di Giulio de MARTINO
Napoli Belle Époque, Napoli floreale
Come ha ben illustrato la storiografia, Napoli – e Palermo – hanno vissuto una intensa stagione di creatività artistica e di protagonismo culturale nei decenni tra l’Ottocento e il Novecento. Lontane dal rimpiangere l’estinto Regno borbonico, e marginalmente toccate dalle contraddizioni e incongruenze del processo di unificazione nazionale, le due metropoli meridionali sfruttarono al meglio le opportunità della seconda rivoluzione industriale per diventare – per quel ciclo di anni fino al principio della Prima guerra mondiale – le «Capitali culturali» della Nuova Italia.
Sicuramente penalizzate nel campo industriale e agricolo rispetto alle regioni dell’Italia settentrionale, colpite da una rilevante dinamica emigratoria verso le Americhe, Palermo e soprattutto Napoli si appropriarono di un’altra dimensione della società: quella della produzione artistica, giornalistica e del design, come pure di quella della «vita notturna» nella nascente «società dello spettacolo». Al modo di Parigi e di New York: letteratura e musica, pittura e illustrazione, giornalismo e balletto, canzone e fotografia, moda e artigianato artistico furono intensamente praticati da un nuovo ceto di artefici creativi, di poeti e di artisti che, dal Mezzogiorno italiano, riuscirono a diffondere e a vendere i propri prodotti estetici e culturali in Italia settentrionale, in Europa e in America.
La mostra “Napoli Liberty. N’aria ‘e Primmavera” – che si vede nelle splendido edificio liberty delle “Gallerie d’Italia” di Palazzo Zevallos Stigliano a Napoli, dal 25 settembre 2020 al 24 gennaio 2021 – documentala quella vicenda napoletana. Non si tratta di una mostra particolarmente ampia, diciamolo subito, ma – in un periodo funesto per le iniziative artistiche e culturali – riesce a raccogliere e a proporre una attenta selezione di opere non solo di pittura, ma anche di scultura e di artigianato d’arte, nonché di grafica, gioielleria e finanche della «canzone» popolare di quel tempo.
Giustamente i due curatori della mostra – Luisa Martorelli e Fernando Mazzocca sottolineano che: «per la prima volta in una mostra, le cosiddette arti maggiori, pittura e scultura, sono considerate in stretto dialogo con quelle applicate, mobili e oggetti d’arredo, oreficeria e grafica». Si tratta di una attitudine interdisciplinare della storiografia dell’arte napoletana che fu suffragata e legittimata da Ferdinando Bologna decenni fa.
L’ultimo scorcio del «lungo Ottocento» – così Eric John Hobsbawm definì il primo decennio del XX secolo – fu ricco di suggestioni e di aspettative verso la realtà del nuovo secolo e peculiare fu il modo in Napoli vi partecipò. La Napoli Liberty fu, insieme, tradizionalista e moderna poiché adattò alle nuove sensibilità e alle nuove forme estetiche il meglio della sua tradizione seicentesca e settecentesca: quella raffinata e aristocratica, come quella edonista e borghese e anche quella mistica e istintiva: popolare e dialettale. Come ha indagato Roberto De Simone, la «canzone napoletana», celebrata da allora in tutto il mondo, ebbe la sua origine proprio in quegli anni con Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Gabriele D’Annunzio che adattarono il patrimonio linguistico e poetico del dialetto napoletano a una sintassi musicale simbolista e tardo-romantica.
Particolarmente denso è il segmento espositivo della pittura e della scultura, con opere di non frequente visibilità. Per evitare di isolare la «fin de siècle» napoletana da quella milanese o fiorentina, oltre che dalle correnti europee, la mostra dedica spazio al soggiorno a Napoli, dal 1908 al 1911, di Felice Casorati (Novara, 4 dicembre 1883 – Torino, 1º marzo 1963) – pittore lontano dall’atmosfera festosa e estroversa della città partenopea – che utilizzò quegli anni per costruire le premesse della sua successiva affermazione internazionale.
Segue la riproposizione dei maggiori pittori e scultori napoletani tra i due secoli – un’opera per autore – tesa a sottolineare come il pre-novecentismo napoletano non sia stato interno a canoni regionalisti o veristici ottocenteschi, ma abbia realizzato uno stile che, sotto le diverse denominazioni di Liberty, stile floreale o Art Nouveau, riuscì non solo a cambiare le arti, ma a suggerire un nuovo modo di vivere le passioni e gli affetti.
Si tratta di un’arte di forte impatto sperimentale, che guardava alle Secessioni europee e che assorbiva anche lo slancio delle manifatture nel campo delle arti applicate. Non di rado, negli stessi dipinti – nei ritratti, negli interni – è accurato il riferimento decorativo a abiti e vasi, a tendaggi e coralli, a mobili e tarsie.
Un mondo di oggetti e di manufatti che modificò il gusto e le forme del vestire dell’abitare e che ebbe riconoscimenti tanto all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 quanto all’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna di Torino nel 1902.
Con felice intuizione, nella sezione dei gioielli, è esposto il dipinto Seduzioni (1906), di Vincenzo Migliaro in cui è raffigurata una vetrina della gioielleria Jacoangeli, in cui si specchia una figura femminile che mostra tutta la sua emozione davanti a quegli oggetti del desiderio.
Si espongono poi le opere dei protagonisti di quel movimento d’avanguardia, denominato Secessione dei 23, nato a partire dal 1909 per iniziativa di Edgardo Curcio, Francesco Galante, Edoardo Pansini, Raffaele Uccella e Eugenio Viti, insieme agli scultori Costantino Barbella, Filippo Cifariello e Saverio Gatto, un movimento che introdusse nell’opera d’arte quella intensificazione della sensibilità e dell’immaginazione che avrebbe trovato ulteriore sviluppo nelle forme comunicative del pieno Novecento.
Nelle arti maggiori e applicate, la Napoli Liberty si manifestava, insomma, come una città che contrapponeva la sua nuova realtà «umbertina» – moderna e borghese: le strade dritte e ampie, gli edifici eleganti e svettanti, le ville e i grandi alberghi dei quartieri di Chiaia e di Posillipo – alla vecchia e cadente città borbonica. In essa, le nuove strade e i nuovi palazzi sostituivano e, insieme, nascondevano – a partire dal 1884, dopo gli anni drammatici dell’epidemia di colera – i vicoli e i «bassi» del vecchio e malsano “ventre di Napoli”, come lo definì Matilde Serao.
Una città contraddittoria che, nell’aprile del 1910, avrebbe accolto Tommaso Marinetti per una memorabile serata futurista al Teatro Mercadante e che avrebbe dato vita – negli anni ’30 – alla originale esperienza d’avanguardia di Emilio Buccafusca. Vi operava un mondo dell’arte e della creatività che si poneva in sintonia con Venezia, Vienna e Parigi, e che cercava di collegare la storia e la cultura meridionali, intrise di grandezza, ma anche di povertà, alla realtà del Novecento internazionale.
Giulio de MARTINO Napoli 4 ottobre 2020
La Mostra:
Napoli Liberty. “N’aria ‘e primmavera”
a cura di Luisa Martorelli e Fernando Mazzocca
allestimento di Lucia Anna Iovieno
Le Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale di Intesa Sanpaolo, via Toledo 185, Napoli
25 settembre 2020 – 24 gennaio 2021
Il catalogo della mostra, Edizioni Gallerie d’Italia | Skira, contiene i saggi dei curatori e un testo di Renato de Fusco, architetto e storico, autore del libro Il Floreale a Napoli ( 1956).
Contatti
Modalità di visita in sicurezza, informazioni e prenotazioni su gallerieditalia.com, info@palazzozevallos.com, Numero verde 800.454229.