di Marcello AITIANI
Marcello Aitiani “è uno dei rari artisti di oggi non solo che pensi, ma che lavori in una dimensione interdisciplinare o, meglio, si dovrebbe dire totale…“: questa definizione di Enrico Crispolti rende bene l’idea degli interessi che hanno attratto l’attenzione dell’artista, dagli anni ’80, quando è in relazione con i “poeti visivi”, poi del decennio ’85 – 95, con le nuove tecniche digitali, e quindi con iniziative sul rapporto con l’architettura insieme a vari scultori. L’attività artistica di Aitiani è stata presentata in numerose rassegne artistiche, personali e collettive, in Italia e all’estero, di cui non è possibile dar sufficientemente conto in questa sede. Ha realizzato libri oggetto; pubblicato saggi, articoli e lavori musicali ed ha partecipato alla fondazione e redazione di riviste d’arte, tra cui “Kiliagono”, “All’insegna del Pesce d’Oro” – Vanni Scheiwiller, Milano 1992. È stato docente a contratto di Semiotica (Facoltà di Architettura – Università di Firenze) e di Educazione all’immagine (Facoltà di Scienze della Formazione – Università di Cagliari). Ha tenuto corsi integrativi all’insegnamento di Psicologia Ambientale presso la Facoltà di Psicologia di Firenze. Con questo saggio inizia la sua collaborazione con About Art.
… cambiare l’arte per cambiare l’immaginario per cambiare le cose per …
Parte prima (Le fotografie da figura 1 a 7 -eccetto la 2 e 3- sono di Bruno Bruchi)
- Dilemma
…Sia ordito la bianca luce del mattino, / Sia trama la rossa luce della sera, / Sia frangia la pioggia che cade, / Sia orlo l’arcobaleno che s’inarca. / E così tessete per noi un abito splendente, / Perché possiamo camminare con agio dove l’erba è verde / O nostra Terra, o nostro Padre Cielo
Cosmogonia Tewa, New Mexico (In Marcello Aitiani, Fata Morgana, Pezzini Editore, Viareggio 1998).
Questo è un dilemma cruciale che ormai ci chiama a una scelta: crediamo che sia possibile un progresso senza limiti e che il business, il PIL, la tecnologia, resi assoluti, ci rendano la vita migliore, oppure non lo crediamo?
Nel primo caso continueremo ad occuparci solo di quantità, eliminando gli aspetti qualitativi, affettivi, est-etici, e a svuotare di significato la vita. Scegliendo invece la seconda opzione e operando a favore di processi educativi e formativi coerenti con l’impostazione complessa che guarda anche alla qualità, sono convinto che riusciremmo a vivere meglio e ad aprirci al futuro con discernimento e spirito creativo. Questa mi sembra la strada per essere in armonia con la natura, nel dialogo di cielo e terra, attenti agli altri, pronti a condividerne gioia e sofferenze.
Sarebbe bene che anche gli artisti riflettessero e si incamminassero nella traiettoria di questa seconda via. Una direzione che richiede anche di rallentare il passo come già una quarantina d’anni fa aveva detto Enzo Tiezzi, ordinario di Chimica fisica particolarmente impegnato nella difesa dell’ambiente, evidenziando l’insostenibile discrepanza tra i tempi lentissimi della biologia e quelli rapidissimi della società tecnologica [1].
Lo stesso invito a rallentare proviene dallo psicologo del profondo James Hillman [2], perché così si produrrebbero molteplici effetti: nell’ambito della politica energetica, dell’ambiente, delle relazioni, ad esempio, diventeremmo più attenti nei confronti degli altri, più rispettosi di tutto ciò che ci circonda, di come ci nutriamo, di come assistiamo i malati, di un’economia che guarda agli uomini, dell’arredamento dei luoghi di lavoro, di cosa desiderano gli abitanti per una progettazione e realizzazione di architetture e di città abitabili… Riducendo la velocità potremmo insomma tornare ad essere sensibili alle cose e quindi a prendercene cura, migliorando concretamente l’ambiente, naturale, sociale e urbano, in modo che, in un circolo virtuoso, questo a sua volta ci migliori.
Poiché la radice delle crisi, di cui quasi mai si parla, è nell’an-estetizzazione del nostro cuore, sarebbe importante promuovere un’arte che, tenendo conto di queste prospettive, avesse la capace di ri-animare noi, le nostre città e il mondo e «sensibilizzare la psiche al vedere, al sentire, al percepire senza shock» [3]. Un’arte che riporti in primo piano i valori della qualità, dell’estetica, della giustizia, della bellezza, del mito…
- Arte. L’atmosfera di maniera della scissione cartesiana
«Eccolo, l’errore di Cartesio: ecco l’abissale separazione tra corpo e mente»
Antonio Damasio
L’arte che ho invocato non è mancata anche nel nostro tempo, ma certo non è stata sufficientemente promossa, nell’atmosfera di “maniera”, uniforme e insieme caotica, sempre diversa e sempre identica, che oltrepassa il periodo “concettuale” stricto sensu (1960-1970) e giunge all’oggi. Siamo vissuti in un turbinio di parole e di nomi, in una superfetazione di voci e tendenze, di novità che, come scriveva Umberto Eco, «non rivoluziona le basi della nostra cultura» lasciando immutato il paradigma riduzionista di fondo:
«un’immensa macchina retorica che connota globalmente (e che si regge su) una ideologia stabile, quella della “modernità” […]. La vorticosa spirale secondo la quale il nostro tempo riempie e svuota le forme di significati, riscopre codici e li dimentica, altro non è in fondo che una continua operazione di styling […]. Forse il fenomeno potrebbe essere riportato a quello che Nietzsche indicava come la malattia storica del mondo moderno. Un eccesso di consapevolezza che non si trasforma in rinnovamento, e quindi agisce a titolo narcotico» [4].
Forme artistiche varie ma a carattere fondamentalmente logico-formale, legate a una “poetica analitica”, un’arte “non retinica”, come fu soprattutto l’arte americana degli anni Sessanta nel tentativo di aggiornare la linea di Duchamp, «per dare espressione a ciò che Donald Kuspit definiva “lo sguardo del pensiero”» [5]. Posizioni di un’arte riduzionista perché in sostanza soprattutto mentale, che restringe il pensiero a ragionamento, e spesso anaffettiva e senza mani, un’arte come discorso critico sull’arte o sull’arte nelle società dei mass media e della pubblicità, e oggi dell’arte nella globalizzazione, e/o, ancora, come inespressiva documentazione; “documenta” è appunto la denominazione di una delle “grandi mostre internazionali”.
È in questa atmosfera che si era avviata anche la pratica della “critica militante”, secondo cui la funzione del critico comporta la sua
«partecipazione diretta e personale all’operazione estetica […] se l’operazione estetica è scelta o giudizio, non può esservi un giudizio primo, e un giudizio secondo, del critico. D’altra parte il puro atto dell’artista sarebbe incomunicabile e non avrebbe durata se non fosse verbalizzato dal critico […] estensore di un “parlato” che fa parte integrante dell’operazione estetica» [6].
Da queste osservazioni di Argan si capisce bene il clima culturale del tempo, di allora e spesso anche di ora, nel quale prevale in sostanza un atteggiamento disgiuntivo, più o meno marcato; tra soggetto e oggetto, tra razionalità e sentimento, tra anima concettuale e corpo, con la preminenza – in questi dualismi – della razionalità astratta, della cesura analitica, del momento ideativo disincarnato.
Questo clima è presente anche in artisti concettuali e minimalisti meno “puri”, come Sol LeWitt, per quanto mi riguarda tra i più interessanti, nel quale permane una sensibilità al dato estetico, al colore timbrico, piatto, talvolta in una sorta di adimensionalità spazio-temporale, quasi musicale.
Tutti però conoscono la sua frequente prassi operativa di separare nettamente la fase progettuale da quella della realizzazione, considerata meramente esecutiva e delegata ad altri sulla base di regole precise. Una scissione cartesiana, per così dire, che in un artista come Sol LeWitt viene nei momenti più alti felicemente quasi contraddetta, ma che può essere molto limitante per chi si ponga, con senso artistico attenuato, nel solco della linea teorica postulata.
Nel tempo il suo atteggiamento minimale si articola maggiormente, soprattutto nei Wall Drawings, per le implicazioni tra arte e architettura; o nelle Complex Forms, che potremmo chiamare non tanto “complesse”, quanto “complicate”, nel senso etimologico di ri-piegate, come un origami. Nonostante la presenza di un’anima “impura” e il senso di una musicalità immersivo-architettonica, resta a mio parere prevalente l’Idea sulla multidimensionalità della vita, l’impronta essenzialista sull’esistenza; l’impostazione di fondo che Sol LeWitt aveva espresso nel manifesto Paragraphs on Conceptual Art (1967):
«Nell’arte concettuale l’idea o concetto è l’aspetto più importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale in arte, vuol dire che tutte le programmazioni e le decisioni sono state stabilite in anticipo e l’esecuzione è una faccenda meccanica. L’idea diventa una macchina che crea l’arte».
Un taylorismo e fordismo artistico? Una tendenza che, come ho detto, può spingere artisti meno sensibili a schematizzazioni e astrazioni riduzioniste, che sono alla base anche degli squilibri ecologici e sociali che subiamo, e che potrebbero crescere in modo direttamente proporzionale all’incremento delle tecnologie robotiche. Evolve allora parallelamente il desiderio di un sapere tecno-scientifico che, prese le distanze dal carattere dominativo che lo ha caratterizzato nella modernità, torni a guardare il mondo con sofia, con sapienza, con la saggia finalità di conoscere per essere in armonia, non contro la natura.
Su simili temi mi sembrerebbe opportuno che si riflettesse ben più attentamente di quanto non si stia facendo. E non solo sul piano estetico.
- Cambiare il cambiamento. Arte e pensiero complesso
«ci sono due tipi diversi di cambiamento: uno che si verifica dentro un dato sistema, il quale resta immutato, mentre l’altro –quando si verifica– cambia il sistema stesso» [7]
Il clima culturale di lungo corso, sopra soltanto abbozzato, è fondamentalmente an-estetico e monodimensionale, pur nella diversità delle posizioni; caratterizzato da tendenze artistiche allora considerate innovative, pur essendo arretrate rispetto alla rivoluzione copernicana che il pensiero anche scientifico e filosofico da decenni aveva sviluppato, per esempio con la fisica quantistica e poi con le teorie della complessità, con le acquisizioni delle neuroscienze. Un’arretratezza che oggi perdura, nello sguardo unidirezionale ormai focalizzato soprattutto sul “mercato”, inteso spesso come un fine e non come un mezzo.
Anche da intellettuali e artisti di valore questa permanente tendenza è da tempo sottoposta a critiche per la sua miopia; ma senza esiti, perché «per i direttori del sistema dell’arte è come se non esistessero», scrivevano nel “lontano” 2002 Enrico Baj e Paul Virilio. La rilevazione dei deficit della situazione non produce conseguenze perché avviene «in uno spazio puramente virtuale – proseguivano i due autori – dal momento che è solo verbale e non può avere accesso al controllo dei fondi, degli sponsor e di tutta l’ideologia dell’arte ufficiale. Il curatore e i critici compiacenti si pongono come separati dal pubblico: l’arte, come tutto oggi, diventa affare di esperti, mentre gli altri sono esclusi, possono solo partecipare a visite guidate, tanto per informarsi» [8].
Cambiano le cose del Pianeta, / venti di ponente forzano cicloni imprevisti / e lo scirocco porta sempre di più acque alte a Venezia. / Il nino infuoca le foreste d’Indonesia / e le stagioni sembrano impazzite. / L’armattano, vento caldo del Sahel, / inaridisce lande già semideserte / e porta polvere rossa di dune. / Gli alisei e i monsoni / non obbediscono più a ritmi armoniosi, / ma ai signori del petrolio / e al loro nefando effetto serra. / Quest’anno le rondini hanno tardato: / tre aprilante, quaranta dì durante.
Enzo Tiezzi, Tre aprilante, quaranta dì durante in La più bella storia del mondo, Ed. Marcos y Marcos, Milano, 1998.
Davvero è tempo di cambiare, non solo nell’arte.
Non il “cambiamento 1”, ma il “cambiamento 2”, indicato in Change dagli autori dell’epigrafe. Non il restyling che lascia sostanzialmente invariate le cose, ma un cambiamento del cambiamento, la fioritura di un altro modo di vedere, nel pensiero, nella vita quotidiana, nelle relazioni, nelle arti… Un mutamento che per essere realmente tale non cerchi il ribaltamento e l’azzeramento totale, in stile avanguardistico, ma coniughi passato e futuro, che innovi e insieme conservi ciò che è bene salvare. Un’arte e un pensiero che riattivino le connessioni con la realtà, con le sue qualità, contraddizioni, stratificazioni. Un’arte perciò che
«si occupa del rapporto tra i livelli del processo mentale – scrive Gregory Bateson – […]. L’abilità artistica è un combinare molti livelli mentali – inconsci, consci ed esterni – per asserire la loro combinazione» [9].
Un’arte che anche, aggiungo, abbia a cuore e consideri le relazioni micro e macro, tra i singoli, i gruppi, le comunità, a partire da quelle della “nostra (per ora) Europa”. Un’arte che torni a guardare il cielo, la natura e gli uomini con i loro mille lati e angoli, chiliagoni di singolarità e di esistenziali improvvisi nella musica del mondo, di fronte ai quali talvolta misteriosamente siamo posti
… come mai non si dovrebbe argomentare che il bello è altro, ottimo, rispetto alla proporzione…?
Plotino, Enneadi, I 6.
La nostra terra, il cosmo, il creato sono complessi e
«le interazioni fra le componenti dei sistemi complessi sono spesso “non lineari”. Tali sistemi sono estremamente sensibili sia alle condizioni iniziali sia alle perturbazioni grandi e piccole che incontrano nelle varie fasi del loro sviluppo. Reagiscono alle perturbazioni in maniera non correlata alle intensità di queste: una causa microscopica e locale può innescare rapidi processi di amplificazione fino a produrre effetti macroscopici globali e fino a trasformare radicalmente il comportamento di tutto quanto il sistema. A tale proprietà è connessa la frequente presenza di discontinuità nell’evoluzione dei sistemi complessi: essi possono cambiare, nel corso del tempo, in modi improvvisi, imprevedibili».
Questo scrive il filosofo, teorico del pensiero complesso, Mauro Ceruti [10]; e sembra una prefigurazione degli eventi nei giorni del coronavirus! Come anche di come si concepisce ed evolve e infine viene alla luce un’opera artistica, un libro, una musica, una poesia, un’intuizione scientifica e ancor più un bambino. Da un seme, dall’affiorare di una prima idea, di un alone musicale, di un’immagine vaga, con lavoro e passione e controllo intellettuale, attraverso perturbazioni e svolte impreviste, talvolta l’opera si matura e si realizza in forme all’inizio impensate. Per questo l’opera artistica, che è un sistema complesso, non è riducibile a un progetto, né deriva ipso facto da un progetto dove tutto è stabilito in anticipo e da “stampare” macchinalmente.
Tutti comprendono con facilità che una sonata di Bach non nasce da una mera analisi sociologica o dal solo prototipo mentale, ma dal pieno coinvolgimento dell’autore, con le sue molteplici risorse: spirituali, razionali, psicologiche, mnemoniche, affettive, emotive, gestuali-motorie. Anche le neuroscienze ci mostrano ormai chiaramente l’inscindibilità e l’inter-relazionalità di questi momenti e questo esprime anche Igor Stravinskij quando scrive:
«per quanto mi riguarda non posso separare lo sforzo intellettuale dallo sforzo psicologico e dallo sforzo fisico; essi mi si presentano sullo stesso piano e non conoscono gerarchie»[11].
Il primo dualismo da superare è quello tra il cervello-mente e la mano – scrive il filoso della scienza Silvano Tagliagambe – tra il pensiero astratto e la manualità».
«La coscienza affettiva (e i comportamenti cui dà luogo) promuove il successo nella sopravvivenza, il benessere psicofisico e nella riproduzione. Il Sé nucleare, sinonimo dell’Es di Freud, va pertanto considerato l’origine di tutta la coscienza: esso costituisce la sostanza primaria di cui le menti sono fatte. “Possiamo dire con sicurezza, senza timore di contraddizione”, concludono Solms e Panksepp, “che se non fosse per la presenza costante di un sentimento affettivo, il pensiero e la percezione cosciente non esisterebbero o decadrebbero gradualmente. Questo avviene perché una mente, non motivata (e non guidata) dalle emozioni, sarebbe uno sventurato zombie, incapace di gestire i compiti fondamentali della vita”» [12].
Marcello AITIANI Siena 12 aprile 2020
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