di Nica FIORI
Come Dan Brown ha ideato una sorta di caccia al tesoro in un’enigmatica Roma barocca.
Anche un thriller da milioni di copie vendute, come “Angeli e demoni” di Dan Brown (scritto nel 2000 e pubblicato in Italia nel 2004), può essere, sia pure con qualche riserva, adatto per immergersi nell’atmosfera inquietante di una città enigmatica e ambigua come Roma, punto d’incontro di innumerevoli fantasie, miti, pratiche ed esperienze occulte.
Lo spunto del romanzo parte dall’idea che intorno al 1630 Galileo Galilei, perseguitato dalla Chiesa per le sue teorie astronomiche, avesse fondato la setta degli Illuminati, che doveva avere tra i suoi soci le menti più geniali dell’epoca. Lo scopo iniziale era quello di favorire lo sviluppo e la diffusione del sapere scientifico, difendendolo dalle accuse di eresia. Come ritrovo doveva essere utilizzato un luogo dove l’Inquisizione non potesse arrivare: la chiesa dell’Illuminazione. Ma come fare per indicare il luogo ai nuovi adepti? Ecco allora che viene creata nella città una mappa sui generis, un “cammino dell’Illuminazione”, indicato da simboli e indizi nascosti.
Secondo il professore Robert Langdon, protagonista del romanzo, il compito di tracciare il percorso sarebbe stato affidato a un “maestro ignoto”, che a un certo punto, grazie all’intuito di Vittoria Vetra, una brillante scienziata del CERN che aiuta Langdon nella ricerca, si rivela essere il grandissimo Gian Lorenzo Bernini (1598-1680). L’artista avrebbe celato nelle sue opere, apparentemente angeliche, indizi che solo le menti più brillanti fossero in grado di individuare. Sono questi gli “angeli” che si contrappongono ai “demoni”, dal momento che la società segreta assume poi una connotazione satanica e ha come unico scopo la distruzione del Vaticano.
Per svelare l’enigma, gli illuminati, così come il protagonista del romanzo chiamato a risolvere una situazione a dir poco allucinante, hanno a disposizione una quartina di John Milton (il celebre poeta autore del “Paradiso perduto”), scritta a mano su un testo di Galileo conservato nell’Archivio Segreto Vaticano. I versi, dal criptico significato iniziatico, in italiano suonano così:
“Dalla tomba terrena di Santi con il buco del demonio, / attraverso Roma si snodano gli elementi mistici. / La via della Luce è segnata, la prova sacra, / lascia che gli angeli ti guidino nella tua nobile ricerca”.
Gli elementi mistici, senza ombra di dubbio, sono i quattro elementi fondamentali per la scienza antica, Terra, Aria, Fuoco e Acqua, ai quali sono stati eretti dagli Illuminati quattro simbolici “altari della Scienza” nascosti nell’Urbe.
Il primo indizio sembrerebbe alludere alla tomba di Raffaello Sanzio (o Santi), ovvero al Pantheon, che un tempo, in quanto tempio pagano, si riteneva frequentato dal diavolo. Oltretutto la citazione del “buco del demonio” fa pensare al suo suggestivo oculus circolare, aperto nella cupola, secondo il Venerabile Beda, proprio dai demoni quando l’edificio venne consacrato e trasformato in chiesa.
Le cose, in realtà, non sono così semplici. I resti di Raffaello sono stati portati nel Pantheon “solo nel 1759” (così è scritto nel romanzo, ma non è affatto vero) e quindi non può trovarsi qui il primo altare della Scienza, dal momento che i versi di Milton sarebbero stati trascritti nel testo galileiano nel 1639. A questo punto Langdon intuisce che la “tomba terrena di Santi” va, invece, interpretata come la cappella funeraria progettata da Raffaello per i Chigi e il “buco del demonio” o “buco del diavolo” è l’ipogeo, ovvero la cripta con l’ossario, che si trova al di sotto, quindi nella terra.
La Cappella Chigi si trova nella chiesa di Santa Maria del Popolo, nella piazza omonima.
Piuttosto strana e rivestita di marmo rossastro, è per Langdon “di una bellezza mozzafiato”. La cupola è adorna di stelle scintillanti. Oltre ai pianeti del sistema solare vi sono raffigurati i segni zodiacali e altri simboli pagani e terreni. Due piramidi, con i ritratti di Agostino e Sigismondo Chigi (grandi mecenati delle arti e delle scienze) richiamano nella forma i sepolcri egizi, mentre un mosaico centrale sul pavimento ritrae la “morte alata”, uno scheletro con lo stemma chigiano. Il mosaico, a tarsie marmoree, ricopre la botola dalla quale si accede all’ossario ed è stato disegnato da Bernini, quando venne incaricato dal cardinale Fabio Chigi (poi papa col nome di Alessandro VII) di restaurare l’interno della chiesa. Fu in quell’occasione che il grande artista realizzò le statue dei profeti Daniele e Abacuc, che ornano la cappella, contrapponendole a quelle cinquecentesche di Giona e di Elia.
È proprio la scultura di Abacuc e l’Angelo, collocata entro una nicchia, a nascondere un messaggio segreto.
Abacuc non è forse il profeta che ha predetto la distruzione della terra? Se la Cappella Chigi, così ricca di simboli terreni, è per gli Illuminati l’altare della Terra, è altrettanto vero che un angelo deve indicare la via per giungere al secondo altare. Il gruppo scultoreo si fa notare per la complessità della composizione, per l’intensità dei volti e il candore del marmo. Entrambe le figure di Abacuc e dell’Angelo hanno le braccia tese a indicare qualcosa in lontananza, ma è la direzione suggerita dall’Angelo quella giusta.
Essa porta dritta dritta a piazza San Pietro, dove, presso l’obelisco centrale, è collocata una placca marmorea ellittica raffigurante “un viso, una specie di angelo” che fa uscire dalla bocca un alito di vento. Reca la scritta “West Ponente” e viene chiamata “Il soffio di Dio”. È un bassorilievo dell’architetto della piazza (ovvero Bernini), che in questo modo avrebbe simboleggiato l’aria, afferma il protagonista del romanzo. Il secondo altare della scienza, quindi, sarebbe stato audacemente collocato nel cuore stesso della cristianità, a due passi dalla basilica vaticana. Sembra incredibile che Bernini, lo scultore cattolico più famoso del Seicento, osannato e prediletto dai pontefici del suo tempo, potesse aderire a una setta che agiva contro la Chiesa. Ma è proprio la sua dimestichezza con gli alti prelati a fornirgli, sempre secondo la fantasia di Brown, una copertura perfetta, dandogli la possibilità di realizzare una serie di sculture nelle quali mimetizzare i suoi messaggi.
Dall’altare dell’Aria, seguendo la direzione del soffio d’aria si giunge nella chiesa di Santa Maria della Vittoria (in Largo di Santa Susanna), dove è conservata la più celebre delle sculture sacre berniniane: l’Estasi di Santa Teresa. È questa un’opera d’arte di grande impatto emotivo, che, secondo quanto sostiene Longdon, sarebbe stata “rifiutata da papa Urbano VIII che la riteneva sessualmente troppo esplicita per il Vaticano”, tant’è che l’aveva spostata, su suggerimento dello stesso Bernini, nella sede attuale. E a questo punto nel romanzo si ipotizza che forse lo scultore rese quell’estasi troppo scandalosa così da poterla poi nascondere “in una chiesa fuori mano, … collocata lungo una linea immaginaria che partiva dal soffio centrale del West Ponente”.
La scultura, in effetti, ritrae Santa Teresa d’Avila “con la testa reclinata all’indietro, in preda ad un orgasmo travolgente”. Accanto a lei è l’angelo delle sue visioni:
“In un’estasi mi apparve un angelo… io vedevo nella mano di questo angelo un dardo lungo; esso era d’oro e portava all’estremità una punta di fuoco. L’angelo mi penetrò con il dardo fino alle viscere e quando lo ritirò mi lasciò tutta bruciata d’amore per Dio…”.
L’angelo raffigurato da Bernini è un serafino, che letteralmente significa “colui che arde” e la sua freccia di fuoco indica una precisa direzione. Abbandonando questo luogo simbolico, pensato come altare del Fuoco, si arriva, sempre seguendo una linea immaginaria, che unisce i quattro vertici di una croce, a piazza Navona, nel cui centro è collocata la più spettacolare delle fontane realizzate da Bernini: quella dei Quattro Fiumi. La fontana appare al protagonista del romanzo come
“una sorta di scogliera di travertino di oltre sei metri, costellata di caverne e grotte dalla quali zampillava l’acqua e decorata con figure pagane. Sopra si innalzava un obelisco di dodici metri”.
Non c’è dubbio che si tratti di un chiaro omaggio all’acqua, e quindi dell’ultimo altare della Scienza che dovrebbe condurre alla chiesa degli Illuminati, ma quale direzione bisogna seguire? In questa fontana non vi sono angeli, ma puntando lo sguardo al di sopra dell’obelisco che la sovrasta, si vede una colomba di bronzo. “La colomba è il simbolo pagano dell’Angelo della Pace”, sostiene a questo punto Langdon: è quindi un modo per “camuffare l’angelo in una fontana che non ha nulla di sacro”.
Per seguire il cammino che porta alla chiesa dell’Illuminazione, bisogna dirigersi a questo punto verso Ponte Sant’Angelo,
ornato da meravigliosi angeli berniniani, e dopo aver attraversato il Tevere si arriva alla fortezza di Castel Sant’Angelo, che è direttamente collegata al Vaticano dal Passetto di Borgo. È proprio nel castello che è nascosto il covo degli Illuminati, come dire in seno al Papato, dal momento che un tempo era di proprietà del pontefice.
E qui l’accostamento tra angeli e demoni, perennemente in lotta, suona spontaneo.
Il castello deve il proprio nome all’Arcangelo Michele, la cui leggendaria apparizione al tempo di papa Gregorio Magno avrebbe liberato la città dalla peste. Secondo l’iconografia tradizionale Michele è l’angelo che sconfigge Lucifero e lo relega all’inferno. Gli Illuminati aspirano alla Luce, alla rivincita del sapere scientifico sulle menzogne imposte dalla Chiesa, e quindi alla rivincita di Satana-Lucifero. Con il loro insediamento nel luogo dell’Arcangelo vorrebbero dimostrare che la fine del Papato è ormai prossima, e nel romanzo in effetti muoiono ad uno ad uno i quattro cardinali che aspirano al soglio pontificio, immolati sui quattro simbolici altari della Scienza dagli illuminati.
Che dire di questo “cammino” proposto da Brown?
Sicuramente è un’opera di fantasia che cattura il lettore, ma infarcita di molte inesattezze storiche e artistiche che fanno storcere il naso agli studiosi. Sono stati scritti articoli e saggi sugli errori riguardanti Galileo, la setta degli Illuminati (che è stata fondata in Baviera nel 1776 e a Roma non è mai arrivata), il Vaticano e molto altro. Si deve comunque a questo romanzo il merito di aver lanciato all’estero il nostro massimo rappresentante dell’arte barocca e, anche se vi sono diversi errori nel “cammino dell’Illuminazione”, è pur vero che realmente Bernini inseriva dei messaggi simbolici nelle sue opere, più o meno palesi.
Riesaminiamo i quattro ipotetici altari della Scienza, a partire dalla Cappella Chigi, dove l’Angelo berniniano indica una direzione che per Brown porta a piazza San Pietro ma, più semplicemente, indica la statua, pure berniniana, di Daniele col leone. Forse che la Bibbia non dice che l’Angelo trasportò Abacuc, prendendolo per i capelli, a Babilonia per dar da mangiare a Daniele nella fossa dei leoni? Nella stessa cappella troviamo la “morte alata” che, oltre a sostenere lo stemma di famiglia, contiene il motto “Mors aD CoeLos”, che sottintende la parola “iter”, così da assumere il significato di “morte = viaggio ai cieli”. È interessante notare in questa scritta le lettere maiuscole MDCL che alludono all’anno santo 1650, in cui venne realizzata.
Spostiamoci ora in piazza San Pietro, il cui colonnato, secondo il disegno berniniano, accoglie i visitatori come in un abbraccio. Il luogo è talmente arioso da far pensare veramente al “soffio di Dio”. Ma non bisogna credere che la placca marmorea con la scritta “West Ponente” sia realmente berniniana. Intanto è una lastra con un disegno inciso e non scolpito a rilievo, e poi non rappresenta affatto un angelo. Si tratta invece di un vento, uno dei tanti fatti realizzare dall’astronomo Mons. Filippo Luigi Gilii sul pavimento della piazza, nel 1817, intorno all’obelisco Vaticano, che funge da gnomone di una meridiana solare, proprio come nel celebre orologio solare di Augusto che utilizzava l’obelisco di piazza Montecitorio.
Una cosa che accomuna tra loro gli altari delle scienze, secondo la fantasia di Brown, è proprio la vicinanza di un obelisco, tanto che troviamo questi monoliti egizi sia in piazza del Popolo, sia in piazza San Pietro e in piazza Navona.
Purtroppo manca un obelisco presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria e allora il protagonista del romanzo sostiene che ve ne era uno nei pressi, più precisamente al centro di piazza Barberini, e che vent’anni prima, nel corso dei lavori per la costruzione della stazione della metropolitana, temendo per la stabilità dell’obelisco, “era stato deciso di trasferirlo altrove e sostituirlo con una piccola fontana detta del Tritone”: un’affermazione questa assolutamente ridicola per chi conosce Roma, visto che la fontana, pure berniniana, non è piccola e sta lì da quando è stata scolpita (1642-43), con lo scopo di dare decoro alla piazza antistante al palazzo dei Barberini.
L’obelisco cui si allude è quello fatto realizzare dall’imperatore Adriano in onore del suo favorito Antinoo, ritrovato nel XVI secolo nel Circo Variano, e trasportato nel 1633 da Urbano VIII nei giardini di Palazzo Barberini, senza però esservi rialzato. L’obelisco rimase lì fino al 1773, dopo di che fu trasferito nel Cortile della Pigna in Vaticano e nel 1822 sul Pincio.
Il terzo altare della Scienza, quello del Fuoco, è per Dan Brown l’Estasi di Santa Teresa. Quest’opera è stata commissionata a Bernini dal cardinale veneziano Federico Cornaro dopo il 1644, e non da papa Urbano VIII, che all’epoca era già morto; quindi non è stata spostata dal Vaticano su suggerimento di Bernini nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, ma direttamente collocata qui nella Cappella Cornaro (la cappella fu inaugurata nel 1651). Il fuoco, visto come passione amorosa nella santa, è ancora più evidente nell’angelo, che, pur non avendo un aspetto diverso da quello dei cherubini, potrebbe essere equiparato ai serafini per il dardo di fuoco (sostituito in seguito da una freccia dorata, senza le fiamme che scaturivano un tempo dalla punta), con cui si accinge a trafiggere il cuore della Santa.
L’ultimo altare simbolico è la Fontana dei Quattro Fiumi. Questo monumento berniniano, fatto erigere da Innocenzo X Pamphilj per celebrare il suo nome e il suo casato, è molto di più di “un’opera pagana” con statue di figure umane e di animali, come si legge nel libro, ma rispecchia le idee del dotto gesuita Athanasius Kircher, che era stato incaricato di ricostruire il testo geroglifico mancante dell’obelisco Pamphilio, proveniente dal circo di Massenzio.
L’obelisco è un simbolo solare egizio, ma è allo stesso tempo per Kircher l’emblema del mondo angelico, cioè di quegli esseri di luce che fanno da tramite tra il mondo divino e l’universo, rappresentato dalla base quadrifronte. I fiumi (Danubio, Nilo, Gange e Rio della Plata) potrebbero simboleggiare, oltre ai quattro continenti allora conosciuti, anche i quattro “fiumi di vita” del Paradiso. Decisamente interessante è la zona inferiore della fontana, dove è più evidente il talento di Bernini scultore. Gli animali che vi sono raffigurati sono tutti sacri agli dei della valle del Nilo. Il leone, per esempio, è un emblema della forza solare, ed è sacro a Osiride.
Nel mito egizio il buon Osiride viene ucciso dal malvagio fratello Seth, che incarna la sterilità che fa appassire le messi. L’animale simbolico di Seth è l’ippopotamo. Ebbene, poiché il significato letterale di “ippopotamo” è “cavallo dei fiumi”, dal lato opposto al leone troviamo un cavallo con la criniera al vento che esce dalle acque. Entrambi gli animali del mito sono quindi raffigurati a ricordarci che il volere divino (la colomba alata sull’obelisco, che è anche emblema dei Pamphilj) si attua sulla terra (la roccia o caverna-universo) equilibrando un necessario contrasto tra bene e male, tra le forze luminose feconde e quelle oscure sterili.
In questo modo Bernini ha fatto sua la concezione kircheriana di una continuità tra la sapienza magica dell’Egitto e la rivelazione cristiana. Ma la sua genialità ha saputo creare, al di là del valore simbolico delle allegorie, una perfetta armonia della natura, attraversata da una corrente invisibile che sembra unire la terra al cosmo. È quello spirito vitale che “sale dalla terra al cielo e ridiscende in terra, arricchito delle energie superiori e inferiori”, come si legge nella Tavola di Smeraldo, il più famoso dei testi sapienziali attribuiti a Ermete Trismegisto, il mitico fondatore dell’ermetismo identificato con il dio egizio Thot.
Nica FIORI Roma 19 aprile 2020