“Testimonianza perenne di eccellenza e virtù”, i Marmi Torlonia tra attualità e storia

di Sara MAGISTER

*Con questo saggio di Sara Magister ci associamo alla iniziativa promossa dal Direttore del Museo Novecento di Firenze, Sergio Risaliti, e sottoscritta da numerosi direttori, studiosi e addetti ai lavori affinchè il Ministro Dario Franceschini ripristini al più presto la fruibilità di Musei, Gallerie, Teatri e di tutti i luoghi di cultura ancora chiusi causa Covid 19, tra i quali Villa Caffarelli (Musei Capitolini) dove sono esposti numerosi Marmi della collezione Torlonia.

Pare che la collezione Torlonia sia destinata a una costante sensazione di nostalgia.

Quella tipica della visione neoclassica dell’arte antica, ma anche quella dei decenni d’inaccessibilità dei capolavori di un museo che era stato aperto in Trastevere già nel 1876, per poi venire bruscamente chiuso nel dopoguerra.

Collezione Torlonia, Fanciulla da Vulci, ©FondazioneTorlonia PH Lorenzo De Masi

Ma ecco che di nuovo si rinnovano la nostalgia e il desiderio di una bellezza perduta, perché appena dopo aver compiuto con questa mostra il primo attesissimo passo, per una restituzione alla vista di almeno novanta strepitosi capolavori in proprietà della famiglia, ebbene ecco una nuova chiusura, improvvisa e difficilmente accettabile. Con la negazione della fruibilità dei musei, degli spazi archeologici e delle mostre, infatti, ci viene negato il “ristoro” dell’anima, che è altrettanto importante quanto quello delle tasche. Tanto più lo avremmo avuto da una mostra come questa, il cui percorso accompagna a ritroso il visitatore nel recupero delle proprie radici, mettendo in chiaro come dal passato s’impara sempre, anche sul come agire e reagire nel difficile tempo presente.

È ormai noto come il racconto messo in campo da curatori di altissimo livello, quali sono Salvatore Settis e Carlo Gasparri, ha voluto puntare su come la collezione Torlonia sia in realtà una “collezione di collezioni”.

Giunti a Roma dalla metà del Settecento come mercanti e banchieri, i Torlonia ci misero poco a salire i gradi più alti dell’aristocrazia, a suon di acquisizioni di titoli, proprietà e territori, quando invece l’antica nobiltà era in forte crisi economica. Uno status che prese forma concreta anche con l’acquisto d’interi lotti di collezioni in vendita, come la Cavaceppi, la Giustiniani e l’Albani, cui si aggiunsero i capolavori rinvenuti negli scavi in terreni di loro proprietà, peraltro ricchissimi di memorie archeologiche (basti pensare all’area della Villa dei Quintili).

Tanto bastò, per fare di questa raccolta l’ultima grande collezione principesca romana, e il punto di arrivo di una lunghissima tradizione, le cui radici sono giustamente identificate proprio nei Musei Capitolini.

Il percorso, negli spazi non sempre agevoli di villa Caffarelli in Campidoglio, non poteva che essere infatti pensato per questo luogo, perché doveva necessariamente confluire nella grande sala dei Musei che ospita da qualche tempo l’originale della statua equestre di Marco Aurelio.

La mostra dei marmi Torlonia nell’allestimento a villa Caffarelli (foto dell’autrice)
Nicolas Beatrizet, Lupa Capitolina, in Speculum Romanae Magnificentiae, 1552, New York, Metropolitan Museum

Qui per l’occasione sono state riunite le statue antiche di bronzo trasferite in Campidoglio dal Laterano da papa Sisto IV nel dicembre del 1471: lo Spinario, i grandi frammenti del ritratto colossale dell’imperatore Costantino, il Camillo, e soprattutto la notissima Lupa Capitolina. D’altra parte, senza questo tassello così importante, la storia raccontata in mostra sarebbe rimasta priva delle sue più solide fondamenta. Che mancheranno, purtroppo ma per forza di cose, nelle sue prossime tappe internazionali.

Perché con la “donazione” o meglio la “restituzione” al Popolo Romano dei bronzi lateranensi, Sisto IV pone innanzitutto le basi della necessaria fruibilità pubblica delle memorie antiche. Non sono tanto gli oggetti in sé, infatti, che il papa “restituisce” a un luogo, il Campidoglio, che peraltro non li aveva mai ospitati prima di quel momento, ma la loro potentissima carica simbolica.

M. Dente, Spinario, in Speculum Romanae Magnificentiae, 1573, New York, Metropolitan Museum

Come recita l’iscrizione celebrativa dell’atto papale, a tali oggetti viene riconosciuto non tanto un valore estetico, quanto il ruolo di “testimonianza perenne di eccellenza e di virtù”, fondamentale per l’intera comunità dei Romani di oggi, in quanto erede di quella che nel passato li aveva prodotti. Exempla identitari quindi, costruiti peraltro ad arte dalla genialità di Sisto IV, che proprio per l’occasione, e con l’aggiunta dei gemelli, trasforma la Lupa dal segno negativo della giustizia papale al logo della città e della comunità di Roma, spazzando via in un sol colpo ogni simbolo civico precedente, e riuscendo a vincere il tempo, per farlo giungere intatto e nitido fino ai giorni nostri.

Ma la “donazione” di Sisto IV pone anche le basi, già nel 1471, per la nascita del primo museo pubblico dell’Occidente moderno, perché affida ufficialmente al governo municipale la responsabilità e l’onore di tutelare e conservare la propria stessa storia, trasformando di fatto il Campidoglio nel luogo della memoria dell’identità di Roma, oltre che nella sede dell’amministrazione cittadina. I suoi successori continueranno ad aggiungere nuove opere, fino ad arrivare nel 1734 all’apertura ufficiale dei Musei Capitolini, voluta da un altro papa: Clemente XII Corsini.

Melozzo da Forlì, Sisto IV nomina Bartolomeo Platina Prefetto della Biblioteca Vaticana, 1477 ca, Pinacoteca vaticana

E infine sempre papa Sisto darà una lezione anche ai collezionisti privati, già numerosissimi al suo tempo, mettendo in chiaro che i tesori del passato non possono essere riservati solo a pochi, perché appartengono alla memoria e alla storia di tutti. Da qui in poi si moltiplicheranno le collezioni aperte anche solo parzialmente al pubblico, o diffuse almeno in forma grafica tramite la pubblicazione di cataloghi a stampa, fino ad arrivare alla lodevole decisione dei Torlonia di aprire nel 1876 alla vista del pubblico ben 620 pezzi del loro posseduto.

Questo e molto altro raccontano i saggi dell’ottimo catalogo di mostra, concepito non solo come guida all’esposizione, ma anche come un sunto autorevole, chiaro e aggiornato sui momenti cardine della storia del collezionismo di antichità. Così come si racconta quanto sia mutata nel tempo la percezione dell’antico, del relativo collezionismo e quindi anche dei restauri sulle opere antiche, in particolare nel passaggio tra il Settecento e i secoli precedenti.

Nel corso del Quattro, Cinque e Seicento, infatti, le statue antiche non venivano ancora guardate con quel senso di nostalgia per un tempo perfetto e perduto per sempre, che caratterizzerà invece i secoli più recenti.

Per i Savelli, i Cesi, i Da Carpi, infatti, le statue antiche erano percepite come testimonianze attive di un’età dell’oro che stava davvero tornando in vita. Si esponevano quindi i ritratti di presunti antenati, attribuiti ad hoc e accompagnati da iscrizioni o da componimenti poetici che le facevano letteralmente “parlare”, per attestare e celebrare un antico quanto inesistente lignaggio. Oppure statue di ninfe allestite a mo’ di fontana, e disposte nei giardini tra le vive fronde e i profumi dei fiori, convincevano gli occhi e l’anima dei visitatori che un’antica età dell’oro era realmente rinata nel tempo presente.

Ph. Oliver Astrologo

La stessa forma mentis è quella che aveva guidato anche la creazione della collezione Giustiniani. Non a caso nella Galleria le opere moderne erano allestite insieme alle statue antiche, sullo sfondo affrescato di un finto loggiato a colonne tortili, che dava la sensazione di uno spazio dinamico, dominato dai colori caldi e contrastati.

Ph. Oliver Astrologo

La loro percezione come figure ancora vive e presenti qui e ora è confermata anche dalle tavole incluse nel catalogo a stampa della Galleria Giustiniana, dove le forme classiche tradotte in immagine dai vari artisti coinvolti assumono un movimento e una vitalità che non appartengono ai loro reali modelli. Una “traduzione”, questa, che va attribuita a una lettura dell’antico come qualcosa di ancora potentemente vitale, reale, attivo nel tempo presente, e non semplicemente come la conseguenza di un generico “gusto barocco” (cfr. a proposito I Giustiniani e l’Antico, catalogo della mostra a cura di G. Fusconi, Roma ottobre 2001-gennaio 2002, Roma 2001).

Lo stesso concetto, d’altra parte, trova un riscontro anche nei restauri operati dal Bernini su alcuni pezzi Giustiniani. Il caso principe è lo strepitoso Caprone in riposo, dove la realizzazione ex novo della testa dell’animale, compiuta appunto dal giovane Bernini, esprime l’intenzione di vivificare il frammento antico, con il conferire maggiore movimento, naturalismo e vitalità non solo all’espressione del muso dell’animale, ma anche al trattamento del vello.

6. Collezione Torlonia, Statua di caprone in riposo, ©FondazioneTorlonia PH Lorenzo De Masi

Ben diversa è la percezione neoclassica dell’antico, incentrata invece sulla ricerca di un valore di assoluta perfezione estetica, più che narrativo-simbolica. Una perfezione che però sembra ormai irraggiungibile, tanto quanto lo è il mondo Greco e Romano, che è passato, e non può più tornare.

Ed è proprio quest’ultima percezione, a guidare giustamente l’allestimento delle prime sale della mostra, incentrate sulla restituzione degli ambienti e dell’atmosfera delle fasi collezionistiche del Sette-Ottocento, come ci si aspetterebbe.

Ph. Oliver Astrologo

Ma ci si chiede come mai, a questo punto, non sia stato attuato un cambio di passo nelle sale successive, quelle che a ritroso dovrebbero ricostruire i contesti delle fasi collezionistiche precedenti. I colori degli sfondi rimangono invece troppo freddi, piatti, e troppo chiari, in netto contrasto con le pavimentazioni troppo scure a mattonelle prodotte ad hoc – per quanto evocative della pietra utilizzata per il tempio di Giove Capitolino su cui insiste appunto la Villa Caffarelli, come dichiarato dagli architetti -. Fattori che, insieme alle illuminazioni forse un po’ troppo fredde e fisse, non giovano alla lettura dei marmi, che, ripuliti al limite della patina, sembrano perdere la loro naturale e vibrante brillantezza, facendoli percepire come quasi gessosi.

Avrebbero dato ben diverse sensazioni luci e colori più caldi, vibranti e contrastati, come quelli che dominavano la Galleria Giustiniana, o più intensi e vivi, come i verdi dei giardini ove erano allestiti i pezzi Cesi o Savelli. E poi ancora, calde e avvolgenti pavimentazioni di cotto, come si trovavano in tutti i palazzi romani dal Quattrocento all’Ottocento. Insomma, la sensazione è come se le intenzioni concettuali e narrative espresse e annunciate con grande chiarezza e acutezza dall’altissima competenza dei curatori fossero state in parte disattese da chi ha operato nella pratica l’allestimento. Il moderno concetto di “less is more”, d’altra parte, può andare bene per alcuni contesti, ma non per quelli dove l’intensa stratificazione storica, del luogo ma soprattutto della narrazione messa in campo, richiede di essere lasciata a protagonista della scena.

Collezione Torlonia, c.d. Eutidemo, ©FondazioneTorlonia PH Lorenzo De Masi
Collezione Torlonia, Vecchio da Otricoli, ©FondazioneTorlonia PH Lorenzo De Masi

La speranza è che le prossime tappe previste dalla mostra possano meglio modulare la comunicazione narrativa ed emozionale al pubblico, e resta fuori di ogni dubbio che si tratta di un’occasione di bellezza davvero unica, e davvero imperdibile.

 

Alcuni suoi pezzi strepitosi valgono da soli non una ma più visite ripetute, come il cd. Eutidemo di Battriana, o il cd. Vecchio di Otricoli, o l’inquieta Fanciulla di Vulci (v. supra), oppure il divertente e vitale Caprone antico già nominato.

E anche se l’allestimento tende un poco a contenerle, quelle emozioni che gli stessi curatori giustamente auspicavano di evocare nel visitatore, ci pensa alla fine la sala dedicata ai bronzi di Sisto IV a ricomporre il tutto, e a riaccendere una più sanguigna passione e chiara consapevolezza, per la sempiterna attualità dell’antico.

©Sara MAGISTER   Roma 29 novembre 2020

I Marmi Torlonia. Collezionare i capolavori, a cura di S. Settis e C. Gasparri. Roma, Musei Capitolini, Villa Caffarelli, 14 ottobre 2020 – 29 giugno 2021. Catalogo Electa.