Il “sublime piacere” delle poesie di Fabio Strinati presentate da Zairo Ferrante con postfazione di Rocco Rosignoli

di Fabio STRINATI

TOSCANA – VENEZIA SOLO ANDATA

L’intera raccolta poetica è dedicata all’attrice Mirella D’Angelo.

PREFAZIONE

Leggere poesie rappresenta per me un sublime piacere, leggere le poesie di Fabio Strinati lo è ancora di più. “Toscana – Venezia solo andata” è un’opera matura, nella quale l’Autore compie una piccola “magia” poetica, ossia spostare l’attenzione dal tutto al particolare, dal grande al piccolo, dall’universale all’intimo. Intimo che, come in un esercizio contemplativo e meditativo, diventa essenzialità e quindi ritorna ad essere nuovamente Tutto.

“Dedicherò questo sole così caldo agli alberi/ che albergano in un ramo; un orto benedetto,/ mi donerà un tramonto senza fine/ e le cicale, torneranno a cantare.”

I versi si intrecciano e si rincorrono tra loro in maniera sublime, accompagnando il Lettore in uno splendido viaggio tra la Toscana e Venezia, luoghi che diventano non punti di partenza e di arrivo ma mete (surreali ed utopiche) a cui ambire. Una personale “trasmigrazione” dalla quale non si vuole più ritornare (il titolo, così, diviene profetico).

“Panorama di Firenze avvolge tutto ciò che tocca: / gli occhi estasiati, assorti nel vuoto/ si mescolano scenografici con le colline/ silenziose di Cercina.”
“Palazzo Vecchio lo ricordo in autunno,/ nel silenzio con ampia statura/ in un crescendo sfilza di note assiepate, / nella partitura Egisto Mosell.”

Il Poeta, con i suoi versi (quartine rigorosamente e sapientemente separate) ci permette di respirare voci, ascoltare profumi e guardare Anime; donandoci un meraviglioso gioco sinestesico, per mezzo del quale diviene possibile riappropriarci del nostro “Io” interiore.

“Capelli neri una sera volge rapida/ verso un epilogo non chiaro: soffuso,/ un lampione emana luce sotto una finestra/ aggraziata del tuo intelletto. Abile un faro.”
“Un’occhiata, un sospiro in armonia/ col tuo parto che scivola via/ lungo le tue mani affusolate/ crocevia di strabici sentieri.”

 Strinati con questa raccolta ci regala un raro concentrato di sostanza e di eleganza; un tempo che scorre come un treno, immortalato da “colori” abilmente mescolati da una penna, che tanto ha dato alla Poesia e che tanto ancora ha da dare.

Zairo Ferrante

———————

Sotto il cielo di Venezia/ s’annidano le stanze, forme/ d’un gioco mitigato, in estate, / lo scirocco tra i calli antichi. / Striscia la foglia vulnerabile nel vento,/ clorofilla, folle tormento ai piedi/ la radice termina: sentieri nebulosi / le pinete turpi e cupe, s’insinuano tremori./ La Serenissima scolpita dalla bora,/ d’inverno, s’inseriscono refoli/ dentro la tua anima perfettamente variegata,7 di tante cose si circondano gli sguardi.

POSTFAZIONE

di Rocco Rossignoli

Due città che si confondono e compenetrano, e un lungo cammino coi suoi paesaggi a fare da trait d’union. Firenze e Venezia come due poli opposti, come una tonica e una dominante in una sinfonia delicata, a volte quieta e a volte tesa, un arazzo fitto di particolari, tessuto con mano di compositore.

Impossibile per me leggere di Firenze senza pensare alla notte in cui, tanti anni fa, ci capitai in macchina in una notte d’inverno. Attorno alla cattedrale uccelli impazziti roteavano in nugoli neri attorno alle piante secolari. Quella notte la viabilità cambiava continuamente per via di qualche tipo di lavoro in corso. Gli operai transennavano, deviavano, chiudevano, e io ripercorrevo le stesse strade senza riconoscerle, come in un sogno. Quella notte incrociai degli occhi che non scordo. È una notte che sembra disegnata a matita, eppure non si può cancellare. Nel mio diario visionario Firenze è il Ponte Vecchio che sfiorai allora, con quella luna così vicina, mentre due sguardi si cercavano e non riuscivano a capirlo.

Venezia invece l’ho mancata, passandole accanto verso sera, quando s’accendono le luci nelle case. Era la tappa obbligata, la sosta forzata, lungo il tragitto per Trieste, dove viveva una ragazza di cui allora ero innamorato. Viaggi lunghi, in treno, a testa bassa – “A capo chino è tutto un aspettare…” – assillati, tormentati spesso dall’asma “goffo e teatrale” che mi rincorreva a quel tempo. Una volta lungo quel tragitto fui sconfitto senza rivalsa da un’otite che mi aveva completamente otturato l’orecchio sinistro. Il suo strascico mi tormentò per anni. Venezia l’ho solo sfiorata, guardandola da lontano, dallo sprawl di Mestre. L’ho carezzata con lo sguardo, danza di candele nel riflesso del mare scuro. Mai vissuta, mai camminata. Eppure quei paesaggi scolpiti nella memoria sono anche i paesaggi di un amore, che a ripensarlo mi fa sorridere di gioia perché c’è stato ed era pieno di bellezza. Nel mio ricordo i momenti di quell’amore si rispecchiano nel paesaggio in cui li ho vissuti. A volte perché si somigliano, a volte perché lottano con lui.

Il mio Canal Grande non è quello di Venezia, ma quello che attraversa Trieste. Mi seccava i capelli di salsedine quando camminavo sulle sue rive, verso la chiesa di Sant’Antonio, parlando con le statue di bronzo. Un dialogo continuo, con loro e con quella ragazza, che scriveva meglio di me, che arrivava al cuore delle questioni con una semplicità di linguaggio di cui non sono mai riuscito a impadronirmi. La amavo anche per questo. Non ricordo di averla mai invidiata, anche se poi l’amore si deforma, o semplicemente si trasforma e diventa qualcos’altro. Ma la stretta del collare, quando è il momento in cui ci si allontana, fa sempre molto male. I paesaggi si tingono di follia, i cieli si fanno scuri e a spezzarli arriva il fulmine. È paura, è smarrimento, è buio.

Spesso però basta aspettare che il temporale si sfoghi. La terra non tornerà mai come prima: ma il cielo, quello sì.

Roma 1 novembre 2020