E’ del Cavalier d’Arpino il San Sisto di Alatri; la conferma dal Convegno dell’11 luglio

redazione

E’ certamente un capolavoro giovanile di Giuseppe Cesari, meglio noto come il Cavalier d’Arpino, l’affresco raffigurante l’effige di San Sisto, il patrono di Alatri, tornato ora perfettamente leggibile grazie al magistrale lavoro della dott.sa Maria Letizia Molinari, che consente di sciogliere ogni riserva circa l’attribuzione alla mano dell’artista arpinese, fin qui tramandata oralmente senza verifiche di altro tipo, aggiungendo altresì nuovi e determinanti spunti per la conoscenza della sua prima produzione.

Cavalier d’Arpino, San Sisto (prima del restauro)
Cavalier d’Arpino Ritratto di San Sisto (post restauro)

E’ stato un evento importante quello svoltosi davanti a centinaia di cittadini sabato 11 luglio nella splendida cornice del  Giardino dell’Episcopio, nel piazzale dell’Acropoli di Alatri.

L’affresco è stato presentato dal prof Mario Ritarossi, che ha ripercorso con vera maestria la storia di San Sisto, divenuto il patrono di Alatri, risalendo dall’alto Medioevo fino al 1584, l’anno in cui Ignazio Danti, nel frattempo nominato Vescovo di Alatri da papa Gregorio XIII Boncompagni che lo aveva assai apprezzato come matematico pontificio, nominandolo poi membro della commissione per la riforma del calendario, ne ordinò la realizzazione.

Lo storico alatrino Luigi De Persiis riferisce in particolare che “a quel tempo, venne in Alatri il Cav. d’Arpino per visitare l’antico suo benefattore, il Danti” e, in segno di riconoscenza per la benevola protezione del presule, che pochi anni prima nei cantieri vaticani ne aveva notato e addirittura segnalato le capacità al papa Gregorio XIII, dipinse “il busto di s. Sisto con fattezze assai gravi e vigorose, condotto in maniera accuratissima e, a giudizio dei periti, non inferiore alla fama del celebre Cavaliere”.

L’attribuzione del ritratto al pittore arpinate è ribadita dallo storico reatino Vincenzo Palmesi che lo identifica, “quantunque deturpato”, come opera del celebre cav. D’Arpino che il Danti aveva conosciuto giovanetto alla corte vaticana e che, da lui protetto ed aiutato, ne serbò poi sempre eterna riconoscenza”. Il Palmesi precisa inoltre che “il dipinto del D’Arpino fu eseguito nel 1585, oppure nel 1586”.

E se è vero che mancano testimonianze scritte al riguardo, tuttavia  la mano del Cavalier d’Arpino emerge prepotentemente nella realizzazione dell’opera.

Personalità di primissimo piano ed a lungo protagonista assoluto delle vicende artistiche a cavallo dei secoli XVI e XVII, la messa a fuoco della figura e dello stile dell’artista è stata oggetto dell’intervento di Francesco Petrucci, direttore del Museo del Barocco romano di Ariccia, che ha rimarcato come quest’opera apra una pagina nuova nella ricostruzione della stessa ‘maniera’ espressiva del pittore laziale, che era appena 17 enne quando venne ingaggiato per il lavoro, sottolinenadone peraltro la forte originalità che lo fece emergere come personalità autonoma, in grado di esprimere una propria individuale maniera. Questo gli consentì di assumere molte tra le più significative committenze da parte delle prinicpali famiglie dell’aristocrazia del tempo e di attrarre attorno a sé numerosi giovani talenti emergenti desiderosi di imparare da lui. Basti pensare tra l’altro che nella sua bottega transitarono personalità quali Caravaggio, Pietro Bernini e altri protagonisti emergenti dell’arte seicentesca.

Un contributo importante al Convegno, curato dal prof. Tarcisio Tarquini e promosso dall’Associazione Gottifredo e grazie al contributo della “Fondazione Terzo Pilastro – internazionale” presieduta dall’Avv. Prof. Emmanuele Emanuele, che ha istituito il “Coworking Gottifredo”, e con la collaborazione dell’ufficio diocesano del Beni artistici e del vicario foraneo don Antonio Castagnacci, è stato quello della giovane storica dell’arte Eugenia Salvadori, che ha illustrato, in maniera encomiabile e con grande competenza, la figura del committente dell’affresco, cioè Ignazio Danti, trasferito per così dire da Gregorio XIII ad Alatri da Roma, certamente contro la sua volontà (lo dimostrerebbe una lettera del prelato, citata dalla studiosa), ma poi capace di lasciare un segno indelebile del suo passaggio nella Diocesi alatrina.

Roma 13 luglio 2020