di Gaetano BONGIOVANNI
Gaetano Bongiovanni (Palermo, 1962) è uno storico dell’arte formatosi all’Università di Roma La Sapienza dove ha conseguito nel 1985 la laurea in Lettere e nel 1988 la Specializzazione in Storia dell’arte medievale e moderna, relatori Valentino Martinellli ed Elisa Debenedetti. Studioso di cultura artistica siciliana, ha insegnato nelle Accademie di Belle Arti di Catania e Palermo per poi entrare nell’Amministrazione della Regione siciliana, dal 2005 come funzinario direttivo. Ha lavorato per lungo tempo al Museo Pepoli di Trapani e alla Soprintendenza di Palermo. Ha pubblicato una rilevante serie di contributi dedicati alla cultura e all’arte siciliana principalmente alla pittura, tra cui vanno ricordati almeno gli Studi e ricerche sulla pittura in Sicilia (edizioni Plumelia, 2013); è stato anche curatore del volume di Scritti in onore di Teresa Pugliatti (edizioni De Luca, 2007) e ha fatto parte quale collaboratore e curatore di vari convegni ed iniziative espositive. Attualmente presta servizio presso il Parco archeologico di Catania e recentemente ha licenziato i Frammenti Catanesi sulla cultura artistica della città e della sua provincia composti tra l’aprile e il giugno 2020 (ed. Palermo Printea, 2020). Con questo saggio inizia la sua collaborazine con About Art
Sicilia barocca: architetture del sublime nei Paliotti
La mostra recentemente inaugurata nei saloni del primo piano del Palazzo Arcivescovile di Palermo, in quello spazio che costituirà l’imminente ampliamento del Museo Diocesano, reca un titolo che si cala perfettamente nel contesto della Sicilia del Sei-Settecento: Architetture barocche in argento e corallo, una straordinaria rassegna di paliotti architettonici realizzati in filo di seta variopinto, in corallo e in argento che documentano la ricca operosità delle due principali città dell’isola: Palermo e Messina.
La mostra di Palermo costituisce la quarta ed ultima tappa di un percorso di esposizioni avviato nel 2007[1] (Lubecca, Katarinenktirche e Vicenza Pinacoteca Civica di Palazzo Chiericati) e aggiornato con le più recenti mostre allestite a Catania nello svevo Castello Ursino nel 2019 e in questa di Palermo (figg. 1, 2, 3).
Alla base della rivalutazione dei paliotti siciliani,nella doppia natura di oggetti di arte decorativa e di particolare ideazione spaziale e architettonica, vi è certamente il lavoro critico di Maria Clara Ruggieri Tricoli dedicato nel 1992 all’argomento[2] che indaga l’immaginario “architettonico” dei paliotti barocchi attraverso, non solo la cultura scenografica propria degli ordini religiosi, ma anche mediante le tipologie architettoniche richiamate nei materiali costitutivi: ricami, marmi e pietre dure, argento e non raramente legno.
Le quattro edizioni della mostra (Lubecca, Vicenza, Catania e Palermo), che propongono un ulteriore approfodimento sul tema, sono state ideate e realizzate dall’architetto Salvatore Rizzo, già dirigente della Soprintendenza dei Beni Culturali di Caltanissetta, che ha curato anche gli allestimenti espositivi e il catalogo, e dall’archeologa Rosalba Panvini, attualmente soprintendente dei Beni Culturali di Catania. La rilevanza dei materiali in mostra, indagati ed esaltati da un progetto allestitivo attento alle scelte spaziali, cromatiche e alle strutture espositive, non appare fine a se stesso, ma diventa piuttosto uno straordinario scrigno di oggetti raffinatissimi delle cosiddette arti minori o decorative, mostrando un continuo rimando alla cultura scenografica e architettonica di quel lungo segmento cronologico afferente all’immaginario barocco. Infatti,nei paliotti architettonici che andremo a focalizzare si individua sempre la matrice ideativa dell’architetto, attraverso un progetto poi realizzato in materiali “altri” rispetto a quelli in uso nelle costruzioni di edifici o negli articolati impianti urbani.
La scelta di Rizzo di accostare una selezione di paliotti che destano continuamente stupore per la loro particolare accuratezza esecutiva è correlata, nel disegno progettuale, a una nutrita serie di riproduzioni di apparati disegnati o incisi che producono nel fruitore una straordinaria circolarità creativa fra i due aspetti, quello ideativo e quello esecutivo. Si veda tra questi apparati quello che riproduce il disegno per il prospetto del Monte di Pietà di Palermo dell’architetto Nicolò Palma inciso da Antonino Bova (fig. 4) e pubblicato ne La reggia in trionfo e l’acclamazione, e coronazione della sacra maestà di Carlo infante di Spagna (Palermo 1736),
come pure una Decorazione teatrale (fig. 5)
del parmense Pietro Righini incisa nel 1728 e una bellissima Loggia con veduta di porto (fig. 6), inchiostro a penna e acquerello del 1699, opera del bolognese Ferdinando Galli Bibiena, che documentano, a guisa di esempio, il riferimento a modelli di ispirazione.
A maestranze messinesi si attribuisce il Paliotto mobile (fig. 7) della chiesa di San Giuseppe dei Teatini a Palermo realizzato in tela di juta con filati metallici, serici policromi e applicazioni di grani di corallo e granati rossi: la decorazione propone il soggetto architettonico della facciata di un palazzo “apparato” e si sviluppa su due livelli.
Da segnalare la minuta descrizione di colonne, conci, bugne, archi, portale e specchiature, capaci di conferire all’insieme un deciso senso realistico. Probabilmente vi è un rimando al collegio teatino di Messina progettato da Guarino Guarini nel 1660. Pure a probabili maestranze di Messina si attribuisce il Paliotto mobile (fig. 8) cronologicamente afferente tra gli ultimi anni del XVII secolo e gli inizi del XVIII della medesima chiesa palermitana dei Teatini, realizzato negli stessi materiali del Paliotto precedente.
Da notare in questo Paliotto lo sviluppo eccezionale di una prospettiva a cannocchiale con pavimentazione a scacchiera, che attraversando un cortile confluisce in un giardino in cui si individua una palma. L’idea progettuale della facciata “apparata” viene qui interpretata attraverso la
“ripetitività seriale di un vasto repertorio decorativo, quello circolante nella cultura figurativa a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, che, nella descrizione minuziosa dei motivi, ricorda molto l’effetto raggiunto dai grandi teli ricamati o dagli arazzi”[3].
Un impianto architettonico maggiormente elaborato presenta il Paliotto mobile (fig. 9) della seconda metà del XVII secolo, anch’esso di San Giuseppe dei Teatini: un portico di proscenio impostato su un alto basamento e sormontato da un loggiato.
Al centro, in fondo,si trova una fontana a doppia conca. Due corpi laterali in forte aggetto definiscono la scena in cui, entro nicchie, compaiono gli apostoli Pietro e Paolo e i patroni della congregazione dei Teatini, Gaetano da Thiene e Andrea Avellino. Qui compare, come unico elemento simbolico la fontana nell’accezione di Fons vitae, battesimale o eucaristica. Quale committente del Paliotto, realizzato da maestranze messinesi, si può individuare il palermitano Giuseppe Cicala, vescovo di Mazara e appartenente all’ordine dei Teatini.
A maestranze di Messina sul finire del XVII secolo si lega il Paliotto mobile (fig. 10) di Casa Professa a Palermo[4] che delinea una visione prospettiva costituita da un’ampia terrazza circoscritta da una balaustra ornata da vasi e incorniciata da una successione di archi retti e colonne tortili e corinzie da cui pendono festoni floreali.
L’immagine dell’agnello posto al centro dell’altare appare un palese richiamo all’apocalisse e una rappresentazione “dello spazio totale sacralizzato e cioè della Gerusalemme celeste”[5]. Probabilmente in questo Paliotto è intervenuto Vincenzo La Barbera, pittore ma soprattutto architetto di fiducia della Compagnia di Gesù a Palermo[6]. Una tecnica diversa presenta il Paliotto mobile (fig. 11) della chiesa di San Domenico a Palermo, opera di argentiere palermitano della prima metà del Settecento.
Questo Paliotto accosta le lamine d’argento sbalzate e cesellate al velluto rosso di supporto: la contiguità dei due materiali esalta la luminosità del manufatto. La tipologia architettonica è quella ampiamente consueta in età barocca della scena a portico che con la teoria degli archi contribuisce a trovare un ritmo e una scansione spaziale. Pertanto le immagini sacre sono poste entro questi archi creando una rappresentazione di profondità. Di grande interesse è il motivo della cornice su tre lati che ripropone una elegante decorazione fitomorfa, probabilmente desunta dai modelli dei Paliotti ricamati. Nell’arco centrale è rappresentata la Vergine Assunta tra nubi e angeli mentre sotto gli archi attigui, San Giuseppe col Bambino e Santa Rosalia. A guisa di raffronto tipologico e formale si segnala il Paliotto con l’Assunta realizzato con la medesima tecnica nel 1723 e oggi nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Gioiosa Marea, da riferire all’argentiere palermitano Pietro Carlotta[7].
A Pietro Ruvolo, argentiere palermitano, su disegno dell’architetto Francesco Ferrigno si attesta il Paliotto mobile (fig.12) del 1720 custodito nella chiesa palermitana di San Domenico, commissionato per decorare l’altare maggiore, realizzato in argento sbalzato e cesellato con parti fuse, reca i punzoni che inequivocabilmente datano il manufatto e consentono di individuare argentiere e console della specifica maestranza.
Infatti Pietro Ruvolo lavora sotto il consolato di Geronimo Cristadoro. Il Paliotto palesa un impianto architettonico a struttura concava centrale con al centro un sontuoso arco delimitato da coppie di colonne tortili. Ai fianchi si sviluppano specularmente due emicicli in cui sono effigiati a figura intera vari santi dell’ordine domenicano, in posture differenti e connotati da mossi panneggi. Separatamente, ai due lati estremi, due quinte di boccascena raccordate da due piccoli elementi a gradinatura che forse originariamente ospitarono statuite a tutto tondo.
Nella realizzazione di questo importante Paliotto, oltre al Ruvolo e al Ferrigno, sono stati individuati altri operatori: Antonino Ranelli autore del modello in legno e un tale Maltese autore del bozzetto in creta della Vergine del Rosario, posta sotto l’arco centrale, ispirata al modello pittorico del Maratti dell’oratorio di Santa Cita a Palermo. Secondo l’Accascina[8], il Ferrigno nel suo progetto architettonico si ispira alla villa Valguarnera di Bagheria opera dell’architetto domenicano Tommaso Maria Napoli. Questo manufatto d’argento costituisce uno degli esempi più alti raggiunto dalle botteghe palermitane; mentre la forma di emiciclo appare mutuata dal teatro classico e in sintonia con quanto proposto da Andrea Pozzo.
Una concezione architettonica complessa palesa il Paliotto mobile del 1728 (fig. 13) proveniente al Museo Diocesano dalla chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Palermo:
“oggetto rigoroso e di grande raffinatezza oltre che di efficace resa spaziale, il Paliotto sembra ispirano in alcuni suoi elementi ad un proscenio classico”[9].
potrebbe trattarsi di un’idea compositiva dell’architetto Nicolò Palma come può ipotizzarsi grazie al raffronto con i suoi migliori apparati effimeri. Quest’opera è stata realizzata in argento, argento dorato, sbalzato e cesellato con parti fuse, collocate su un’anima lignea.
La rassegna dei Paliotti architettonici di questa mostra si chiude con un Paliotto mobile (fig. 14) che sebbene rechi la data del 1768 si inserisce a pieno titolo nel segno di una cultura tardo-barocca.
Autori di questo manufatto, conservato nella chiesa di San Giuseppe di Enna, già di San Benedetto, sono l’architetto trapanese Andrea Gigante, l’argentiere Vincenzo Natoli e lo scultore-cesellatore Francesco Martines.
Considerato da Maria Accascina uno straordinario palcoscenico in argento successivamente la Ruggieri Tricoli focalizza le possibili implicazioni ideologiche suggerite dalla presenza del tempietto circolare e soprattutto dal recinto scenografico ad edicole,che segnerebbe un possibile trapasso dal Gigante tardo-barocco a quello neo-classico, sebbene il manufatto si mostri ampiamente ancorato a quella ricerca scenografica attuata nei Paliotti d’altare che ampia fortuna avevano riscontrato nella Sicilia barocca e barocchetta[10].
A Palermo come pure a Messina operarono gli artisti che lavoravano il marmo in questo stesso periodo barocco, autori di importanti Paliotti chiaramente non trasportabili in una mostra che necessariamente privilegia le opere mobili. Tuttavia non può non ricordarsi l’unico Paliotto architettonico (fig. 15) in marmi mischi pubblicato nel noto libro di Sir Anthony Blunt dedicato al Barocco siciliano:
quello dell’attuale sacrestia della chiesa di San Giuseppe dei Teatini, recante i tradizionali simboli connessi all’Immacolata Concezione: la fontana, la porta, la torre etc. , datato dallo studioso inglese verso la metà del Seicento[11]. Da un documento rogato a Palermo nel 1701[12] si apprende che l’altare della Madonna del Carmine della chiesa dei Filippini a Giojosa Guardia nel Messinese doveva riproporre quello già ricordato dei Teatini a Palermo, poi trasferito dalla chiesa alla sacrestia.
Ad eseguire l’opera messinese si impegna lo scultore Gioacchino Vitagliano allora attivo in molti cantieri palermitani nella realizzazione di apparati decorativi di marmi mischi e tramischi. Mentre il disegno dell’altare e del relativo Paliotto viene fornito dall’architetto del Senato palermitano in carica l’insigne Paolo Amato. Pertanto la correlazione tra il Paliotto dei Teatini a Palermo e quello dei Filippini a Giojosa Guardia (poi trasferito, nel nuovo centro di Gioiosa Marea, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie) chiarisce non solo la specifica cultura barocca dei due Paliotti architettonici a marmi mischi ma anche la cronologia: 1701 e ante 1701 per quello segnalato dal Blunt.
Ultimo ma non per ultimo, ritornando al percorso espositivo, si segnalano due importanti video realizzati in occasione della mostra catanese e palermitana dall’arch. Carlo Vivirito e dalla dott.ssa Roberta Civiletto della Soprintendenza di Palermo.
VIDEO: ARCHITETTURE DEL SUBLIME Paliotti architettonici in argento e corallo
VIDEO: DIETRO LA MOSTRA Mostra di Paliotti architettonici in argento e corallo
I due prodotti multiediali, usando moderne tecnologie di rilievo al laser scanner, modellazione tridimensionale e animazione digitale, ripercorrono la genesi iconografica e compositiva dei paliotti architettonici, sottolineando lo stretto rapporto tra i singoli manufatti e il contesto chiesastico di provenienza. Grazie a loro i Paliotti hanno ritrovato – sia pure nello spazio virtuale – l’ambiente originario di provenienza. Un ulteriore video, con analogo linguaggio, è stato realizzato dagli stessi autori per illustrare le problematiche della progettazione degli allestimenti espositivi.
Gaetano BONGIOVANNI Palermo 2 agosto 2020
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