesto figurativo del quale nulla è noto, così come altrettanto sconosciuta è la conformazione dell’Oratorio del Presepe medievale nel quale erano collocate. La scultura di Maria con il Bimbo, quindi, posta al centro della teca, che simula l’altare originale, in un silenzioso dialogo di sguardi tra Giuseppe e il Magio Orante, su una perfetta linea diagonale ( fig 29) che li unisce e suggerisce nella figura del Bimbo il fulcro di tutta la composizione. I due Magi stanti, a destra dell’orante, sono in posizione frontale. Il bue e l’asino sono posizionati sul lato sinistro, con un’ inclinazione diagonale che suggerisce una fuga prospettica, da mettere in relazione la figura di Magio Orante, anch’essa leggermente diagonale; il bue con il mite sguardo rivolto all’osservatore suggerendo invito ad entrare la realtà del Presepe. Nel nuovo allestimento la figura chiave della scena è tuttavia Magio orante in ginocchio, grazie al quale è possibile evocare lo sfondamento prospettico inteso da Arnolfo in modo che i fedeli diventino inequivocabilmente parte integrante della “Sacra Rappresentazione” dell’incarnazione del Cristo.
Sante GUIDO & Giusepp MANTELLA Roma 16 febbraio 2020
[1] La mostra è a cura di Lucia Calzona, Simone Ferrari e Sante Guido, per iniziativa di monsignor Luigi Veturi, Prefetto del Museo Liberiano e per volontà dell’arciprete della Basilica Liberiana Stanislaw cardinal Rilko.
[2]Per ragioni di brevità le pagine seguenti sono una rielaborazione di quanto edito in una breve guida date alle stampe in occasione dello spostamento del Presepe, dalla Cappella Sistina al Museo Liberiano, e del restauro realizzato nell’autunno del 2005; si rimanda a: Sante Guido, Il Presepe della Basilica di Santa Maria Maggiore di Arnolfo di Cambio (1291), Città del Vaticano 2005.