di Nica FIORI
RAFFAELLO 1520-1483. L’imperdibile mostra alle Scuderie del Quirinale
“Gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de’ Medici, la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ognuno che quivi guardava.”
Queste parole di Giorgio Vasari sembrano rivivere nel dipinto “Onori resi a Raffaello al suo capezzale di morte”, un olio del primo Ottocento del francese Pierre-Nolasque Bergeret, che accoglie i visitatori della mostra Raffaello 1520-1483 nelle Scuderie del Quirinale (fino al 2 giugno 2020).
È proprio dalla morte, avvenuta a Roma il 6 aprile 1520 “il giorno medesimo ch’e’ nacque che fu il Venerdì santo”, che parte il percorso a ritroso che celebra il genio di Raffaello Sanzio, non solo come pittore “divino”, ma anche come architetto, urbanista e appassionato di cose antiche. Il dolore per la sua morte inaspettata, a soli 37 anni, dopo sette giorni di febbre, fu tale da avvicinarlo alla stessa immagine di Cristo, contribuendo alla nascita del suo mito e a una sorta di santificazione, in quanto “trasfigurato” da ciò che aveva appena dipinto. Le più eminenti personalità dell’epoca, tra cui l’umanista Baldassarre Castiglione, l’autore de Il Cortegiano, scrissero versi sulla sua morte e Pietro Bembo (o forse Antonio Tebaldeo) compose l’epitaffio, inciso sulla lapide in portasanta presso la sua tomba, che termina così: “Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori” (qui sta quel Raffaello, mentre era vivo il quale, la gran madre delle cose temette di essere vinta e, mentre moriva, di morire).
Egli fu sepolto nel Pantheon, secondo la sua volontà, perché quello era il monumento di Roma da lui più amato, disegnato e studiato ancora prima di arrivare in città, e a favore di quel tempio, dedicato in epoca cristiana a Santa Maria dei Martiri, lasciò una rendita economica per restaurare “con marmi antichi” uno dei tabernacoli interni e realizzare un altare per messe perpetue a suffragio della sua anima. La sua tomba, ricostruita in facsimile nella prima sala della mostra, denota tutto il suo amore per l’antico nell’architettura a edicola con due colonne in marmo rosso e la statua della Madonna col Bambino realizzata dal suo collaboratore Lorenzetto, prendendo come modello un’antica scultura romana.
Nessun artista è stato mai così universalmente amato nel tempo (pur con qualche eccezione) come Raffaello, forse perché la sua pittura squisitamente naturale, serena, comprensibile, incarna quell’ideale di bellezza rinascimentale che vuole rispecchiare nella figura umana la perfezione della bellezza dell’universo. Perfino un autore di best-seller a sfondo misterico come Dan Brown omaggia Raffaello ambientando alcuni episodi del suo romanzo Angeli e demoni presso la sua tomba al Pantheon e nella Cappella Chigi, in Santa Maria del Popolo, un capolavoro di Raffaello architetto.
La straordinaria esposizione alle Scuderie del Quirinale, a cura di Marzia Faietti e Matteo Lafranconi, analizza l’operato di Raffaello in uno spettacolare percorso, attraverso tavole e tele d’incomparabile bellezza, disegni, progetti, manoscritti, arazzi, curiosità e sculture antiche, per dare un’idea del suo costante studio delle antichità classiche. È ovvio che, per avere una visione ancora più ampia della sua grandezza artistica, non si può fare a meno di visitare le Stanze di Raffaello in Vaticano o la Villa Farnesina alla Lungara (con il celebre affresco della Galatea e la Loggia di Psiche) e a Firenze le Gallerie degli Uffizi (Uffizi e Galleria Palatina di Palazzo Pitti), che hanno collaborato con le Scuderie del Quirinale, prestando ben 49 opere, tra cui il Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, appena restaurato nell’Opificio delle pietre dure.
Dobbiamo ringraziare per la presenza in mostra di questo dipinto Eike Schmidt, direttore delle Gallerie fiorentine, che l’ha concesso in prestito, nonostante fosse stato inserito nell’elenco delle opere inamovibili, in quanto ritiene che, nell’eccezionalità di questa ricorrenza, non si possa descrivere la Roma di Leone X senza il suo ritratto. Il pontefice, figlio di Lorenzo il Magnifico, è stato raffigurato accanto a due cardinali della sua famiglia, mentre con una lente in mano sta per ammirare una Bibbia miniata. Sotto questo pontefice colto e raffinato Raffaello era celebrato come il più grande artista vivente. L’enorme numero di commissioni e l’incarico di architetto della fabbrica di San Pietro, assunto nel 1514, lo obbligarono a circondarsi di una schiera di collaboratori e allievi capaci di affiancarlo nel lavoro.
Culmina in questi anni il confronto con l’antico, nella stufetta del cardinale Bibbiena in Vaticano e nelle logge di Leone X. Raffaello si rivela il primo pittore moderno in grado di ricreare ambienti all’antica con pitture, stucchi, sculture e marmi policromi. Oltre a disegni dove l’Urbinate ha raffigurato teste, statue (vi è pure il disegno di un cavallo dei Dioscuri, il cui gruppo originale in marmo è nella vicina Piazza del Quirinale) e rilievi dell’antichità, troviamo in mostra diversi marmi antichi, tra cui alcuni dei Musei Vaticani, come una colossale Testa di Dace e il rilievo degli Haterii, interessante per una sequenza di edifici romani di età flavia, tra cui il Colosseo non ancora terminato e l’Arco di ingresso all’Iseo Campense.
Alcuni dei marmi antichi sono accostati alle opere di Raffaello, come il torso di Efebo (I sec. d.C., Museo Nazionale Romano), posto accanto al San Giovanni Battista (1518 ca. Firenze, Gallerie degli Uffizi), o la testa di Iside (età claudia, Museo Archeologico Nazionale di Napoli) accanto all’ Estasi di Santa Cecilia (ante 1518), proveniente dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Anche La Visitazione (1516-17), proveniente dal Prado di Madrid, è accostata a un altare romano con scena di dextrarum iunctio (40 d.C. Museo Nazionale Romano).
Per la prima volta sono tornati a Roma, dopo la loro esportazione all’estero, capolavori come il sublime tondo della Madonna d’Alba (1510), proveniente dalla National Gallery di Washington, la dolcissima Madonna Tempi (1507-1508, Alte Pinakothek di Monaco di Baviera), raffigurata mentre sta per baciare il Bambino, e la Madonna della Rosa (1518-20, Museo del Prado, Madrid), tutte opere in cui elabora il tema della maternità divina, approfondendolo in una continua e sempre nuova serie di versioni.
Dalla Galleria Palatina di Firenze provengono la Madonna del Granduca (1506-1507), dallo sfondo nero che esalta il contorno della figura, e la Madonna dell’Impannata (1511), una complessa sacra conversazione che prende il nome dalla finestra “impannata” che si vede sullo sfondo.
Dal Museo di Capodimonte di Napoli proviene la Madonna del Divino Amore (1516). Può darsi che Raffaello avesse una particolare predilezione per la Madonna, perché sua madre morì precocemente e probabilmente aveva un ricordo tenerissimo dell’amore materno. Quanto ai bambini o ai cherubini che raffigura, sono colti in tanti deliziosi atteggiamenti e alcuni di essi sono diventati iconici, come i due angioletti della celebre e inamovibile Madonna Sistina della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda.
Il Louvre ha prestato il Doppio Ritratto (Autoritratto con amico), del 1518-19 ca.,
un olio su tela dove il pittore, sulla sinistra, appare con la barba nera, contrariamente all’altro celebre Autoritratto giovanile, che chiude la mostra nel settore dedicato al primo Raffaello. Pure dal Louvre proviene l’eccelso Ritratto di Baldassarre Castiglione (1513 ca. vedi sopra), che è collocato nella Sala di Leone X di fronte alla lettera (1519, Archivio di Stato di Mantova) che il Castiglione scrisse insieme a Raffaello al pontefice, anche se non fu spedita, e che appare come un appello per salvare le antichità di Roma. Raffaello era stato nominato dal papa “prefetto alle antichità di Roma” e aveva avuto il compito di intraprendere una grande campagna di rilievo e disegno dei monumenti artistici. Data l’importanza di questo documento, viene consegnato ai visitatori insieme al biglietto un libretto di Salvatore Settis dal titolo emblematico: “Modernità di Raffaello. Dalla Lettera a Leone X alla Costituzione italiana”. In effetti il pensiero del grande artista suona estremamente moderno, come quando sostiene che, per porre rimedio all’incuria di precedenti periodi, bisognerebbe “haver cura che quello poco che resta di questa anticha madre de la gloria e grandezza italiana …, non sia estirpato e guasto dalli maligni et ignoranti …”.
Un grandioso arazzo da poco esposto alla Cappella Sistina, raffigurante Il sacrificio di Listra, è ora prestato dai Musei Vaticani alle Scuderie, dove è accostato al facsimile del cartone disegnato da Raffaello (proveniente dal Victoria and Albert Museum di Londra) e all’altare sacrificale di Lucio Volusio Urbano (I sec. d.C., Musei Vaticani), cui si è ispirato, e a un rilievo con scena di sacrificio (I secolo d.C., Firenze Gallerie degli Uffizi). Faceva parte dei 10 arazzi commissionati da Leone X a Raffaello e realizzati in Belgio dalla Manifattura di Peter Van Aelst.
Nella stessa sala vi è un altro arazzo, eseguito basandosi sulla Visione di Ezechiele di Raffaello (1516-17), una tavola piccola ma dal respiro monumentale. Quest’opera, proveniente dalla Galleria Palatina di Firenze, è pure accostata al suo disegno preparatorio, intitolato Dio Padre con i simboli degli Evangelisti.
In una sezione dedicata all’architettura troviamo, tra le altre cose, un modello (2020) della facciata del Palazzo Branconio dell’Aquila, progettato da Raffaello, ma distrutto nel Seicento per far spazio al colonnato di Bernini. Della celebre Villa Madama, che era stata realizzata per il cardinale Giulio de’ Medici (futuro papa Clemente VII), è in mostra un video che ne esalta la bellezza. Questo capolavoro architettonico non è purtroppo di facile accesso, perché appartiene al Ministero degli Esteri ed è riservato agli eventi di alta rappresentanza istituzionale.
L’altro papa, ritratto da Raffaello con un’aria un po’ malinconica, è Giulio II (ante 1512, National Gallery di Londra). Nato Della Rovere, sotto il suo pontificato (1503-1513) Raffaello iniziò le Stanze Vaticane, dei cui celeberrimi affreschi troviamo in mostra studi e disegni. Questo grande pontefice ebbe la felice idea di far lavorare Raffaello in contemporanea con il lavoro di Michelangelo alla Sistina. Un aneddoto vuole che Raffaello riuscisse a vedere di nascosto gli affreschi del Buonarroti, grazie alla complicità del Bramante, che aveva le chiavi della Cappella, e da allora la pittura di Raffaello sarebbe cambiata, perché egli aveva la capacità di cogliere gli aspetti migliori degli altri pittori, creando un suo stile originale.
Una sezione è dedicata alla bellezza muliebre con i celebri quadri Ritratto di donna detta La Velata (olio su tela, 1512-13 ca.), proveniente dalla Galleria Palatina di Firenze, e la c.d. Fornarina di Palazzo Barberini (olio su tavola, 1519-20), con accanto una Venere accovacciata in marmo del I secolo d.C. proveniente dagli Uffizi.
Pur non avendo notizie precise sugli amori di Raffaello, è lecito pensare che la sua vita amorosa fosse alquanto intensa, se addirittura viene considerata da Vasari la causa della sua morte prematura. Racconta lo stesso Vasari che il banchiere Agostino Chigi, pur di fargli portare a termine l’esecuzione degli affreschi nella sua villa alla Lungara (la Farnesina), concesse a Raffaello di lavorare alla presenza della sua amata.
Questa donna, dalla quale il pittore non riusciva a stare lontano, era forse quella Margherita Luti, figlia di un fornaio, che si sarebbe ritirata in un monastero dopo la morte del pittore? Certo la Velata, che potrebbe forse essere la misteriosa amante di Raffaello, ha una bellezza ideale, che ritroviamo in alcune delle sue più belle Madonne, mentre la carnale Fornarina ha dei lineamenti molto più marcati (il naso più lungo e gli occhi sporgenti) che hanno fatto pensare che l’opera fosse stata in realtà finita da Giulio Romano, ma gli studi più recenti ne hanno dimostrato la completa autografia.
Potrebbe essere lei l’amante di Raffaello, forse più vera con i suoi lineamenti imperfetti, ma dietro il suo volto si nasconde una rappresentazione di Venere, sul modello della cosiddetta “Venere pudica” della statuaria classica. La giovane donna raffigurata si mostra con la stessa impudicizia della dea dell’Amore, col seno nudo e la pancia appena coperta da un velo trasparente. La testa, invece, è avvolta da un turbante di seta disposto secondo una moda dell’epoca. Da esso pende un gioiello, analogo a quello che compare nella Velata, che richiama con la sua perla il nome di Margherita, che in latino significa proprio “perla”. Altro motivo che accomuna le due opere è il gesto della mano che indica il seno sinistro, ovvero il cuore.
Riguardo alla Fornarina non si ha notizia sul committente dell’opera e ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che il pittore l’avesse dipinta per sé, negli ultimi anni della sua vita (1518-1520). Del resto il braccialetto con la scritta “Raphael Urbinas”, sul braccio della donna, fa pensare a una dichiarazione di possesso, da parte dell’autore, della giovane raffigurata, più che a un semplice autografo.
Tra i ritratti più noti del periodo romano, oltre ai pontefici e al Castiglione, troviamo anche quello di Tommaso Inghirami, detto Fedra (1510-12, Galleria Palatina, Firenze), figura di primo piano durante i pontificati di Giulio II e Leone X, che deve il soprannome al fatto di aver interpretato a teatro la Fedra di Seneca. Meno noto, ma delizioso, è il Ritratto di giovane (1517-18) del Museo Thyssen Bornemisza di Madrid. Acquistato nel 1928 dal barone Thyssen come opera di Giulio Romano, venne in seguito attribuito a Raffaello, anche se probabilmente con l’aiuto di un allievo della sua bottega. Il giovane, di 13-14 anni di età, è raffigurato con un viso turgido e lo sguardo sfrontato, con una naturalezza e un’esecuzione rapida che mira a mettere in luce il carattere del ragazzo.
Nella sezione Raffaello giovanissimo, ovvero quando il pittore lascia le terre di origine (aveva lavorato a Città di Castello, Perugia, Siena) per trasferirsi a Firenze, troviamo un altro celebre ritratto di donna, nota come la Dama con Liocorno (1507), dipinta a caldo dopo aver visto la Gioconda di Leonardo. Si tratta un’opera complessa ed enigmatica, forse un ritratto nuziale di Maddalena Strozzi, che ha subito nel tempo modifiche e restauri. Raffigura una giovane dallo sguardo aperto e sereno e dalla bocca piccola e serrata, che tiene con un braccio l’animale mitologico, che secondo la tradizione poteva essere domato solo da una vergine. Il liocorno, ambiguo emblema di castità, si è sovrapposto a un precedente cagnolino, simbolo di fedeltà, che è comunque un’aggiunta successiva rispetto al disegno di Raffaello, che prevedeva solo la dama sullo sfondo di un paesaggio.
Raffaello doveva essere poco più che ventenne quando ha dipinto Il sogno del cavaliere (Ercole al bivio), un raffinatissimo piccolo olio su tavola (1504, Londra, National Gallery), che ci colpisce per i colori fluidi e luminosi e per il soggetto mitico – allegorico, che è stato interpretato anche come il sogno di Scipione, narrato nei Punica da Silio Italico.
Doveva far parte di un dittico comprendente Le Tre Grazie del Musée Condé di Chantilly e probabilmente è stato eseguito prima della partenza per Firenze.
L’ultima sala della mostra ci porta a Urbino, dove Raffaello ha visto la luce nella primavera del 1483: una città che era divenuta, grazie all’illuminato duca Federico di Montefeltro, un centro umanistico di altissimo livello che attirava artisti da tutta Italia (ed Europa). Il padre, Giovanni Santi, pittore modesto ma pervaso da una curiosità intellettuale che lo portava a viaggiare e ad aggiornarsi, deve aver iniziato a formare il figlio, e, conscio della sua bravura, lo avrebbe mandato – secondo Vasari – dal Perugino, cui sicuramente Raffaello deve la struttura compositiva e l’equilibrio formale delle prime composizioni. In mostra ci emoziona lo Studio di una mano e di un volto (1497-1499 Oxford, Ashmolean Museum), dove sembra prefigurare gli elementi essenziali della sua arte, la manualità e l’elaborazione mentale che avviene nella testa. All’epoca doveva avere solo 14-16 anni ed era già da un po’ orfano del padre, scomparso nel 1494, mentre la madre era morta nel 1491.
Chiude l’esposizione l’iconico Autoritratto di Raffaello proveniente da Firenze, che tanto somiglia a quello dipinto ad affresco nella Scuola d’Atene in Vaticano. Un uomo giovane e bellissimo, innamorato della vita, che, ben lungi dal trasmettere il tormento e il senso del peccato michelangiolesco, esalta la serenità di un’epoca d’oro. Raffaello morì a soli 37 anni, ma la sua era un’esistenza già compiuta, essendo all’apice del successo, e questa morte gli avrebbe risparmiato la sofferenza di vedere la città tanto amata in preda alla violenza e alla barbarie. Pensiamo ovviamente al Sacco di Roma del 1527, che tanto avrebbe colpito Clemente VII, definito dal Gregorovius come “il più sventurato dei pontefici”.
Nica FIORI Roma 8 marzo 2020
RAFFAELLO 1520-1483
Roma, Scuderie del Quirinale
Orari: da domenica a giovedì 10-20; venerdì e sabato 10-22,30 tel.+39 02 92897722
Biglietti: intero € 15, ridotto€ 13. Sono previste promozioni speciali