di Claudio STRINATI
Nel gennaio del 1972 mi trovavo in uno stato di autentica euforia.
Mi pareva di essere Elio Vittorini in preda a eroici furori. Avevo appena letto Conversazione in Sicilia e mi sembrava il più bel libro che avessi mai preso in mano insieme con Un giorno di fuoco di Beppe Fenoglio. Che gente, ragazzi ! Era uscito il concorso per posti di ispettore nelle Soprintendenze di Stato. Sentivo che era l’ora del combattimento e che l’ avrei passato alla grande. Studiavo infaticabilmente e caoticamente ma mi sembrava di poter dominare ogni cosa. Che fossi in errore avrebbe provveduto la vita stessa a metterlo ben presto in evidenza ma al momento non ci pensavo. Compravo tutti i libri pubblicati da Bulzoni, la casa editrice dell’ Università che stampava le dispense e trasformava parecchie tesi di laurea in libri molto utili. L’ ultima cosa appena uscita era una monografia su Ettore Colla che mi era enormemente simpatico. Autori Giorgio de Marchis e Sandra Pinto. Non conoscevo né l’uno nè l’altra. Con Giorgio de Marchis, molti anni dopo, divenni amico e lo rimasi per il resto della vita anche quando se ne andò in Giappone a dirigere l’ Istituto Italiano.
Sandra la conobbi dopo quando era rientrata a Roma dopo essere stata in varie sedi tra Torino e Firenze. Adesso dirigeva la Galleria Nazionale d’ arte moderna.
Mi sembrò logico quando lo seppi perchè l’ avevo incontrata sulle pagine di un libro dedicato a Colla, uno dei nostri tempi mentre il mio maestro Cesare Brandi mi rimproverava: ”Ma che cosa leggi, povero ragazzo mio che di contemporaneo non sai niente e comunque non ci capisci niente!”
De Marchis aveva scritto il saggio vero e proprio, lei il catalogo delle opere. Il tipico lavoro che si fa da giovani quando si comincia la carriera e si sta vicini a qualche grande maestro che ti permette di lavorare e farti le ossa.
Il catalogo di Sandra mi aveva colpito. Era un modello di scrupolo, di rigore, di capacità di scrutinare la carriera di un artista individuando ogni aspetto della sua storia e della sua personalità. A me nessuno aveva dato un incarico del genere e non riuscivo a capire come si riesca a fare un catalogo del genere. Pensai che ci sarei arrivato anche io ma poi non l’ ho mai fatto e ancora mi chiedo come ci si possa riuscire.
Me la immaginai come una persona rigida, severa, dall’ aria segaligna, completamente immersa nel lavoro, aliena da amori o amicizie. Una di quelle funzionarie tipo la Wittgens, di cui avevo solo sentito parlare con le più alte lodi, o la Della Pergola che avevo invece ben conosciuto e che è stata la mia grande mentore e insegnante e mi ha aiutato in modo determinante per diventare sul serio un uomo delle Istituzioni. A diventarlo badate bene, non è detto che ci sia riuscita.
Immaginavo Sandra Pinto come la Della Pergola e quindi le volevo bene già prima di conoscerla. Poi l’ ho conosciuta e le ho voluto bene. Era diversa da come la immaginavo. Intanto era più alta e molto più giovane della Della Pergola e questo era piuttosto logico. Poi aveva una parlata soave e buona. Inoltre non era affatto segaligna ma aveva un suo rigore evidente anche nell’aspetto esteriore.
Come la Della Pergola è stata una grandissima maestra museale, tra le maggiori del secolo appena trascorso. Lo ha ricordato, con una generosità e una nobiltà d’ animo che gli vanno riconosciute, Matteo Lafranconi che è stato molto vicino a Sandra, ha lavorato con lei e l’ha sommamente rispettata.
Come la Della Pergola, la Pinto aveva il senso della didattica museale quale obbiettivo supremo della museografia e della museologia, per usare termini che oggi appariranno alquanto desueti ma che un loro senso l’ hanno avuto, eccome! Aveva ben chiaro quale sia il rapporto tra la storia dell’arte e il Museo e quando diresse la Galleria Nazionale d’arte moderna sapeva come far capire alla gente che cosa sono queste opere d’ arte e in che modo riflettano una storia, una mentalità, un comportamento, una ideologia. La precisa cognizione della committenza è indispensabile e nel museo va rintracciata perché la cognizione della provenienza dell’opera è intrinsecamente legata alla cognizione del senso e della bellezza dell’ opera stessa. Ma non spiega l’ opera d’arte.
Anzi, che vuol dire spiegare un’opera d’ arte?
Così come la conoscenza dei presupposti filosofici e teoretici è necessaria alla nostra formazione estetica e la visita al museo deve tenerci desti e vigili.
“Come spiega lei i quadri professore caro, nessuno”.
Sandra non era così convinta dell’esattezza di simili tesi. In realtà chi pretende di spiegare, e spiegare in modo così chiaro “come fa lei professore che quando parla si capisce tutto e mi ha fatto proprio godere”, può essere nella posizione più fuorviante possibile rispetto all’ obbiettivo che Sandra si è posta per tutta la vita e che ha realizzato in realtà, sia pure nei limiti che la vita stessa ci impone e non sono superabili. Aveva elaborato strategie comunicative e espositive che hanno dato un contributo decisivo alla sviluppo del senso della visita museale che è una vera e propria disciplina a sè e che non consiste nello spiegare così bene le cose e farci godere.
La visita è una osservazione di opere d’ arte. E’ un’ azione concreta che però in linea di massima quasi nessuno sa in che cosa consista. Ma i museografi come Sandra Pinto hanno studiato questo argomento e hanno dato una serie di soluzioni. Io stesso l’ ho capito lentamente ma in modo sempre più lampante e evidente. Aiutato, magari, anche da qualche circostanza pratica che è bene ci capiti ogni tanto.
Mi ricordo che a un certo punto dalla nostra vita avemmo, Sandra ed io, occasione di frequentarci molto perché il Ministero ci nominò entrambi in una commissione di concorso per l’ assunzione delle nuove leve di ispettori storici dell’arte. Una ventina d’anni fa. E noi ligi e scrupolosi (io un po’ meno ma mi adeguavo) ogni giorno eravamo lì a interrogare i candidati, a preparare le domande, a scegliere le fotografie per i riconoscimenti, a riflettere su come impostare il tutto. Gli esami si svolgevano al Collegio romano, così nelle pause-pranzo andavamo sempre a mangiare in una specie di pub che esiste ancora adesso, subito all’ uscita del Ministero dove si stava benissimo e si poteva discutere per giornate intere. Si mangiava anche piuttosto bene.
All’ inizio pensavo a come si sarebbe comportata una gran signora come lei in quel posto che mi pareva un po’ improbabile e giovanilistico. Invece era perfettamente a suo agio e lo era in tutte le circostanze della vita. Sandra verificava ogni cosa, controllava tutto senza darlo granchè a vedere e discuteva con me di tutto. Avevo molto lodato il capitolo che aveva scritto, all’ inizio degli anni Ottanta, sull’arte dell’ Italia unita per la Storia dell’arte Einaudi. Non era un capitolo era un libro intero dentro la serie di quei grandi volumi.
Era strana la Storia dell’ Arte Einaudi, come del resto tutte le opere enciclopediche partorite da quelle menti eccelse. Era un coacervo di scritti memorabili e innovativi, di scemenze mastodontiche. Totalmente priva di qualsivoglia utilità pratica, illuminante in certe riflessioni e certe estrapolazioni comprensibili però soltanto a chi avesse trascorso la sua vita a studiare l’ arte.
Sandra non era minimamente intimorita da questi presunti giganti e io la elogiavo per questo e per mille altri motivi, primo fra tutti la splendida organizzazione della materia nel suo saggio e il rigore del suo pensiero storico-critico. Aveva scritto un saggio magistrale, commovente per l’ ampiezza della documentazione, per la forza del discorso critico che resta tuttora un modello metodologico esemplare. Perchè la dr.ssa Pinto la storia dell’arte la sapeva sul serio e la sapeva raccontare sul serio mai sovrapponendo le sue opinioni (che aveva e marcatissime) all’ ordine espositivo della materia.
Così aveva organizzato il Museo di Valle Giulia che adesso ha cambiato molto il suo aspetto e positivamente, non c’ è dubbio ma è un peccato che il pensiero storico e la tensione etica di Sandra Pinto non esistano più.
Esiste la sua lezione ed è una lezione sul serio.
Ma la sua riservatezza, le delusioni che le toccò subire, le incomprensioni di molti l’hanno relegata nel dimenticatoio ben prima che la morte sopraggiungesse. Ma sono cose che capitano e non c’è da rammaricarsene più di tanto.
Il suo posto accanto alla Wittgens, alla Della Pergola, a Palma Bucarelli (e a tanti altri maschi logicamente, ma possiamo anche ometterli in questa circostanza) è stabilmente assicurato e chi studia la nostra disciplina non vorrà mai prescinderne.
Claudio STRINATI Roma 20 dicembre 2020