di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
IL RAZIONALISMO ITALIANO
Prima parte
Il compromesso fra modernità e tradizione
Nella sua introduzione a “Vers une Architecture”, pubblicato nel 1923, significativamente intitolata Architecture ou Revolution, Le Corbusier, pseudonimo di Charles Edouard Jeanneret, scriveva:
“Da quando la storia dell’architettura si è lentamente dipanata attraverso i secoli secondo le modalità di organismo e decorazione, negli ultimi cinquant’anni il ferro ed il cemento hanno favorito nuove conquiste che hanno permesso di sconvolgere profondamente l’architettura … Una grande epoca sta cominciando: il existe un esprit nouveau”.
In quel periodo fra il 1925 e il 1927 Le Corbusier realizza il Pavillon de l’Esprit Nouveau per l’Esposizione Internazionale delle arti decorative di Parigi (fig.1),
la Villa a Garches, uno dei suoi primi edifici residenziali (fig.2)
e, a Stoccarda per la colonia Weissenhof due edifici tipo, dove applica il canone dei cinque principi dell’architettura moderna: volume su pilotis, tetto giardino, piano libero, facciata libera, finestre a nastro.
I giovani architetti italiani, alcuni dei quali avevano avuto l’occasione di viaggiare i Germania e Francia, rimasero profondamente influenzati dall’esperienza lecorbuseriana come dalla Bauhaus di Gropius; nel 1926 alcuni fra loro, tutti milanesi, costituiranno il Gruppo7 : Gino Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni. Ad essi si unirà Adalberto Libera, romano, che del gruppo sarà il segretario.
Racconta Giorgio Ciucci, nel suo “Gli architetti e il fascismo”, che Libera aveva avuto l’occasione nel 1927 di fare un viaggio di istruzione in Germania insieme a Mario Ridolfi. Ne ritornò con un carico di libri che gli serviranno come testi architettonici per molti anni; appunterà nel suo diario le case e i libri che più lo interessarono: la casa di Mies van der Rohe alla colonia Weissenhof, i libri del Bauhaus di Walter Gropius, gli studi sulla casa di Bruno Taut, i quaderni di “Das neue Frankfurt” del 1928 dove erano illustrati i progetti e le realizzazioni di Perret, Oud, Wright, Moholy Nagy e soprattutto il libro di Le Corbusier “Vers une Architecture”.
I giovani architetti del Gruppo7 si presentarono al pubblico con alcuni articoli su “Rassegna Italiana”:
“noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma e assume aspetti nuovi…La nuova architettura, la vera architettura, deve risultare da una stretta adesione alla logica, alla razionalità….Dalla perfetta rispondenza dell’edificio agli scopi che si propone siamo certi che debba risultare lo stile…. la nuova generazione proclama una rivoluzione architettonica.”
Il tema modernità e tradizione rimarrà nell’esperienza degli architetti italiani fino ai nostri giorni.
La Prima Esposizione dell’Architettura Razionale
Adalberto Libera, trentino ma romano di adozione, seppur fortemente condizionato dal clima di affarismo della capitale e dall’autoritarismo accademico di Gustavo Giovannoni e di Marcello Piacentini, seppe tuttavia reagire e, insieme a Gaetano Minnucci, con il patrocinio del Sindacato Nazionale fascista, organizzò, nel 1928 al Palazzo dell’Esposizioni di via Nazionale, la Prima Esposizione dell’Architettura Razionale.
Furono esposti molti lavori per lo più inediti: le Officine per la produzione del gas di Terragni (fig.3),
la Torre dei ristoranti di Ridolfi (fig.4), la Fabbrica Fiat di Mattè Trucco, il Garage per 500 auto di Figini e Pollini, lo studio per una chiesa di Piccinato (fig.5), la Sala d’aspetto di un aereoporto di Minnucci.
Alcuni fra questi progetti entreranno nella storia dell’architettura contemporanea; in particolare la Torre dei ristoranti (fig.6) del 1928 segnalerà le grandi capacità e l’approccio critico al razionalismo di Mario Rodolfi che lavorerà su questo tema, la verticale contraddetta dall’audace flessione del volume, replicandolo dopo quarant’anni nel progetto del Motel Agip a Settebagni presso Roma .
Presentando l’iniziativa su Casa Bella, allora ancora diretta da Guido Marangoni, Arturo Lancellotti, nei tipici modi paternalistici, concluderà:
“Non tutti i progetti che vediamo così ben esposti sono stati tradotti in realtà. Ma in ogni modo, bisogna accogliere con simpatia, pur facendo le dovute riserve,questo giovanile movimento, che, anche come reazione alla tendenza troppo invalsa di copiare il passato, ci sembra lodevole. Col tempo, disciplinando le proprie energie, epurandosi da qualche infiltrazione straniera, i giovani potranno dirci una parola veramente nuova e soprattutto italiana”.
La prima Esposizione dell’Architettura Razionale fu, inaspettatamente, una grande occasione per favorire la conoscenza e la coesione dei giovani razionalisti. Essa ebbe il merito di riunire e confrontare le esperienze di molti architetti che ancora si ignoravano: i torinesi Sartoris con Chessa ed altri; i milanesi del il Gruppo7 con Bottoni e Baldassarri e in particolare i romani, con ben 18 espositori del Gruppo Urbanisti Romani fra cui Piccinato, Cancellotti, Scalpelli, Valle che si erano segnalati per la partecipazione a concorsi per i Piani Regolatori di importanti città italiane.
Fra tutti avevano all’epoca realizzato una sola piccola costruzione, la “Casa Elettrica” per la Triennale di Monza, un edificio provvisorio di cui Figini e Pollini elaborano nel 1930 il progetto architettonico e Libera e Frette concepiscono l’arredamento, firmando, per la prima ed ultima volta, gli elaborati del progetto tutti insieme come Gruppo7 (fig.7).
Questo piccolo padiglione espositivo, che trova nella metafora della luce futurista il segno dell’innovazione industriale, costituirà la prima prova, il manifesto del giovane razionalismo italiano, unica architettura del nostro paese selezionata l’anno successivo per la mostra “The International Style” al Moma di New York, organizzata da Philip Johnson ed H. Russel Hitchcock.
Nel 1930 il Gruppo7 si scioglierà per dar vita al Movimento Italiano per l’Architettura Razionale, il Miar. Libera ne diverrà ancora il segretario. Sarà il Miar a promuovere nel 1931 la Seconda Esposizione dell’Architettura Razionale organizzata nella galleria romana di Pier Maria Bardi.
La Seconda Esposizione dell’Architettura Razionale
Ci sono delle grosse novità: all’ingresso della Galleria, peraltro finanziata da Mussolini, campeggia una frase del Duce: “noi dobbiamo creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico, dobbiamo crearci un’arte nuova, un’arte dei nostri tempi, un’arte fascista”. La presentazione di Bardi è esplicita:
“Tutto quanto è architettura dovrebbe essere controllato con rigore, da esperti avveduti … in nome dell’idea imposta da Mussolini, per la moralizzazione dell’Italia”.
Presentano le loro opere i partecipanti alla Prima Esposizione con l’esclusione di Alberto Calzabini, segretario Sindacato nazionale fascista, di Sabbatini e Mattè Trucco e dei “traditori” Larco e Rava che nel frattempo avevano ottenuto importanti incarichi in Libia. Gaetano Minnucci presenta il Progetto di una chiesa in cemento armato; Libera un concorso per case di abitazione a Tripoli; Baldessarri, Figini e Pollini un Arredamento a Milano.
Si distingue fra tutte un’opera di inaudita rottura per l’Italia di allora: il Novocomum, un edificio per appartamenti terminato da Giuseppe Terragni a Como solo nel 1929, frutto di tante fatiche spese per scavalcare gli ostacoli dell’amministrazione comunale della città. La costruzione suscitò tanta sorpresa e sdegno fra il pubblico per la coraggiosa soluzione angolare dove due corpi cilindrici di vetro si innalzano per due piani a sostenere uno spigolo sporgente terminale (fig.8).
Un’opera non supinamente razionalistica ma basata sui forti contrasti dei volumi plastici; “in questa architettura entra tutta la natura circostante…tutta questa architettura entra nella natura” scriveranno Figini e Pollini nella presentazione del “Novocomum” in Realizzazioni del Gruppo7, su Natura del gennaio 1930.
Ma tutte le attenzioni dell’esposizione sono concentrate sul Tavolo degli Orrori, la pietra dello scandalo voluta da Bardi; una composizione di ritagli di giornali e riviste di moda, in cui comparivano fra le altre opere di Marcello Piacentini, Armando Brasini, Cesare Bazzani e di altri architetti notoriamente ostili al Movimento Moderno (fig.9).
Minnucci, uno degli organizzatori della mostra assieme a Giò Ponti e Mario Sironi, in una lettera indirizzata al gruppo milanese del Miar, che aveva promosso la mostra, evidenzia il tono della polemica esplosa con il Tavolo degli Orrori e critica Bardi per aver trascinato tutti in una sua personale polemica. I giovani razionalisti sono accusati di voler tirare troppo la corda. Piacentini è un’autorità assoluta, arbitro di concorsi e dispensatore di incarichi; i suoi interessi professionali coincidevano con gli interessi sindacali di Calzabini; la strategia di Piacentini puntava ad imbrigliare il movimento razionalista italiano; ma per realizzare questo obiettivo occorreva distruggere il Miar come movimento indipendente e riassorbire sotto il suo controllo i suoi membri più malleabili.
Il Sindacato Nazionale fascista ritirò l’adesione alla mostra e favorì la costituzione di un nuovo Raggruppamento architetti moderni italiani il Rami, in funzione di disturbo anti Miar. In omaggio a Piacentini alcuni membri del Miar passarono al Rami.
Il perché di un esito infausto
Per comprendere appieno l’esito infausto di questa prima fase del razionalismo italiano occorre risalire alle contraddizioni che i giovani architetti razionalisti dovettero affrontare: la contraddizione fra carattere internazionale del movimento razionalista e le forti e radicate culture regionali italiane; la contraddizione fra la spinta innovativa dello stile razionalista e il peso del valore della tradizione che l’eclettismo otto-novecentesco aveva profondamente legittimato; infine il compromesso fra regime fascista ed architettura moderna.
In Italia l’architettura nuova era nata sotto l’influenza dell’esperienze straniere; basta ricordare la formazione intellettuale di molti giovani razionalisti: Baldessarri era cresciuto in Germania, Sartoris fu educato in Svizzera, Pagano crebbe nell’atmosfera cosmopolita della Trieste dell’anteguerra. L’architettura razionalista si manifestò essenzialmente a Milano e a Torino, due città industriali dove il “razionalismo” assunse il tono di un esperienza concretamente “europea”.
Il movimento razionalista permise il profondo rinnovamento dell’architettura italiana e il tema della città moderna e razionale fu posto per la prima volta.
Ma il movimento razionalista incontrò subito una forte resistenza. Basti ricordare il clima culturale milanese, dove l’opera Giovanni Muzio, l’architetto di maggior prestigio del movimento artistico del “Novecento”, reagendo alle sperimentazioni futuriste, aveva sperimentato un’arte che avesse come riferimento l’antichità classica, la purezza delle forme, l’armonia della composizione (fig.10).
Il rapporto fra Novecento e Razionalismo fu per i giovani razionalisti conflittuale. Ma vi fu pure continuità: pur rifiutando l’Eclettismo, l’influenza della Secessione viennese e dello stile vernacolare e del barocchetto romano di Gustavo Giovannoni, autorevole fondatore e direttore della prima Facoltà di Architettura a Roma, pesava sulle esperienze degli architetti milanesi e romani.
Infine il razionalismo potè approfittare, ma solo fino al 1934, del consenso di Mussolini disposto a sostenere la nuova architettura come manifestazione della trasformazione del Regime fascista in Stato dittatoriale.
Il compromesso fu comunque di breve durata. Nel 1932 Massimo Bontempelli e Pier Maria Bardi fondano Quadrante, una rivista mensile di cultura ed arte ispirata dal regima fascista. Nel primo numero viene precisato un Programma per l’architettura: si dichiarava la netta opposizione alle tendenze europee nelle forme più integrali del razionalismo praticate da Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe; venivano precisati caratteri peculiari che il razionalismo italiano doveva assumere, il “classicismo” e la “mediterraneità”; si dichiarava infine il sostegno all’integrazione fra spirito moderno innovatore e politica del regime fascista.
Vennero così poste le premesse culturali di un’architettura italiana come Arte dello Stato fascista.
Francesco MONTUORI Roma 21 giugno 2020