di Massimo MORETTI
La profonda commozione che avvertiamo per la scomparsa di Maurizio Calvesi non dipende soltanto dalla sensazione di un vuoto incolmabile o dalla coscienza di una ricchissima e già feconda eredità culturale. Calvesi ha infatti incrociato e segnato indelebilmente le esistenze di moltissimi studiosi, mantenendo sempre un occhio attento verso i giovani, spesso coinvolti nelle proprie indagini o invitati a sviluppare le intuizioni generate dal suo lungo magistero esercitato nelle soprintendenze, nelle accademie e nelle università. Sarebbe interessante ragionare sulle ricerche che dai suoi studi o per suo consiglio sono state avviate, su quello che oggi nella valutazione scientifica si definisce Impact factor.
In questa sede, tuttavia, vorrei lasciare un ricordo personale, certo non paragonabile a quello dei suoi più diretti allievi. Devo la conoscenza personale di Maurizio Calvesi ad Alessandro Zuccari il quale già nei primi anni dopo la laurea mi ha introdotto nel cuore del metodo e delle ricerche della cosiddetta “scuola romana”, in particolare agli studi caravaggeschi. Le ricerche su Fantino Petrignani, tra i primi protettori del Merisi, nascono proprio dall’esigenza di far luce su un momento della vita dell’artista che era rimasto in ombra, seguendo a modello le indagini sui contesti di cui Calvesi è stato assoluto maestro. Le prime volte in cui mi sono immerso nella lettura fitta dei documenti era viva in me l’immagine di Calvesi piegato sull’epistolario Borromeo attraverso il quale, nel suo Le Realtà del Caravaggio, lo studioso era riuscito a illuminare nuovamente la biografia e le opere del pittore lombardo. Ricordo l’orgoglio con il quale nell’introduzione della sua monografia su Caravaggio menzionava nominalmente i suoi allievi, valorizzando e in certi casi anticipando i risultati delle loro preziose ricerche.
Per Calvesi è sempre stato importante il rapporto con la scuola. L’apertura generosa verso i più giovani si tramanda e si pratica ancora negli ambienti dell’università di Roma e negli anni sono maturate le amicizie e si sono moltiplicate le collaborazioni scientifiche intergenerazionali. Nel 2010, presentando a Palazzo delle Esposizioni un’opera multimediale dedicata a Caravaggio, opera alla quale avevo lavorato con lui e con Vittorio Storaro, Calvesi disse che in quanto allievo di Alessandro Zuccari mi considerava suo allievo. La generosa dichiarazione mi fece arrossire, ma è indubbio che l’origine di quell’incosciente desiderio di intraprendere la strada della Storia dell’Arte dipende in buona parte dal suo scrivere. L’innamoramento per la disciplina lo devo infatti principalmente alla rivista Art&Dossier di cui sono stato accanito lettore già negli anni dell’adolescenza. Sono certo di aver letto per la prima volta in quella rivista la parola “Iconologia” e di essermi invaghito del metodo sviluppato da Warburg e Panofsky leggendo la rubrica di letture iconologiche introdotta nella rivista negli anni della direzione Calvesi. I contenuti dedicati in quelle pagine a Piero della Francesca, Carrà, Botticelli, Bronzino e Caravaggio, li ho poi ritrovati in parte nelle sue lezioni alla Sapienza che ho fatto in tempo a seguire negli ultimi anni della sua docenza.
Non occorre rimarcare la vastità della cultura e degli interessi di Maurizio Calvesi. Vorrei solo menzionare, a conclusione di questo breve ricordo, un episodio di cui sono stato diretto testimone, riguardante l’avvincente vicenda del falso “Papiro di Artemidoro”. Nel 2006 Alessandro Zuccari invitò Luciano Canfora, direttore del Dottorato di Ricerca in Scienze Storiche che stavo frquentando, a tenere presso l’ex Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo una conferenza sulla complessa questione critica del famigerato papiro acquisito dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia S. Paolo di Torino. Erano ancora le prime battute del dibattito che sarebbe poi continuato nei quotidiani nazionali e internazionali fino ed oltre l’uiscita nel 2008 della monografia “Il Papiro di Artemidoro” pubblicata da Canfora con Laterza.
In quell’occasione il giudizio di Calvesi sui presunti disegni di età ellenistica che decoravano il papiro fu non solo negativo, ma lapidario: si trattava di un’opera di un maldestro maestro moderno dalla «mano pesante». Non facendo mancare il suo contributo, Calvesi estrasse poi dalla sua sterminata biblioteca la Geografia comparata di Carl Ritter ( 1779-1858), dimostrando nel n. 119 di “Storia dell’Arte” che il falso Artemidoro vi si era direttamente ispirato e offrendo alla critica (che poi riprese l’osservazione) un formidabile argomento per la dimostrazione dell’inautenticità del papiro.
Così Maurizio Calvesi ci sapeva meravigliare e divertire. Son certo che continuerà a farlo ogni qualvolta riprenderemo in mano i suoi scritti.
Massimo MORETTI Roma 25 luglio 2020