di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
La Fondazione QUERINI STAMPALIA
Alcune testimonianze attestano la presenza della famiglia veneziana dei Querini Stampalia presso il rio di Santa Maria Formosa già dal XIII secolo, e un documento del 1514 parla di un significativo ampliamento della struttura edilizia preesistente ai fini della realizzazione del nuovo Palazzo.
Querini Stampalia abitarono il Palazzo fino ai nostri giorni. Sarà Giovanni Querini che alla metà del 1800 a volere che il Palazzo cinquecentesco fosse sede della omonima Fondazione (fig.1).
Il Palazzo è articolato su tre piani; ospita al piano terreno spazi per conferenze ed esposizioni ed ai piani superiori un museo d’arte antica, con opere di Tintoretto, Tiepolo, Canaletto, Bellini (fig.2),
una rassegna di arte contemporanea e una fornitissima biblioteca. Una convenzione con il comune di Venezia la riconosce come Biblioteca civica, grazie al ruolo svolto in collaborazione con la rete delle Biblioteche di Venezia. Nella convenzione gli Stampalia ottennero che l’accesso fosse permesso a tutti gli studiosi, anche negli orari di chiusura delle altre biblioteche veneziane. Per questo la biblioteca è assiduamente frequentata da studenti e studiosi affezionati all’atmosfera colta del Palazzo Stampalia (fig.3).
Nel 1961 il direttore della Fondazione Querini Stampalia incaricò l’architetto Carlo Scarpa di rendere abitabile il piano terreno del Palazzo cinquecentesco e l’adiacente cortile, inutilizzabili per il periodico fenomeno dell’acqua alta. Il tema parve a Scarpa di grande interesse; colse il problema e lo ribaltò in una brillante occasione progettuale: permise alle acque di rifluire negli ambienti al piano terreno, più prossimi al rio, e li incalanò in appositi percorsi perimetrali. Considerò l’acqua alta come un elemento costitutivo del paesaggio della città e volle introdurre nel progetto quei valori di colore e di luce, quei cangianti riflessi che caratterizzano la spazio e l’ambiente veneziano.
Così l’acqua alta divenne il tema di tutto il progetto.
L’opera si articola in più temi fondamentali, affrontati da Scarpa fin nei loro minimi particolari. Il nuovo ponte di accesso dal campiello di Santa Maria Formosa; l’atrio di ingresso; il passaggio sopraelevato che permette di accedere ad un locale destinato a soggiorno per gli studiosi che frequentano la biblioteca, il cosidetto portego, una grande sala da destinare ad esposizioni; il giardino dove il tema dell’acqua è declinato da una fontana e da una linea d’acqua (fig.4).
Scarpa affrontò contestualmente i due problemi che l’acqua poneva al suo progetto: per evitare l’allagamento dovuto alle alte maree elevò le pavimentazioni di tutta la zona prospiciente il canale e rivestì le pareti con pannelli di muratura leggera intonacati, sostenendoli con staffe per consentire una sufficiente areazione di tutte le pareti ed evitare gli effetti dell’infiltrazioni di umidità.
Al nuovo ingresso, spostato sul fronte principale del Palazzo, si accede per mezzo di un ponte che collega il Palazzo al campiello di Santa Maria Formosa. La struttura del ponte è costituita da una centina che descrive un arco teso; la centina è formata da due semiarchi in lamiera curvata. La ringhiera ha al contrario un andamento rettilineo composto da tre segmenti (fig.5).
Alla sinistra del ponte grandi cancelli metallici chiudono le arcate del portico, si aprono sul canale ma non impediscono l’entrata dell’acqua alta.
Superato il ponte si scende sul tappeto marmoreo dell’atrio, intessuto da un mosaico di marmi policromi. Sul perimetro del pavimento scorre il canale di penetrazione e riflusso dell’alta marea; un camminamento taglia, parallelo al rio, gli spazi che si affacciano sul canale (fig.6 e7).
Dall’atrio si perviene al portego rialzato, destinato a conferenze ed esposizioni; esso è separato dal camminamento da una parete vetrata in cui è inserito un plastico elemento scultoreo, realizzato in pietra d’Istria, decorata da bande di oro zecchino, splendido ed elaborato dettaglio fra i tanti che caratterizzano l’opera scarpiana. Contiene funzionalmente gli elementi radianti per riscaldare gli ambienti (fig.8).
Nella grande sala che si sviluppa in lunghezza fino al giardino, la pavimentazione di cemento e ghiaia risale sulle pareti a formare un alta zoccolatura; al di sopra le pareti, rivestite di travertino di Rapolano, separate da un profilo di ottone, contengono gli apparecchi illuminanti schermati da vetri opachi montati a filo della superficie in pietra (figg.9 e 10).
Al di là del portego è il giardino. Il giardino è chiuso da un lato da un muro in cemento attraversato da una linea orizzontale in mosaico. Una vaschetta in marmo delle Apuanie raccoglie l’acqua che gocciola da un tubicino e la costringe a riempire una serie di piccole conche secondo un itinerario labirintico, prima di lasciarla cadere in un rivolo profondo. Un gioco lucente di particolari architettonici (fig.11).
“The detail is the adoration of Nature” aveva scritto Louis Khan, grande amico di Scarpa; il dettaglio è ammirazione rispettosa e cosciente della natura dei materiali e delle capacità conoscitive e creative di un artista. La storia di Carlo Scarpa è storia di materiali e di manualità, di luce e di colori.
Accade spesso di usare, per le opere di Scarpa il termine “frammento”. E’ indubbio infatti che Scarpa nelle sue opere definisca una poetica basata sulla accumulazione di episodi formali, da una narrazione architettonica, da un succedersi di frammenti.
Frammenti, dunque, non particolari costruttivi; segni consapevoli, differenti fra loro, non spezzoni di edificio, ma figure che rimandano ad altre figure in un processo che si conclude nella finitezza dell’opera.
La Querini Stampalia prende le mosse da un frammento architettonico, il nuovo ponte di accesso, cui succede l’atrio e, via di seguito, la sala per le conferenze, il portego, il giardino; ciascuno di questi spazi sarà caratterizzato da soluzioni spaziali, da materiali, colori e luminosità differenti. A loro volta questi stessi frammenti ci appaiono ulteriormente suddivisi in parti, anch’esse dotate di una propria autonomia ma tuttavia indispensabili. L’opera in sé è costituita quindi da una tensione che mantiene in equilibrio questo specifico sistema di frammenti di cui è composta e a sua volta l’opera tende ad essere essa stessa frammento di un’immagine della città.
La ricostruzione della Querini Stampalia è dimostrazione della maestria acquisita dall’architetto nell’accostare materiali e creare spazi giocando su ricercati contrasti; di saper accostare tecniche costruttive colte, innovative e, al contempo, consapevoli di antiche tradizioni.
Dall’osservazione attenta e paziente Scarpa deriva la propria cultura formale; osservando si appropria delle tecniche. Il suo occhio ansioso pone domande: “quando una persona contempla veramente, si accosta al mondo interrogativamente, cui seguono risposte che spetta poi al disegno vagliare”. I suoi progetti hanno bisogno del disegno per compiersi; è solo nel disegno, nel provare e riprovare, che si attua il progetto. Disegni pieni di ripensamenti, di correzioni, di soluzioni.
Tramite il disegno Scarpa costruisce un salto di qualità all’apparente oggettività di ciò che osserva, considera, conosce.
Scarpa smonta ed analizza il problema formale e costruttivo, l’opera con la quale è si trova a cimentarsi. Louis Kahn suggeriva di prestare attenzione ai punti di giunzione “il giunto è l’origine dell’ornamento”. Scarpa avvertiva quanto la perdita dell’ornamento rendesse muta l’architettura. Sagome, lesene, fasce, dentelli indicano come i componenti di una fabbrica si attaccano, si staccano, si piegano. Sono i dettagli che costruiscono le relazioni fra i differenti componenti del progetto (fig.12).
La sua attenzione si fissò sulle connessioni, sui nodi strutturali, le cerniere; poneva l’accento sui punti di attacco fra i materiali e la loro valorizzazione era finalizzata alla “dissociazione” in parti, alla distruzione della scatola muraria, così cara al movimento razionalista allora egemone nella cultura architettonica italiana.
Una serie di variazioni percorre l’opera di Scarpa. La composizione procede per scarti e contrasti: è costituita di frammenti ma non è per niente frammentaria. E’ piuttosto un insieme lontano da ogni casualità: segni consapevoli, che rimandano ad altri segni in un processo che si conclude nella finitezza dell’opera. La differenza è il fulcro del frammento ma il risultato sarà l’unità del frammento, presupposto imprescindibile dell’unità dell’opera compiuta, rigorosamente coerente sul piano del metodo e della tensione creativa.
La sensibilità che Scarpa dimostra nell’incalanare la luce e favorire gli effetti coloristici è il prodotto della sua profonda affinità con la città di Venezia.
Esemplare è l’uso dell’acqua alla Querini Stampalia. I due archi dell’ingresso sono destinati al passaggio dell’acqua, presto incanalata e travasata; si creano specchi d’acqua, recipienti sfalsati. L’acqua e la luce determinano il reiterato interrompersi degli oggetti nell’ ingresso e nei canali d’acqua del giardino. E’ esplicito legame con la città di Venezia dove i canali riflettono la luce e destrutturano gli edifici; edifici che a loro volta si frantumano riflettendosi nell’acqua dei canali.
Venezia è il grande testo della decomposizione e da Venezia Scarpa impara l’uso dell’acqua nei suoi progetti. Nella Fondazione Querini Stampalia l’acqua rinvia ad una Venezia cangiante non più ricomponibile dove le figure architettoniche si trasformano l’una nell’altra in un processo logico unitario.
Così Scarpa vive la storia della sua città, luminosa, liquida, mutevole, come la dipinse Claude Monet in un giorno d’estate (fig.13):
l’acqua che scompone i palazzi, le vibrazioni, i riflessi dorati di un cielo sereno.
Francesco MONTUORI Roma 1 niovembre 2020