di Claudio LISTANTI
Al Teatro dell’Opera una Zaide felice incontro tra Mozart e Calvino
Al Teatro dell’Opera di Roma è andato recentemente in scena un nuovo allestimento di Zaide di Wolfgang Amadeus Mozart affidato alla regia di Graham Vick, alla direzione d’orchestra di Daniele Gatti e ad una buona compagnia di canto. L’opera che ha avuto un buon successo di pubblico è stata rappresentata nella versione di Italo Calvino con uno spettacolo risultato delizioso e godibile. Lo spettacolo è stato realizzato in collaborazione con il Circuito Lirico Lombardo che vede la partecipazione del Teatro Sociale di Como/Aslico, del Teatro Ponchielli di Cremona, del Teatro Fraschini di Pavia e del Teatro Grande di Brescia.
Le rappresentazioni di Zaide sono state inserite nel programma autunnale del Teatro dell’Opera per sostituire quelle originariamente previste in cartellone di The Rake’s Progress di Igor Stravinskij che per motivi di applicazione delle disposizioni anti-covid sono state cancellate. La direzione del Teatro dell’Opera, pur costretta ad operare questa sostituzione, ha voluto comunque onorare l’impegno con buona parte dei cantanti che avrebbero dovuto interpretare l’opera di Stravinskij affidando loro le quattro principali parti previste per l’esecuzione di Zaide.
Una scelta che ‘in primis’ vuole essere, a nostro parere, un riconoscimento verso i sacrifici e l’impegno che i cantanti mettono in atto per realizzare al meglio la loro difficile ed impegnativa attività, sforzi che le cancellazioni e i rinvii del periodo covid hanno, spesso, purtroppo castigato ed umiliato. Nel contempo la scelta di rappresentare la mozartiana Zaide non solo consentiva di rispettare alla lettera le prescrizioni anti covid ma, come cercheremo di dimostrare, si è dimostrata stimolante per tutti gli appassionati di musica in quanto ha consentito loro di approfondire i valori di un’opera praticamente sconosciuta al grande pubblico.
Zaide fu scritta da Mozart negli anni 1779-1780 su un libretto scritto da Andreas Schachtner che oltre ad essere suonatore di tromba nell’orchestra di corte di Salisburgo era anche amico di famiglia del compositore. Si ispirò a Das Serail un ‘Singspiel’ di F. J. Sebastiani, rappresentato in quegli anni con le musiche di Joseph von Frieberth. Il soggetto scelto è un po’ il frutto della moda, non solo musicale ma anche letteraria, in auge in quel periodo ed orientata verso l’ambientazione ‘turca’ richiamandone tutti agli ‘esotismi’ divenuti molto popolari.
Il progetto però si interruppe bruscamente. Non se ne conoscono i motivi ma come contenuto nel Dizionario dell’Opera 2008 curato da Piero Gelli si avanza l’ipotesi che l’attenzione di Mozart si spostò verso il coevo Idomeneo andato in scena a Monaco nel 1781 o, anche, conseguenza della chiusura dei teatri di Vienna a seguito della morte di Maria Teresa avvenuta nel novembre 1780.
Il libretto di Schachtner è andato perduto anche se l’opera fu rappresentata per la prima volta nel 1866 a Francoforte ma con una versione rimaneggiata da Carl Gollmick per l’editore Johann André. Della stesura originale sono arrivati a noi solamente 15 numeri della partitura originale con i testi musicati che non consentono, però, una vera e propria ricostruzione della trama in quanto i parlati sono completamente perduti. Inoltre Mozart prima dell’interruzione lavorò su due atti; l’incompiutezza della trama fa pensare alla necessità di un terzo atto che ne completi la drammaturgia.
Per quanto riguarda l’azione sulla scena c’è Gomatz caduto nelle mani del Sultano Soliman ma che ha conquistato le grazie di una fanciulla del serraglio, Zaide, sottoposta ai desideri dello stesso Sultano. Gomatz e Zaide dichiarano il loro reciproco amore; sono appoggiati da Allazim insieme al quale progettano una fuga. Scoperti da Zaram, capo delle guardie, sono condotti davanti al Sultano che respinge ogni richiesta di grazia.
Zaide rimase incompiuta ma sullo sfondo della produzione operistica mozartiana assume i caratteri di una sorta di ‘prototipo’ di ciò che sarà qualche tempo dopo Die Entführung aus dem Serail (Il Ratto dal Serraglio) andato in scena per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 16 luglio 1782, luminoso e compiuto esempio di Singspiel dai caratteri squisitamente esotici nel quale il musicista salisburghese trasfuse molto evidentemente i caratteri che in Zaide sono già presenti anche se abbozzati e che nel ‘Ratto’ prendono una maggiore e determinante forza musicale e teatral
Gli innegabili valori di Zaide, però, hanno sempre appassionato la mente degli addetti ai lavori e nel 1981, Adam Pollock, l’organizzatore e direttore del festival Musica nel Chiostro, che si teneva a Batignano nei pressi di Grosseto, una manifestazione il cui spirito era la riproposta di molti capolavori musicali caduti nell’oblio al quale si abbinava con incisività la ricerca di nuove strade nelle realizzazioni sceniche e registiche anche di non tramontati capolavori, volle tentare una rinascita di questo emblematico lavoro mozartiano. A tale scopo coinvolse nel progetto lo scrittore Italo Calvino affidando alla fervida fantasia dello scrittore, del quale apprezzava opere come Le città invisibili (1972) e Il castello dei destini incrociati (1973) esperienze rafforzate anche dal più recente, per l’epoca, Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), un intervento letterario che desse ‘completezza’ allo spettacolo.
Italo Calvino, da grande letterato, non mise in atto un puro e semplice ‘completamento’ della trama ma costruì, sulle solide basi dei 15 brani ereditati da Mozart, una trama organica che desse continuità e credibilità alla disorganicità dei contenuti letterari dei brani musicali per restituirci un lavoro del tutto omogeneo e godibile.
Adam Pollock fu anche il regista dello spettacolo che fu ripreso, nella stessa sede, nel 1991. Sulla base del successo, il regista Graham Vick, che collaborò alla messa in scena in quanto membro della compagnia di Batignano, è stato negli anni protagonista di altre riprese dello spirito di questo spettacolo, curando esecuzioni per Palazzo Grassi a Venezia, all’Old Vic di Londra, a Birmingham, a La Coruña e di nuovo a Venezia alla Fenice giungendo alfine in questo 2020 con l’incarico dell’Opera di Roma per un nuovo allestimento della Zaide.
Come accennato dote principale di questa operazione letteraria di Italo Calvino è quella di aver reso organico l’impianto drammaturgico. Per chiarire ciò citiamo le sue stesse parole: ho cercato di “mettere in valore quello stato d’animo di sospensione che ogni opera incompiuta comunica”. Dopo l’ascolto si può senza dubbio dire che ha centrato lo scopo.
Nella stesura Calvino ci sono gli schiavi del Sultano rassegnati per la schiavitù ma, in fondo, contenti di esserlo. Gomatz e Zaide si sono reciprocamente innamorati in prigione da dove tentano la fuga. Accanto a loro Soliman, il Sultano del quale Zaide è la favorita che si sente tradito da questo tentativo. Nell’aria a lui dedicata si evidenzia la sua doppia personalità che gli permette di essere sia buono sia cattivo. Tale condizione permette varie soluzioni per lo scioglimento della trama. Ma ci sono altri due personaggi. Uno Osmin, una guardia che vive all’ombra del potere e ad esso si adatta, prototipo di personaggi simili dei quali è piena l’opera buffa; l’altro è Allazim, ministro del Sultano, importante per lo sviluppo dell’azione: aiuta Zaide e Gomatz a fuggire, azione alla quale cerca di unirisi; fallita l’intenzione prende le parti dei due giovani presso il Sultano che dimostra però collera verso i due, assumendo così un ruolo determinante.
L’altra novità introdotta da Calvino è la figura del narratore affidata ad un attore; un personaggio che ha il compito di muovere i fili della trama cercando di rendere unitario quanto prevede il testo incompleto intervenendo nell’azione per cercare soluzioni via via diverse; tutti elementi che dimostrano con chiarezza le doti di affabulatore di Calvino che intervengono in maniera geniale nei due finali d’atto. Nel primo, musicalmente sottolineato da un terzetto che vede sulla scena Zaide, Gormatz e Allazim. Quest’ultimo aiuta i due che intonano un canto di libertà; appena iniziato è interrotto dal narratore che impone una nuova soluzione che si basa sull’ipotesi di un innamoramento di Allazim per Zaide. Dopo aver ripercorso con gesti diversi tutta la trama svolta fin lì riparte il terzetto. Nuova interruzione del narratore per una terza soluzione. Ora si ipotizza che Allazim si riconosce in Gomatz quando anche lui era schiavo con la voglia di libertà e cerca di distogliere il giovane dall’amore per Zaide. Ora il terzetto è eseguito per intero.
A conclusione del secondo atto un procedimento analogo. Qui siamo di fronte ad un quartetto; ci sono le tre soluzioni come alla fine del terzo atto ma se ne avanza una quarta: Allazim vuole esclusivamente il bene di Soliman e del suo regno ma il Sultano si mostra vero oppressore e nega la libertà agli schiavi. Il quartetto così viene eseguito interamente a conclusione dell’opera.
Graham Vick ha costruito uno spettacolo molto intelligente immaginando come cornice un cantiere dei nostri giorni dove sono in atto lavori in corso. I personaggi agiscono all’interno di questa cornice ma con costumi d’epoca creando un felice contrasto tra le due ambientazioni. Per la realizzazione dell’insieme preziosi sono stati i contributi di Italo Grassi per scene e costumi, di Giuseppe Di Iorio per le luci e di Ron Howell per la cura dei movimenti mimici. I movimenti scenici sono risultati molto curati valorizzati anche dalla bravura e dall’impegno della compagnia di canto che ha dimostrato di assimilare gli insegnamenti di Vick. Uno spettacolo, in definitiva, che ha riproposto la ‘filosofia’ di Batignano che, indubbiamente, deve aver contribuito alla formazione artistica di Graham Vick, dove gli spettacoli erano costruiti tenendo presente le scarse risorse finanziarie ma che erano valorizzati dalla genialità di tutti gli interpreti con risultati, spesso, del tutto apprezzabili dal punto vista artistico. Un po’ di quella ‘filosofia’ si adatta alla condizione sociale di oggi ed il successo di questa produzione del Teatro dell’Opera è dovuto in parte, anche alla riproposta di quel modo di vedere il teatro lirico.
Di Zaide, come accennato prima, ci sono pervenuti 15 numeri completamente slegati tra loro. Ma all’ascolto si può senza dubbio affermare che nell’insieme sono di gran pregio in quanto evidenziano lo spiccato senso del teatro che il genio di Mozart ha espresso nella sua splendida produzione.
Riguardo a quest’ultimo aspetto fanno molto effetto i due melologhi posti all’interno del primo e del secondo atto; sono gli elementi stilistici più interessanti dell’opera come sostiene anche il musicologo Herman Abert nella sua monumentale ed illuminante biografia di Mozart. Entrambi i numeri, affidati rispettivamente a Gomatz e a Soliman, hanno una notevole forza drammatica dovuta all’efficace sostrato musicale che si fonde alla perfezione con il testo recitato.
Per quanto riguarda le parti soliste gran risalto è dato ai due innamorati, Gomatz e Zaide protagonisti assoluti del primo atto ma, anche, i più caratterizzati musicalmente di tutto il lavoro, le cui parti vocali lasciano intravedere i personaggi di Konstanze e Belmonte che poco tempo dopo diverranno i protagonisti del Ratto dal Serraglio anche se in Zaide, sicuramente a causa della sua incompiutezza, i caratteri del singspiel ancora non sono ben definiti. Straordinariamente ‘mozartiani’ sono i finali di ognuno dei due atti, il primo in forma di terzetto riservato ai due innamorati e ad Allazim, altra parte vocale di rilievo dell’opera ed il secondo di quartetto con Soliman che si aggiunge ai tre personaggi già citati. Per quanto riguarda la parte squisitamente strumentale, anche se in certi tratti può sembrare un po’ di maniera, nel complesso è sempre elegante e raffinata garantendo alle arie un accompagnamento di ottimo spessore.
Analizzando con più attenzione tutta l’esecuzione c’è da mettere in evidenza la figura del narratore, personaggio sapientemente costruito da Calvino come elemento catalizzatore dello spettacolo, ottimamente interpretato da Remo Girone che è riuscito a realizzare a pieno la specificità del personaggio molto ben caratterizzata dalla parte registica creata da Vick.
Anche la compagnia di canto ha affrontato la parte registica con molta sicurezza risultando vocalmente omogenea e molto ben assortita per le tre parti principali. Il soprano Chen Reiss una Zaide di efficace presenza scenica in possesso delle caratteristiche vocali ideali per realizzare il personaggio. Il tenore Juan Francisco Gatell Gomatz e il baritono Markus Werba Allazim hanno messo a disposizione dei personaggi a loro affidati la loro inconfondibile esperienza nel repertorio mozartiano restituendoci due personaggi del tutto credibili. Il tenore Paul Nilon è stato un Soliman simpatico ma contrastato nell’animo anche se la parte vocale destinata al personaggio è meno importante di quella degli altri tre personaggi principali.
Nelle altre parti c’erano Davide Giangregorio Osmin e Raffaele Feo I schiavo, Luca Cervoni II schiavo assieme a due altri cantanti provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, Domingo Pellicola e Rodrigo Ortiz rispettivamente III e IV schiavo.
Daniele Gatti alla guida dell’orchestra del Teatro dell’Opera ha offerto una direzione del tutto funzionale alle caratteristiche dello spettacolo, piacevolmente elegante e raffinata grazie alle sue evidenti doti di musicista utili anche per espletare l’incarico di Direttore Musicale del teatro lirico romano con il quale si rafforza ogni giorno di più la reciproca collaborazione che sta portando a continui e progressivi risultati.
La recita alla quale abbiamo assistito era quella di domenica 25 ottobre che è stata accolta con estremo favore dal pubblico romano che ha dimostrato di essere particolarmente soddisfatto della proposta. Ma questa recita assume anche un valore particolare: è stata l’ultima prima della nuova chiusura del teatro dovuta alle misure di contenimento dell’epidemia di Covid 19. Il pubblico in sala era ormai a conoscenza di questa nuova disposizione e, sicuramente, un po’ delusa da questa decisione governativa soprattutto perché ha penalizzato oltre misura i luoghi dello spettacolo che hanno osservato pienamente tutte le misure di contenimento emanate antecedentemente. Tutti gli spettatori convenuti si sono uniti in un lungo e caloroso applauso rivolto non solo agli interpreti ma anche al ‘teatro’ inteso come luogo di diffusione della ‘cultura’ parte integrante della nostra tradizione nazionale anche se, ne siamo certi, ognuno dei presenti alla recita in questione ha compreso benissimo la criticità della nostra attuale situazione sanitaria. Chiudiamo l’articolo proponendo il video di questo enorme ed accorato applauso postato sulla pagina facebook del Teatro dell’Opera con la speranza di tornare al più presto e liberamente in luoghi come questo.
https://www.facebook.com/operaroma/videos/774226093358933
Claudio LISTANTI Roma 1 novembre 2020