di Francesco MONTUORI
Migranti su About
M.Martini e F. Montuori
IL RAZIONALISMO ITALIANO
Seconda Parte
Architettura arte di Stato
La storia dell’architettura italiana fra le due guerre è un’avventura contraddittoria ed amara. Nel quadro della politica culturale e dell’attività di propaganda del regime fascista l’architettura svolse un ruolo di assoluto rilievo sia nel campo monumentalista sia in quello modernista. Per esemplificare: sia Piacentini e Portaluppi da un lato che Pagano e Terragni dall’altro, e con lui molti fra gli architetti razionalisti, aderirono al fascismo alcuni per vocazione e cinismo, la maggioranza per convinzione. Di certo il regime fascista, agli inizi con debolezza e contraddittorietà, in seguito con la violenza ed il ricatto, tentò di presentare come fascista quanto di valido (e meno valido) si facesse nell’Italia di allora.
Fu un periodo storico di importanti iniziative edilizie ed urbane.
La realizzazione della nuova stazione di Firenze, la costruzione nella pianura pontina delle città di fondazione, i concorsi fra cui a Roma, di rilevante importanza, quello del Palazzo del Littorio su via dell’Impero, le nuove stazioni ferroviarie, i nuovi edifici postali, la Città universitaria ed infine la costruzione, a sud di Roma, dell’E42, furono occasioni di acceso dibattito e di scontro fra tradizionalisti ed innovatori, suscitarono scalpore, interesse, dibattito, scandalo. D’altra parte a differenza di pittura e scultura l’architettura è un arte sotto gli occhi di tutti.
Due importanti manifestazioni
Negli anni fra il 1932 e il 1934 il “compromesso” fra regime fascista e architetti razionalisti fu messo alla prova. Lo stesso schieramento dei giovani razionalisti, che avevano dato vita al MIAR, Movimento Italiano Architettura Razionale, non si rese conto della tempesta culturale che si apprestava a travolgerli.
Un ruolo importante, di esplicita propaganda del regime, fu ricoperto da due importanti manifestazioni: la Mostra della Rivoluzione fascista che fu allestita al Palazzo dell’Esposizione di via Nazionale a Roma nel 1932 e la V Triennale di Milano del 1933.
La Mostra della Rivoluzione fascista fu voluta per celebrare il decennale della “marcia su Roma”; i due progettisti Mario De Renzi ed Adalberto Libera avvolgono l’edificio di via Nazionale con un cubo di trenta metri per lato a rappresentare, con la sua purezza geometrica, la sintesi della concezione totalitaria del regime fascista. Nella facciata su via Nazionale vengono inseriti quattro fasci in lamiera di rame brunito e ossidato alti 25 metri (fig.1). Lavorano all’allestimento un’eclettica schiera di artisti, di futuristi, razionalisti, novecentisti: Sironi, Fumi, Nizzoli, Prampolini, Maccari oltre a Libera e De Renzi. All’ interno del Palazzo la celebrazione del regime è affidata a Libera che concepisce il “Sacrario dei martiri fascisti”, un alto cilindro su cui è ossessivamente scandita la parola “presente” (fig. 2); il razionalismo architettonico qui si traveste da “movimento spirituale”.
Solo un anno dopo si apre al Palazzo dell’Arte di Milano, da poco costruito dall’architetto Giovanni Muzio, la V Triennale di Milano (fig.3).
Il programma si articola in due specifiche manifestazioni: una mostra dell’abitazione moderna e l’esposizione internazionale di architettura; sezioni personali sono dedicate a Perret, Melnikoff, Wrigth, Gropius, Mies van der Rohe, Le Corbusier, Sant’Elia. Viene trasformato il Salone delle cerimonie (fig.4) con affreschi di Mario Sironi, Achille Fumi, Giorgio De Chirico, Gino Severini.
Agli architetti razionalisti viene offerta la possibilità di realizzare, nel Parco del Sempione, quaranta costruzioni sperimentali dedicate al tema della villa e della casa economica unifamiliare: Griffini e Bottoni progettano alcuni tipi di case popolari; Figini e Pollini una Villa-studio per artista (fig.5);
Portaluppi e il gruppo dei BBPR (Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers) la Casa del sabato per gli sposi (fig.6);
Moretti, Pediconi e Paniconi la Casa per un uomo di studio; Baldessarri il Padiglione per la stampa; Terragni e Lingeri la Casa sul lago per vacanze da artista:
“la casa di un uomo intelligente, moderno e di gusto che vive e lavora liberamente e semplicemente” (fig.7).
A Giò Ponti e Chiodi è affidata la Torre Littoria, unica opera tuttora preesistente.
Persico critica aspramente questa manifestazione: le case popolari di Griffini e Bottoni si limitano a generici schemi planimetrici; la casa studio per artista di Figini e Pollini per l’uso dei piani liberi e degli esili pilastri di ferro, è un chiaro riferimento al Padiglione di Barcellona di Mies van der Rohe; la casa di Terragni e Lingeri contrasta con il carattere astratto del razionalismo gropiusano per l’innesto di motivi legati all’architettura del folklore mediterraneo.
Persico mette in evidenza l’oscillazione fra novecentismo e funzionalismo, fra tradizione e innovazione, fra classicismo e mediterraneità. Dalle pagine di Casabella, diretta dal 1933 da Giuseppe Pagano, sottolinea:
“All’estero il razionalismo è stato un movimento fecondo di idee e di esperienze ed ha rinnovato le basi più profonde del gusto europeo”;
invece in Italia il razionalismo, scriverà per l’ Italia letteraria del 6 agosto 1933,
“non è nato da nessuna esigenza profonda ma da posizioni dilettantesche, come l’europeismo da salotto del Gruppo7”.
E’ una dura critica che accentua la debolezza del compromesso fra razionalisti e regime. Non è dunque casuale che Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli propongano senza mezzi termini sulla loro rivista Quadrante, che il razionalismo sia l’architettura ufficiale del regime; sarà sempre Pier Maria Bardi ad appellarsi direttamente al Duce
“perché l’architettura moderna diventasse “arte di stato”, suggerendo che lo stato ha tutto l’interesse di controllare la delicata questione dell’architettura secondo un criterio dittatoriale e unificatore”.
I tradizionalisti all’assalto
Il 26 aprile 1934 sulle pagine della rivista Casabella, Giuseppe Pagano riferisce del dibattito alla Camera sulle numerose interrogazioni nel merito della costruzione della Casa Littoria in via dell’Impero, l’attuale via dei Fori Imperiali.
Prende la parola l’on. Alberto Calza Bini, segretario del sindacato architetti; illustra gli ultimi progetti per i lavori di costruzione su via dell’Impero della Casa Littoria di Roma; rileva la bontà del cammino sul quale è avviata l’arte italiana.
Interviene l’on. Giunta: Non vogliamo la stazione di Firenze su via dell’Impero! (vivaci applausi).
Calza Bini: I giovani tornano allo studio dell’antico….
Voci: Era ora! (applausi)
Farinacci: E’ finita per il novecento!.
Oppo: Non è finita mai per l’intelligenza italiana….
Farinacci: Non è roba italiana il novecento. E’ bottega.
Giunta e Teruzzi: Ne abbiamo abbastanza di Sabaudia!
Quando si ristabilisce la calma, l’on. Calza Bini protesta contro talune forme di ostilità preconcetta contro l’architettura di oggi…
Giunta: La stazione di Firenze!! Ricordatevela e vergognatevi!
Interviene l’on Caffarelli: Liberatevi e liberateci da esotismi e fate che la costruzione sia ispirata a senso di romana grandezza! (Vivissimi e generali applausi).
L’on Bacci esprime il desiderio che la nuova costruzione non deve adottare un’ architettura di tipo tedesco. (Applausi). Non vogliamo una architettura bolscevica! (Vivi, generali applausi). Niente ibridi patteggiamenti e congiungimenti fra arte bolscevica e arte nipponica: vogliamo un’architettura nostra…
Voci: Romana!! (Applausi)
In seguito a questo acceso scontro Mussolini esprimerà, ricevendo i progettisti di Sabaudia e della Stazione di Firenze, tutto il suo appoggio alle posizioni culturali dei giovani razionalisti; Giuseppe Pagano, plaude all’intervento del Duce e concluderà: “ora l’architettura moderna è l’arte dello stato fascista”. L’equilibrio precario fra un’idea di architettura come stile di un’ epoca, e un’idea di architettura come immagine di un regime, il fascismo, sembra ancora lasciare spazi di autonomia alla cultura architettonica.
La Casa del Fascio di Como.
Il numero 35-36 di Quadrante viene dedicato interamente ad illustrare la nuova Casa del Fascio di Como, opera di Giuseppe Terragni. La Casa del Fascio di Como, progettata nel 1932 e conclusa nel 1936, ebbe immediato e grande successo sia nell’area culturale del regime che tra i critici d’avanguardia. Non è casuale questa rilevanza: l’opera di Terragni rappresenterà infatti una sintesi fra classicità e modernità, offrendo una concreta risposta al dibattito che si era aperto fra tradizionalisti ed innovatori.
Il volume della Casa del Fascio è un prisma perfetto: pianta quadrata di metri 33,20 per lato, alzato l’esatta metà, metri 16,60 (fig.8).
Un cubo dimezzato, le quattro facciate programmaticamente diverse fra loro. Si discosta polemicamente dai canoni lecorbuseriani: le facciate non sono indipendenti dalla intelaiatura strutturale e racchiudono una corte a guisa di un classico palazzo del Rinascimento italiano. Le quattro facciate, non sono liberi piani; esse sono organizzate secondo rapporti numerici e costruzioni geometriche (fig.9);
ogni facciata ha una sua autonoma soluzione ma tutte, per il giro dell’angolo pieno, rafforzano l’effetto volumetrico. Il solido si anima della luce delle pareti bianche e delle ombre nette delle rientranze delle logge e delle finestre incassate (fig.10).
L’opera di Terragni fu variamente interpretata dai critici tradizionalisti e dai progressisti: Bontempelli la definì “una perfetta espressione del fascismo”.
Nello stesso numero di Quadrante Carlo Belli dopo aver definito la Casa del Fascio un prontuario di bellezza sottolineava che il “senso della materia pesante e opaca è dimenticato”,.. “un ambiente leggerissimo in cui il vuoto è l’aria e il pieno è trasparenza”. L’opera di Terragni è, come il fascismo, “una casa di vetro in cui tutti possiamo guardare”.
Giuseppe Pagano dalle pagine di Casabella critica l’impostazione classicista come un
“arbitrio stilistico…una classicità che non corrisponde alla poetica del razionalismo e persino la nega, nonostante le apparenze che la funzionalità strutturale crea.”
Pagano e Persico concertano una azione concorde di critica negativa. Rimproverano a Terragni il monumentalismo ma anche l’irripetibilità:
“occorre desiderare di essere anonimi, di essere puri da atteggiamenti retorici, di non volerci noi stessi imprigionare in un accademia di forme e di parole… Terragni ci allontana dalla tradizione europea, dal gusto europeo, vanto del primo razionalismo”.
Sarà lo stesso Le Corbusier, durante il suo viaggio in Italia, a correggere il giudizio di Pagano e di Persico:
“Il funzionalismo non è stato che una protesta momentanea che ha avuto all’inizio il senso di far riflettere gli architetti sull’a,b,c del loro mestiere; subito dopo la strada dell’immaginazione si è spalancata per quanti seppero prenderla e giungere al vero obbiettivo.”
L’opera di Terragni, aggiunge Le Corbusier, dimostra che egli non solo era ispirato da questo sentimento ma dalla conoscenza della proporzione, della bellezza plastica, della purezza delle linee;
“Terragni è stato amico e compagno nella grande battaglia per un arte pura, un arte che ha avuto per obiettivo finale quello di rendere più civili il mondo e gli uomini utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione.” (fig.11)
Ancora una volta, per vuoto culturale, il regime non scelse, finchè, con l’approssimarsi del secondo conflitto mondiale, le linee della politica culturale si fecero sempre più evidenti: l’architettura sollecita la fantasia di chi vuole passare alla storia. Con l’avventura dell’E42 la romanità e la monumentalità divennero il risvolto formale storico-filosofico dell’eternità del regime fascista, le ragioni stesse di una civiltà architettonica rivolta verso il passato.
Francesco MONTUORI Roma 5 luglio 2020