di Giuseppe BALDACCHINI
Giuseppe Baldacchini. Nato nel 1941 e laureato in Fisica nel 1965 presso La Sapienza in Roma, ha svolto le sue attività di ricerca principalmente presso il Centro Ricerche ENEA a Frascati, e le Università di Berkeley e Salt Lake City negli Stati Uniti d’America. Ha insegnato in numerose Università e Istituti di ricerca in Italia e all’estero. È autore di alcuni brevetti e numerosi articoli scientifici in risonanza magnetica elettronica e nucleare, criogenia, magneto-ottica, centri di colore, stato solido, spettroscopia molecolare, optoelettronica e processi luminosi. Dalla pensione nel 2009, si occupa ancora di scienza, e coltiva discipline mediche, umanistiche, storiche e archeologiche, in particolare della Sindone di Torino, per suo diletto e diffusione della conoscenza.
Risposta all’articolo di Tomaso Montanari “La Sindone, quel fake profondamente umano”, pubblicato nel Venerdì di Repubblica del 24 aprile 2020 nella rubrica Ora d’Arte.
La Sindone di Torino (ST) è un lungo lenzuolo di lino che contiene tracce di sangue, siero, acqua, bruciature, fori di diverse dimensioni e una debole doppia Immagine frontale e dorsale di una figura umana, che la tradizione cristiana ha sempre identificato con quella di Gesù Cristo.
L’Immagine, di colorazione giallognola con diverse gradazioni di intensità, possiede alcune caratteristiche che la rendono unica nel suo genere, ma una in particolare si riferisce alla sua superficialità. Vista di fronte l’Immagine è visibile per contrasto se si illumina dallo stesso lato, ma se si illumina il lato posteriore allora l’immagine non si vede più mentre tutti gli altri segni di cui sopra sono visibili. Questo semplice esperimento eseguito nel 1978 è stato la prova definitiva della estrema superficialità della Immagine, che però era ben conosciuta da sempre da coloro che avevano avuto il modo di osservarla da vicino durante le ostensioni o visite private. Tanta era la sua superficialità e tenuità che molti hanno fatto fatica a vederla. Malgrado ciò, solo recentemente questa superficialità è stata quantificata con misure specifiche (Fanti et al. 2010), ma per capirne il significato è necessario conoscere prima il tessuto della Sindone.
La ST è stata fabbricata con un filo, diametro medio 250 μm, composto di circa 200 fibrille di lino, diametro molto variabile e valore medio di 13 μm, tenute insieme da una torcitura a Z (in senso orario e non a S antiorario come di solito). Il filo è stato tessuto in diagonale del tipo 3:1 facendo passare il filo trasversale della trama sopra tre e sotto un filo longitudinale dell’ordito, ottenendo così una stoffa a spina di pesce dello spessore di circa 340 μm. Questo particolare modo di tessere, conosciuto sin dalla più remota antichità, conferisce alla stoffa una maggiore compattezza e resistenza meccanica rispetto alla tessitura più tradizionale 1:1. Tanta è questa robustezza che il regno animale l’aveva già utilizzata in un piccolo crostaceo che ne aveva bisogno per la sua sopravvivenza e recentemente è stata anche presa in considerazione dall’uomo per realizzare tessuti resistenti a intensi carichi di compressione (Yaraghi et al. 2016). In ogni caso, la superfice della ST non è una superfice piana e levigata, ma piuttosto rugosa con le dimensioni dei fili, e su scala più piccola delle fibrille che sono come delle minuscole canne di bamboo, e ancora su scala minore della superfice cilindrica delle fibrille stesse, che sono costituite di cellulosa (la parte interna nota come medulla) e emicellulosa (la parte esterna come una guaina spessa circa 200 nm).
L’Immagine della ST è la conseguenza di un processo di deidratazione e ossidazione delle fibrille di cellulosa, che le conferiscono una colorazione giallognola. Ma questa colorazione interessa solo la guaina e non la medulla della fibrilla, e inoltre solamente le fibrille più esterne al filo con al massimo due strati interni. Quindi la parte del filo esposto sulla superfice del tessuto è colorato solo sulle sue fibrille esterne, mentre il resto del filo interno e non esposto sul retro non è colorato, come non è colorata la parte dei fili che è coperta dagli altri fili della trama. E tutto questo si riferisce a un lato della ST mentre l’altro lato non ha nessun tipo di colorazione. Tutte le fibrille colorate lo sono allo stesso modo e la diversa intensità dell’Immagine è dovuta a una modulazione del numero di fibrille colorate per unità di superfice. Cioè, nelle zone più intense ogni fibrilla è circondata da altre fibrille colorate, mentre nelle zone meno colorate ogni fibrilla ha intorno a sé una o più fibrille non colorate, fino alle zone non colorate dove tutte le fibrille non lo sono. Insomma, la ST è come se fosse un dipinto puntinista, una discreta punteggiatura colorata che diviene continua per effetto della visione umana basata sul connubio occhio-cervello. Ma mentre in questa ultima tecnica pittorica i puntini non possono essere più piccoli del pennello, qualche mm al minimo, le fibrille colorate misurano circa 10 μm, almeno cento volte di meno. A tutto ciò va aggiunto che la fibrilla è colorata solamente per un piccolissimo tratto della sua lunghezza totale che può raggiungere anche 5 cm.
Questa peculiare modalità della colorazione della ST, unita al fatto che non ci sono sostanze estranee, pigmenti e materiali di supporto per la pittura, rende immediatamente obsolete tutte le ipotesi di formazione dell’Immagine con metodi pittorici e chimici, che avrebbero dovuto lasciare delle tracce e in molti casi penetrare il tessuto sino all’altro lato. Si ricorda che le macchie di sangue, originatesi nella parte anteriore del tessuto, lo hanno attraversato sino a raggiungere la parte posteriore, e sono sempre ben visibili in qualsiasi condizione di illuminazione.
Rimangono le ipotesi fisiche, e tra queste quella che ha avuto maggior seguito, anche a causa di altre caratteristiche della ST che qui non saranno discusse, è l’ipotesi radiativa, cioè della radiazione luminosa altrimenti nota come Luce. La Luce è un’onda elettromagnetica che è caratterizzata dalla lunghezza d’onda (colori), dalla monocromaticità (un solo colore), dalla direzionalità (propagazione), dalla intensità (fenomeni termici), e dalla possibilità di essere impulsata (fenomeni fotochimici). Per quel che riguarda la lunghezza d’onda, è ben noto che la Luce è assorbita dalla materia isolante, come il lino, e che la sua penetrazione è quasi proporzionale alla lunghezza d’onda. Nel presente caso solo Luce ultravioletta (UV) ha la lunghezza d’onda adatta per una colorazione come nella ST.
La monocromacità è alla base dei fenomeni di diffrazione, che producono una illuminazione modulata spazialmente e quindi in grado di colorare in un posto e non in un altro.
La direzionalità della Luce la fa agire solo nel senso della sua propagazione, come richiesto dalla ST che non possiede immagini laterali.
La intensità luminosa è alla base dei processi fototermici e fotochimici e ne determina gli sviluppi temporali. Inoltre la sua distribuzione spaziale ineguale facilita la colorazione a macchia di leopardo.
La Luce impulsata permette di iniziare e interrompere un qualsivoglia fenomeno interattivo tra Luce e materia, e insieme all’intensità ne determina la natura nella direzione termica (riscaldamento, bruciatura) o chimica-fisica (colorazione, ablazione).
Con l’incoraggiamento di quanto appena descritto, nel 2005 presso il Centro di Ricerca ENEA a Frascati sono state iniziate alcune esperienze di irraggiamento di stoffe di lino con i laser ad eccimeri che erano disponibili perché già costruiti per altri progetti scientifici. Queste sorgenti luminose producono fasci di Luce inpulsati nell’UV, e erano allora le più potenti al mondo.
Le prime esperienze condotte con un laser a 308 nm e 120 ns (miliardesimi di secondo) di durata non hanno dato alcun risultato utile per un lungo periodo di tempo. Infatti i tessuti non mostravano alcuna colorazione oppure erano completamente bruciati. Allora è stato utilizzato un altro laser a 308 nm e 33 ns di durata, e questa volta ci sono stati buoni risultati. Infatti, è stata ottenuta una colorazione marrone che penetrava per circa 120 μm, ma solo se si usava una potenza di circa 20 MW/cm2 (milioni di Watt per cm quadro). Una potenza minore apparentemente non produceva alcun effetto, mentre una potenza maggiore bruciava il tessuto di lino (Baldacchini et al. 2008). La strada era quella giusta, perché la durata minore dell’impulso del secondo laser aveva fatto la differenza, ma il colore non era ancora giallognolo e la penetrazione nel tessuto era ancora troppo grande. Allora le esperienze sono continuate con un laser a 193 nm e 12 ns di durata, e questa volta la colorazione era giallognola, la penetrazione di circa 20 μm nei fili e solo la guaina della fibrilla ne era coinvolta, ed era necessaria una potenza di circa 2 GW/cm2 (miliardi di watt per cm quadro) (Di Lazzaro et al. 2012).
I precedenti esperimenti hanno mostrato che la radiazione luminosa, altrimenti Luce, è in grado di colorare tessuti di lino con le stesse caratteristiche dell’Immagine della ST, ma a condizione che la Luce sia:
- UV, cioè lunghezza d’onda inferiore a 200 nm, una radiazione elettromagnetica non visibile agli occhi umani e dannosa alla stessa vita animale e vegetale perché taglia l’elica del DNA,
- emessa in un tempo inferiore a 100 miliardesimi di secondo, molto meno di un flash luminoso o un fulmine,
- molto intensa, e la sua intensità compresa in un intervallo molto ristretto, che è un classico fenomeno critico a soglia.
Se una sola delle precedenti condizioni non viene soddisfatta, gli effetti della Luce sono trascurabili oppure completamente distruttivi. Alla fine si può affermare che una colorazione simile a quella dell’Immagine della ST può essere ottenuta con una potentissima e istantanea esplosione di Luce.
Quanto raccontato sopra, mostra come sia possibile studiare seriamente e secondo il metodo della ricerca scientifica un argomento complesso dal punto di vista scientifico e storico, e che contiene anche elementi escatologici. Alcune risposte sono state date, altre attendono ancora una soluzione condivisa, che probabilmente non ci sarà mai in modo completo, ma tentare di liquidare semplicemente come un manufatto medioevale francese la ST, che “può essere il più importante tra tutti gli oggetti storici esistenti” (Rogers 2003), è una offesa all’intelligenza umana.
Anche perché, recentemente è stato pubblicato un libro (a causa della pandemia del Covid-19, non c’è stata la possibilità di presentarlo e diffonderlo, e al momento si trova in quarantena in Abbazia) in cui si racconta la riscoperta di un reperto singolare presso l’Abbazia di Grottaferrata (Baldacchini et al. 2020). Si tratta di una Croce Mensurale (CM) che riporta le dimensioni, altezza e larghezza di spalle, di Gesù Cristo come prese dalla Sacra Sindone. La presenza di una CM in Abbazia è precedente al 18° secolo, e a oggi non si conoscono la sua origine e le ragioni della sua presenza in Abbazia. Secondo una antica tradizione, la prima CM venne realizzata in argento dorato e gemmato dall’imperatore Giustiniano nel 550 circa, dopo aver inviato uomini di fede e rispettabili a Gerusalemme per prendere le misure di Cristo da un reperto ivi esistente. Questa CM preziosa, detta Aurea, che cura le malattie, rimuove le infermità e scaccia i demoni, è sempre rimasta nella grande Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli fino al 1204, quando durante il sacco dei crociati latini scomparve per sempre. Questa avvincente storia che avviene nel tempo per 1500 anni, e nello spazio tra Oriente e Occidente, pone alcune importanti domande. Perché una CM povera compare in un monastero di rito greco-bizantino a Grottaferrata alle porte di Roma, probabilmente l’unica del suo genere esistente al mondo oggi, dopo quasi 500 anni dalla scomparsa della CM Aurea? Perché la CM Aurea, la CM povera di Grottaferrata e l’uomo della ST hanno la stessa altezza pari a circa 180 cm? Il libro cerca di rispondere a queste domande al meglio delle attuali conoscenze storiche e documentali, ma rimane il fatto che molto probabilmente 1500 anni fa esisteva a Gerusalemme un importante reperto storico dal quale è stato possibile ricavare le dimensioni di Gesù Cristo. Era questo reperto la stessa Sindone che oggi si trova a Torino?
Giuseppe BALDACCHINI 6 mggio 2020
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