di Claudio LISTANTI
Un notevole successo di pubblico ha salutato l’edizione di Evgenij Onegin di Piotr Ilijc Caikovskij andata recentemente in scena al Teatro dell’Opera di Roma. L’indiscusso capolavoro del repertorio ottocentesco russo è stato rappresentato nella ‘collaudata’ e ‘storica’ edizione di Robert Carsen andata in scena a New York nel 1997, ora affidata al direttore statunitense James Conlon che è stato affiancato da una solida e preparata compagnia di canto.
Evgenij Onegin fu scritto in un periodo particolarmente felice per la creatività musicale di Caikovskij nel quale, oltre all’opera in questione, ci furono altri grandi capolavori come il balletto Il Lago dei Cigni e la Quarta Sinfonia. La ‘scintilla’ che portò il musicista a scegliere il soggetto fu innescata da una cantante lirica celebre in quegli anni Elizaveta Lavrovskaja, che propose come soggetto le vicende narrate nel poema in versi Evgenij Onegin di Aleksandr Puškin, letterato vero punto di riferimento del mondo culturale russo dei primi anni dell’800 (morì nel 1837) nel quale divenne un ‘faro’ del nascente movimento ‘romantico’ di quella nazione e, conseguentemente, le sue opere divennero anche fonte inesauribile per il teatro musicale russo. Solo per fare qualche esempio, La Donna di Picche dello stesso Caikovskij, Boris Godunov di Musorgskij e Ruslan e Ljudmila di Glinka.
La proposta provocò, inizialmente, qualche indugio per Caikovskij ma poi si convinse sempre più dell’opportunità artistica di musicare questo soggetto. Alla stesura contribuì lo stesso compositore coadiuvato da Konstantin Šilovskij. Caikovskij volle dare a questa sua creatura non tanto la struttura di ‘opera’ in senso stretto ma un carattere diverso da lui stesso definito Scene liriche in tre atti. Questa definizione è fondamentale, come vedremo più avanti, per giudicare questo spettacolo.
La prima rappresentazione avvenne a Mosca il 17 marzo 1879 presso il piccolo teatro del Conservatorio di Mosca con musicisti e cantanti dello stesso conservatorio e la direzione del celebre compositore e pianista Nikolaj Rubinštejn. L’opera non fu particolarmente apprezzata all’inizio anche quando, circa due anni dopo, l’11 gennaio 1881, fu ospitata sul più prestigioso palcoscenico del Teatro Bol’šoj sotto la direzione dell’italiano Enrico Bevignani e, successivamente, alla Sala Kononov di Pietroburgo, il 22 aprile del 1883. Ma le cose iniziarono a cambiare l’anno successivo, sempre a Pietroburgo, al Teatro Mariinskij, il 19 ottobre 1884 grazie alla direzione di Eduard Nápravník. Dopo nove anni da questo giorno ‘Onegin’ raggiungeva nella città imperiale russa il traguardo delle 100 recite. La sua fama si diffuse poi nel resto d’Europa, ad iniziare da Praga nel 1888 per poi influenzare positivamente la sensibilità musicale di Gustav Mahler che lo diresse ad Amburgo nel 1892 e portarlo cinque anni dopo, nel 1897, sul prestigioso palcoscenico dell’Opera di Vienna. La prima rappresentazione in Italia fu al Teatro alla Scala di Milano per merito dell’allora poco più che trentenne Arturo Toscanini che la presentò il 7 aprile del 1900 con protagonisti Eugenio Gilardoni e Emma Carelli.
Nonostante ciò Evgenij Onegin stentò ad avere, a livello internazionale, un posto di primo piano nel repertorio e nelle rappresentazioni. Occorrerà aspettare gli anni ’50 del ‘900 per registrare una svolta positiva in tal senso con esecuzioni sempre più numerose e sempre più applaudite che hanno portato il capolavoro di Caikovskij ad essere uno dei più amati dal pubblico di tutto il mondo. Qui all’Opera di Roma la prima esecuzione risale solo al 1965 dopo la quale le rappresentazioni si intensificarono lievemente con le edizioni, prima dell’attuale, del 1975, 1981 e 2001.
Il libretto di Evgenij Onegin segue fedelmente il poema di Puškin, riproponendo in alcuni punti addirittura gli stessi versi dell’originale e lasciandone intatta la struttura. E’ un dramma che mette in risalto le peculiarità dell’assetto e dell’organizzazione sociale della Russia occidentale del 1820, dove l’ambiente rurale era uno degli elementi determinanti mettendolo anche in rapporto con le classi borghesi ed aristocratiche.
Semplificando al massimo la trama dell’opera i personaggi principali sono tre. Vladimir Lenskij un poeta idealista e Evgenij Onegin, suo vicino di casa e suo amico, una sorta di rappresentante della società ‘bene’ molto preso dalla sua stessa personalità. Poi c’è Tat’jana, una ragazza piuttosto timida e riservata di una famiglia borghese di campagna. Lenskij è promesso sposo di Ol’ga, sorella di Tat’jana; durante una visita a casa della ragazza porta con sé Onegin il quale desta subito l’interesse di Tat’jana. La riservatezza di quest’ultima la conduce a scrivere una lettera tramite la quale dichiara a Onegin il suo interesse ed il suo amore. Fatto questo che provoca l’allontanamento del giovane verso la ragazza frutto della sua chiara ‘immaturità’ di individuo.
Durante una festa interviene tra i due amici uno screzio per gli insistenti inviti da parte di Onegin ad Ol’ga per un ballo. Ne nasce uno scontro che si risolverà con una sfida a duello. Nessuno dei due fa il necessario ‘passo indietro’ per evitarlo ed all’alba del giorno successivo Lenskij rimarrà ucciso. Passa qualche anno; Onegin conduce una vita noiosa e senza interessi. Ad una festa a San Pietroburgo incontra Tat’jana divenuta nel frattempo la consorte dell’anziano Principe Gremin. Onegin, rivedendo la donna capisce di esserne innamorato. La personalità di Tat’jana è, però, completamente mutata; la ragazza timida e sognatrice è divenuta persona matura e non cede alle pressioni del vecchio amore dichiarando di restare fedele a Gremin lasciando così Onegin nella solitudine e nella disperazione.
Caikovskij concepì una partitura senz’altro geniale per rappresentare questo dramma sottolineando con la musica quelle caratteristiche da lui stesso definite ‘scene liriche’. Questa opera non è come la possiamo immaginare noi italiani, un dramma organico dalla trama fluente ed aggregante, ma un insieme di momenti ‘flash’ realizzati tramite sette scene ognuna delle quali può essere perfino considerata come organismo autonomo, quasi una ‘opera in miniatura’ autosufficiente che ne focalizza con particolare efficacia i momenti teatrali. Vista nel complesso, però, non risulta certo ‘frammentaria’ ma, al contrario, dopo la visione e l’ascolto ci si accorge di individuare una indiscussa solidità drammatica e teatrale.
La linea di canto è per lo più di carattere liederistico che riesce a sintetizzare con forza lo spirito delle singole scene rafforzando anche quegli innegabili connotati ‘cameristici’ che caratterizzano la partitura. Inoltre c’è un uso diffuso del motivo conduttore, il ‘leitmotiv’ di stampo wagneriano, che viene utilizzato non solo in maniera diretta ma anche con diversi procedimenti. Diretto è il cosiddetto tema di Tat’jana enunciato nella splendida introduzione orchestrale e ripreso ogni volta che il personaggio compare in scena. Poi c’è il tema che Lenskij canta quando nel primo atto si dichiara ad Ol’ga che ricompare in orchestra prima di affrontare Onegin in duello. Ma c’è anche un procedimento più sofisticato, quasi di contrapposizione, che fa apparire il tema in momenti teatrali differenti come quello che conclude la scena della lettera che diventa poco dopo il tema che caratterizza la malinconica aria di Lenskij del secondo atto; un metodo che riesce ad aumentare con efficacia la temperatura drammatica del momento accumunando i due personaggi nell’essere dipendenti dalle azioni di Onegin.
Anche gli elementi ambientali, e popolari, sono sottolineati con forza nel primo atto nella prima e terza scena e descrivono la semplicità ed il folclore della campagna russa momenti caratterizzati da un elegante uso dell’orchestra e dal senso del ritmo. Elemento quest’ultimo utilizzato in maniera magistrale nelle due scene festose dove le danze emergono in maniera straordinariamente ‘sintetica’ per accrescere la drammaticità dei due momenti.
Iniziamo l’analisi dello spettacolo partendo dalla parte visiva che, finalmente, ha dimostrato di essere coerente con il periodo storico rappresentato e rispettoso della musica e degli intenti drammatici degli autori. Questo grazie alla messa in scena guidata da Robert Carsen, che ha riproposto uno spettacolo di successo creato nel 1997 per il Metropolitan di New York e rappresentato con esiti più che positivi in molte parti del mondo qui riprodotto nell’allestimento della Canadian Opera Company.
La parte visiva, con scene e costumi di Michael Levine, è risultata semplice, minimale ma essenziale. I bellissimi costumi riescono a dare con chiarezza il taglio ambientale per tutti i personaggi contestualizzati nella cornice scenica costituita dalla presenza di mobili e oggetti inerenti a quanto si sta svolgendo arricchita dalle luci create da Jean Kalman che donano all’insieme un colore che ne ha esaltato la sostanza. I movimenti dei singoli personaggi erano ben misurati e ben studiati per comprendere la personalità di ognuno di essi. Una rappresentazione di stampo ‘strelheriano’ nella quale sono evidenti gli insegnamenti del grande regista triestino ma, sicuramente, ideale per materializzare la definizione di ‘Scene liriche’ che Caikovskij diede alla sua opera, che raggiunge momenti di straordinaria intensità drammatica e completo coinvolgimento da parte dello spettatore/ascoltatore. Magistrale è risultata la scena del duello completamente spoglia ma avvolta in un azzurro intenso filtrato dalla nebbia del primo mattino dove si svolge il drammatico duello tra i due amici al termine del quale il sole prenderà il sopravvento per irradiare di luce il giorno che sta nascendo.
La parte registica, realizzata con la collaborazione di Peter McClintock, ci è sembrata, forse, un po’ limitata nelle due scene di festa nelle quali era inserita la parte coreografica di Serge Bennathan, risultate nell’insieme lievemente penalizzate da movimenti troppo impacciati ed esitanti senza nulla togliere però alla bellezza della rappresentazione.
Per quanto riguarda l’esecuzione, realizzata in lingua originale russa, c’è da dire innanzi tutto che la compagnia di canto scelta ha fornito una interpretazione del tutto valida sia dal punto di vista vocale sia dal punto di vista scenico dimostrando di aver ben acquisito l’impostazione registica di Carsen.
Nel ruolo del titolo c’era il baritono austriaco Markus Werba la cui voce è risultata un po’ ‘piccola’ rispetto a quanto ci aspettavamo ma certamente a suo agio nella linea di canto per regalarci un personaggio del tutto credibile. Brava anche Maria Bayankina, soprano proveniente dal Teatro Mariinskij di Pietroburgo, che dimostrato sicurezza vocale e scenica restituendoci una Tat’jana del tutto convincente soprattutto efficace nel tracciare quella maturazione che porta il personaggio dagli irruenti sentimenti adolescenziali e giovanili all’equilibrio ed alla ponderatezza dell’età adulta. Il tenore albanese Saimir Pirgu ha interpretato il ruolo di Vladimir Lenskij evidenziando controllo e sicurezza dei propri mezzi vocali messi a disposizione per realizzare un personaggio del tutto credibile.
Nelle altre da parti da segnalare le calde e scure voci di Yulia Matochkina efficace Ol’ga e di Anna Viktorova una balia Filipp’evna dai comportamenti dolci e materni. La breve ma intensa e significativa parte del Principe Gremin è stata realizzata dalla energica e sostanziosa voce del basso John Relyea così come bravo è stato il tenore Andrea Giovannini che si è immedesimato felicemente con lo ‘spirito francese’ proprio del personaggio di Triquet.
Concludiamo citando con piacere i cantanti provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma che questa volta ha messo in evidenza i due diplomati Irida Dragoti Larina e Andrii Ganchuk Zareckij presenze completate da Arturo Espinosa partecipante al progetto “Fabbrica” tuttora in atto che ha sostenuto il ruolo de Un Capitano della guardia.
Di rilievo la prestazione del Coro del Teatro dell’Opera guidato con la consueta precisione da Roberto Gabbiani che riuscito a dare i giusti contorni di carattere popolare del primo atto a quelli più borghesi ed aristocratici delle due scene di festa.
James Conlon ha diretto la parte musicale coadiuvato dalla preziosa collaborazione dell’Orchestra del Teatro dell’Opera; una direzione certamente valida nell’insieme alla quale mancava, però, del ‘fuoco’ necessario per quelle parti musicali del primo atto che identificano l’anima popolare russa ma che metteva in evidenza sia le qualità della preziosa orchestrazione e, con potenza e vigore, quei momenti dove il dramma raggiunge lo ‘zenit’.
Tutte le recite romane di Evgenij Onegin sono state dedicate dal teatro al ricordo di Mirella Freni recentemente scomparsa, indimenticabile interprete di Tat’jana nell’edizione del 2001 precedentemente ricordata. La recita del 25 febbraio alla quale abbiamo assistito è stata salutata al termine da lunghi e corposi applausi per tutti gli interpreti dello spettacolo da parte di un pubblico convenuto al limite della capienza nell’elegante sala del Teatro Costanzi. Un fatto, questo, significativo non solo per dimostrare la validità di tutto lo spettacolo ma anche per sottolineare, con un po’ di nostra soddisfazione che, in tempi di ‘corona virus’, c’è stata qui a Roma una cospicua parte di cittadini che ha scelto la cultura e lo spettacolo in luogo delle file nei supermercati e nelle farmacie.
Claudio LISTANTI Roma 1 marzo 2020