di Nica FIORI
INITIA ISIDIS.L’ingresso dei culti egiziani a Roma e nel Lazio.
Iside è una divinità che ha avuto una fortuna plurimillenaria, molto al di là della fine del suo culto: basti pensare alle logge massoniche di rito egiziano, alla celebre opera Il Flauto magico di Mozart, che è stata ispirata dalla scoperta dell’Iseo di Pompei, o al fatto che alcuni attributi iconografici della Madonna sembrano derivare da Iside. Ricordiamo in particolare il velo intorno al viso, la falce di luna e il mantello stellato di Iside Regina del cielo, il bambino al seno di Iside lactans. Sorella e sposa di Osiride, Iside faceva parte dell’enneade di Eliopoli e se ne parla per la prima volta nei Testi delle Piramidi. Associata alla personificazione della regalità (il suo cartiglio include il geroglifico “trono”), la dea era anche dotata di poteri magici, grazie ai quali potè sconfiggere il male, impersonato dal dio Seth, e ridare la vita a Osiride, il cui corpo era stato fatto a pezzi da Seth e disperso in tutto l’Egitto. La ricerca disperata lungo la valle del Nilo delle membra dello sposo amatissimo, la sua ricomposizione e resurrezione come dio dell’Oltretomba, la nascita del figlio Horus concepito miracolosamente con il seme del marito morto sono motivi del mito forse più noto dell’antico Egitto, che ebbe però il massimo successo in età ellenistica e romana, quando il suo culto misterico si diffuse in ogni angolo dell’impero, insieme a quello del nuovo dio Serapide, nato dall’associazione di Osiride con Api.
L’enorme interesse dimostrato negli ultimi anni da molti studiosi verso queste divinità importate dall’Egitto ha spinto Filippo Coarelli a “riconsiderare ancora una volta il fenomeno dell’apparizione sul suolo italico dei culti egiziani con qualche speranza di aggiungere al tema qualcosa di essenziale, dopo decenni di discussioni e di polemiche spesso sterili”. L’intento è stato quello di far chiarezza sull’argomento, evidenziando nella massa di bibliografia degli ultimi decenni una serie di errori, reiterati da molti “acriticamente, senza tener alcun conto delle ricerche che spesso li hanno vanificati”, come si legge nell’introduzione del suo libro “Initia Isidis. L’ingresso dei culti egiziani a Roma e nel Lazio”, proposto dalla casa editrice Agorà & Co. nella collana Speaking Souls. Animae loquentes.
Filippo Coarelli è una vera autorità nel campo dell’archeologia, della storia romana, delle antichità greche e romane e della storia delle religioni del mondo classico. Ha all’attivo oltre 500 pubblicazioni, ha diretto importanti scavi e ideato mostre, tra cui quella del bimillenario di Vespasiano al Colosseo. In questo suo ultimo lavoro, densissimo di notizie storiche e riferimenti bibliografici, egli parte da suoi precedenti studi sull’argomento, realizzati nel corso di più di 40 anni, per aggiornarli sulla base delle novità emerse in campo archeologico e giungere a nuove datazioni, che si discostano da quelle correnti che tendono a posticipare le date.
Per quanto riguarda l’inizio del culto isiaco nel mondo romano, egli lo fa risalire alla seconda metà del III sec a.C. e lo colloca nel Mediterraneo orientale, sottolineando come, in un mondo interconnesso come era il Mediterraneo dell’epoca, Roma doveva essere in relazioni più o meno strette con le grandi monarchie ellenistiche ed essere quindi venuta in contatto anche con i culti egiziani. A riprova di ciò porta l’esempio di un’epigrafe conservata nel museo di Salonicco (l’antica Thessalonica), dedicata a Serapide, Iside e Anubi da un certo Manius Curtius signino, ovvero un laziale di Segni, che svolgeva l’attività di mercante. Mentre prima si riteneva che questo documento fosse della seconda metà del II secolo a.C., un esame approfondito dell’iscrizione ha permesso di retrodatarla di un secolo, data che ben si accorda con l’attestazione di un iseo a Thessalonica già all’inizio del III secolo a.C.
Anche nell’isola di Delo sono attestati questi culti, con ben tre santuari denominati Serapeo A, Serapeo B e Serapeo C. Quest’ultimo assunse la natura di santuario ufficiale dei culti di Iside e Serapide ed ebbe il momento di massimo splendore tra il 145 e l’88 a.C., quando l’isola era molto frequentata da mercanti italici e romani. Mercanti che devono aver introdotto questa religione esotica in Italia, attraverso gli empori portuali di Puteoli e di Ostia.
Riguardo all’introduzione degli stessi culti nella città di Roma, Coarelli la data al II secolo a.C., in aperta polemica con altri studiosi che si sono interessati a quella “pseudodisciplina”, che si potrebbe chiamare “isidologia”, ma senza tener conto delle competenze dei vari specialisti di altre discipline. Persino notizie storiche, che egli ritiene sicure, sono state da altri negate o mal interpretate, come nel caso della datazione dei primi rapporti diplomatici di Roma con l’Egitto tolemaico.
Lo storico Eutropio (IV secolo d.C.), basandosi sul perduto XIV libro di Livio, ci fa sapere che i primi rapporti risalgono al 273 a.C., quando giunse un’ambasceria da parte di Tolemeo Filadelfo, con una richiesta di amicizia, seguita da una successiva ambasceria romana ad Alessandria. Ma la critica moderna, come afferma Coarelli, ha tentato spesso di “svalutare il reale significato di questa notizia”, negando anche la più che verosimile continuità di rapporti diplomatici tra i due popoli nel III secolo, solo perché si è perso il testo di Livio relativo a quel periodo. La stessa critica è giunta a spostare l’apparizione sul suolo italico dei culti egiziani “oltre il ragionevole, fino al punto di sostenere l’assenza di edifici di culto isiaci in Italia prima del periodo augusteo”. Non si tratta, in effetti, solo di un problema cronologico, dal momento che il successo dei culti orientali si inquadra e diviene comprensibile nell’ambito di una crisi generale della società romana, i cui primi sintomi si avvertono già nella seconda metà del III secolo a.C., con un’accelerazione impetuosa a seguito della guerra annibalica.
Anche se la moda delle cose egizie a Roma esplose prepotentemente dopo la conquista del Regno d’Egitto da parte di Ottaviano, che aveva sconfitto Marco Antonio e Cleopatra nella battaglia di Azio (31 a.C.), già molto prima si hanno attestazioni del culto di Iside. Si ricorda in particolare un iseo sul Campidoglio, dovuto al culto privato dell’importante famiglia dei Metelli, che corrisponde topograficamente al transetto della chiesa di Santa Maria in Aracoeli. Una testimonianza epigrafica attesta la sua presenza già agli ultimi decenni del II secolo a.C.; inoltre alcune sculture egittizzanti provengono dall’area, come pure l’Obelisco Mattei, attualmente a Villa Celimontana, che era collocato almeno fino al 1583 sull’Arce Capitolina, in prossimità della chiesa dell’Aracoeli.
Come ha precisato Coarelli nel corso della recente presentazione del libro a Palazzo Altemps, il culto di Iside a Roma, pur sostituito a poco a poco da quello della Madonna, mantiene una sua continuità anche in epoca cristiana, tanto che motivi isiaci figurano ancora all’epoca di Teodosio sugli speciali medaglioni che venivano coniati per farne dono – all’inizio del nuovo anno – agli alti funzionari dell’Impero. L’autore evidenzia come i culti egiziani avessero a Roma una doppia valenza: popolare e aristocratica.
Noi sappiamo che Roma era molto accogliente nei confronti delle divinità straniere, a partire dal primitivo rito dell’evocatio, con il quale si esprimeva la volontà di appropriarsi delle “religioni degli altri”, promettendo alla divinità evocata un tempio più bello a Roma, se avesse favorito i Romani nella conquista di una città. Ciò non significa, però, che non ci fosse qualche riserva da parte dell’aristocrazia romana, in quanto “i culti esotici potevano mettere in pericolo gli equilibri sociali e politici tradizionali”. Nonostante i ceti più tradizionalisti disapprovassero le superstizioni della religione egiziana e la corruzione dei costumi importata dall’Oriente, varie testimonianze attestano l’adozione di Iside, come culto privato, anche da parte di famiglie nobili, tra cui i Calpurni Pisoni, oltre ai Metelli.
Il primo riconoscimento ufficiale del culto di Iside e Serapide da parte del senato romano è probabilmente quello in Campo Marzio. Si è proposto nel passato di attribuire la costruzione dell’Iseo-serapeo Campense a Caligola, ma senza nessuna documentazione, e più recentemente John Scheid l’ha attribuita a Vespasiano, sulla base dell’esistenza del tempio nel momento del trionfo giudaico di Vespasiano e Tito nel 71 d.C. e di un sesterzio di Vespasiano che raffigura l’Iseo Campense.
Al di là della data di erezione, di cui non abbiamo certezza, Coarelli ritiene che il momento in cui il culto diventa ufficiale è quello indicato da Cassio Dione, secondo il quale nel 43 a.C. i triumviri (Ottaviano, Marco Antonio e Lepido) “decretarono la costruzione di un tempio a Iside e Serapide”. Siamo nel periodo immediatamente successivo alla morte di Giulio Cesare, quando l’attività dei triumviri è volta soprattutto a portare avanti i disegni di Cesare, che molto probabilmente aveva in animo di votare il tempio di Campo Marzio, nell’ambito di un progetto dinastico che equiparava Cleopatra, l’ultima dei Tolemei, a Venere Genitrice e a Iside. È probabile che il progetto di realizzare il tempio sia stato avviato negli anni successivi da Lepido, oppure da Ottaviano, e in questo caso portato a termine entro il 32 a.C., prima della sua rottura con Antonio e la conseguente guerra contro di lui e Cleopatra. Solo in seguito, una volta divenuto Augusto, Ottaviano “non permise la celebrazione dei culti egiziani all’interno del pomerio”, come scrive Cassio Dione (28 a.C.), mentre prima del suo principato non sembrava ostile a queste divinità.
Il successo dei culti orientali, in contrapposizione alla religione tradizionale romana, può essere visto come “contestazione politico-sociale” da parte di ceti subalterni, in particolare della plebe, delle donne e degli schiavi (come nel caso dei Bacchanalia del 186 a.C.), ma anche come
“inclusione ‘normalizzante’ nella forma di un’autorizzazione pubblica, oppure ‘carismatica’, come strumento di potere dei capi militari nel periodo delle guerre civili. Tale processo di integrazione conoscerà la sua ‘soluzione finale’ con l’introduzione del culto imperiale: dunque il periodo augusteo, lungi dall’essere la parte iniziale del fenomeno, ne costituisce la conclusione”.
Un’affermazione, anche questa, che Coarelli fa con cognizione di causa, perché pone a fondamento del suo lavoro un’accurata analisi delle fonti storico-letterarie e delle evidenze epigrafiche e archeologiche, ma “restando disponibile, come sempre, alla critica e alla discussione”, come dichiara nell’introduzione del libro.
Sotto il successore di Augusto, Tiberio, ci fu una vera persecuzione dei culti egiziani, insieme a quelli giudaici, e, in seguito a uno scandalo, “Tiberio abbattè il tempio e ordinò di gettare nel Tevere la statua di Iside”, come riferisce Flavio Giuseppe. Non sappiamo di quale tempio si trattasse: l’identificazione con l’iseo di Campo Marzio è tutt’altro che plausibile; è più probabile che si trattasse di un santuario privato.
Del complesso dell’Iseo e Serapeo in Campo Marzio non rimane niente di visibile in superficie, ma alcuni saggi di scavo hanno evidenziato muri e pavimentazioni relativi a più fasi. Un bollo laterizio può essere datato all’ultima età repubblicana, confermando quindi tendenzialmente la costruzione dell’edificio più antico in età triumvirale. La superficie doveva essere fin dall’inizio molto ampia, probabilmente analoga a quella di età imperiale (il complesso venne ricostruito da Domiziano dopo l’incendio dell’80), e si estendeva tra via del Seminario e via Santo Stefano del Cacco (da nord a sud) e tra via di Sant’Ignazio e via del Gesù (da est a ovest) con dimensioni ricostruibili di m 220 X 70.
Senza dilungarci sulla topografia dell’area (evidenziata nella pianta marmorea severiana) e sulle piante ricostruttive, tra cui quella di Anne Roullet che Coarelli ritiene la più verosimile, con i due templi uno di fronte all’altro, ci fa piacere ricordare che da quest’area provengono alcune tra le sculture più particolari di Roma, come la Madama Lucrezia sistemata in piazza San Marco, accanto all’ingresso del cortile di palazzo Venezia (si tratta di un colossale busto di Iside, riconoscibile dal tipico nodo delle vesti sul petto), il piedone che dà il nome a via del Pie’ di marmo, la figura cinocefala che ha dato il nome alla chiesa di S. Stefano del Cacco, evidente corruzione di macaco, e ancora la gatta dell’omonima via, collocata sul cornicione di palazzo Grazioli. Anche la statua del Nilo e la Pigna, conservate nel Vaticano, e alcuni obelischi di età romana sono stati rinvenuti nella stessa zona. Quanto al luogo di culto di Iside, anche in questo caso è da collocare nel transetto di una chiesa, quella di Santa Maria sopra Minerva, nella cui piazza omonima Gian Lorenzo Bernini ha realizzato quel capolavoro dell’elefantino che sostiene la sapienza dell’antico Egitto, ovvero un obelisco proveniente dall’iseo. Per questa creazione Bernini si è avvalso della collaborazione del dotto gesuita Athanasius Kircher (il primo studioso dei geroglifici, anche se non riuscì a decifrarli correttamente), come pure per la Fontana dei Quattro Fiumi in piazza Navona, dove sono celati alcuni riferimenti al mito di Iside.
L’ultimo capitolo del volume approfondisce i culti egiziani nel Lazio, in particolare a Ostia, dove sono attestati nel periodo tra Adriano e i Severi, e soprattutto a Palestrina, l’antica Praeneste. Il santuario della Fortuna Primigenia di Praeneste ci ha restituito un grande e raffinatissimo Mosaico nilotico (II-I secolo a.C.),
opera di pittori alessandrini, raffigurante l’Alto e il Basso Egitto, con la piena del Nilo e varie scene, tra cui alcune relative al culto di Iside.
Coarelli si confronta con altri studiosi (in particolare con Paul G. P. Meyboom) e dà una sua interpretazione del momento storico che si è voluto raffigurare nel mosaico, e si sofferma anche sul santuario inferiore, tra l’aula absidata e l’antro delle sorti, dove ipotizza la presenza di un iseo-serapeo, da porre in relazione con il culto di Iside Fortuna (Isis Tyche).
Del resto la dea è sempre stata assimilata dagli storici dell’epoca ad altre divinità del mondo greco-romano, da Demetra a Venere, da Giunone a Proserpina, come ci ricorda anche Apuleio nel suo romanzo “Le metamorfosi”, che termina con l’iniziazione del protagonista Lucio ai misteri di Iside, dopo essere stato miracolato dalla dea durante la processione di Iside Pelagia nella festa del Navigium Isidis, che segnava il momento favorevole per riprendere la navigazione dopo l’inverno.
Ed è proprio un’immagine di Isis Pelagia (frammento di rilievo conservato nella Centrale Montemartini) che è stata scelta per la copertina del libro, che si fa apprezzare, oltre che per l’indubbio valore scientifico, per la ricchezza di illustrazioni, ben 71 tra fotografie a colori e in bianco e nero e piante topografiche e ricostruttive degli antichi edifici. Particolarmente affascinanti sono le immagini dei dettagli del Mosaico nilotico, cui talvolta sono accostati disegni d’epoca, come nel particolare della scena con processione, confrontata con una copia della stessa dalla collezione di Cassiano Dal Pozzo. Altri confronti sono fatti con mosaici rinvenuti in altre località.
Ricordiamo che il mosaico di Palestrina è esposto nel museo archeologico della cittadina laziale, ospitato nel secentesco palazzo Barberini, sorto nella parte superiore del santuario di Fortuna Primigenia: un grandioso santuario concepito a terrazze, la cui scenografica vista fece esclamare a Carneade (II secolo a.C., noto soprattutto perché Don Abbondio ne “I promessi Sposi” si domanda chi fosse): “Non ho mai visto in nessun luogo una fortuna più fortunata che a Praeneste!”.
Nica FIORI Roma 22 marzo 2020
“Initia Isidis. L’ingresso dei culti egiziani a Roma e nel Lazio”
di Filippo Coarelli
180 pagine, Editore: Agorà & Co.