di Nica FIORI & Francesca LICORDARI
Il mito di Augusto, a oltre 2000 anni dalla sua morte, sembra riemergere in questo periodo di chiusura di un anno decisamente anomalo e quasi inumano dal punto di vista dei rapporti sociali.
La stampa ha da poco parlato del ritrovamento di una sua testa colossale nello scavo di Via Alessandrina – ma nessuno l’ha vista, se non pochissimi addetti ai lavori, per colpa del Covid 19 – ed ecco che subito dopo viene annunciata dalla sindaca Virginia Raggi la prossima apertura, prevista per il 1° marzo 2021, del suo grandioso mausoleo dinastico, in quello che era il Campo Marzio, dove erano stati eretti anche l’Ara Pacis, a testimonianza della pace finalmente ottenuta nell’Impero, e l’Horologium Augusti.
Un monumento, questo, che denota un grande interesse per la misurazione del tempo, forse trasmessogli dal padre adottivo Giulio Cesare, che aveva riformato il calendario, basato inizialmente sulle fasi lunari, con mesi di 29 o 30 giorni.
La grandiosa riforma, avvenuta nel 46 a.C., pose termine all’irregolarità del mese lunare, consentendo di avere un anno di 365,25 giorni. Per rispettare il corso delle stagioni, il problema del quarto di giorno (6 ore), che avanzava ogni anno, fu risolto con l’introduzione dell’anno bisestile. Nacque così il Calendario Giuliano.
Per avere un’idea delle feste previste nel calendario romano, possiamo osservare i calendari presenti in alcuni musei. A Roma il Museo Nazionale Romano conserva le lastre dei Fasti Antiates (da Antium, ovvero Anzio) e dei Fasti Praenestini (da Praeneste, ora Palestrina), due calendari che segnavano il tempo prima e dopo la riforma di Giulio Cesare.
Ricordiamo a questo proposito che il termine “Fasti” deriva dal latino “fastus” (fausto), giorno in cui non esisteva nessuna controindicazione religiosa per la trattazione degli affari, che invece era vietata nei giorni “nefasti”.
Oltre ai calendari di tipo civile, con la determinazione delle feste, dei giorni fasti e nefasti, e con le indicazioni dei vari magistrati, esistevano quelli di tipo agricolo. Questi ultimi, chiamati Menologia (tra i quali i più celebri quello Colotianum del Museo Archeologico di Napoli e quello Vallense, ora perduto), erano realizzati su basi astro-meteorologiche:
fornivano per ogni mese il numero dei giorni, la lunghezza del giorno e della notte, il nume tutelare, il segno zodiacale, le operazioni agricole, le feste e i riti più importanti. Normalmente erano riassunti, come racconta Terenzio Varrone (De re rustica I, 36), su stele nelle ville rustiche, affinché il fattore ne potesse tener conto. Raffigurazioni di mesi e stagioni con i principali lavori agricoli sono pervenute anche da mosaici e pitture.
Augusto, nella sua carica di pontefice massimo, poté modificare l’organizzazione del tempo nella capitale, e quindi nell’impero. Se prima di lui venivano riportate nei calendari esclusivamente feste legate alle divinità, con il primo imperatore si hanno profondi cambiamenti. Anche i Fasti, così come le opere letterarie, diventano uno strumento di propaganda della figura del princeps. L’introduzione di nuovi riti influisce anche nella riorganizzazione della città con inedite cerimonie in spazi e monumenti pubblici. Augusto, infatti, divide l’Urbe in 14 regiones, a loro volta divise in 265 vici, nei quali si gestisce il nuovo culto dei Lares Augusti, figure protettrici della casa dell’imperatore, che sostituiscono i precedenti Lares Compitales (i protettori delle strade che erano collocati entro piccole edicole agli incroci stradali). Come scrive il poeta Ovidio, si diffonde anche la venerazione del Genius di Augusto con nuove forme di festa: “… ora la nostra città ha mille Lari e il Genio del Principe” (Fasti V, 145).
Oltre al culto dei Lari Augustali, Augusto introdusse delle festività in onore suo e della sua famiglia, come per esempio il giorno della sua nascita (23 settembre del 63 a.C.) e quello del suo matrimonio con Livia (17 gennaio del 36 a.C.). Una vera e propria “rivoluzione” che mutò l’ordine precedente.
Per quanto riguarda la misura del tempo, ricordiamo che tra i misuratori più comuni vi erano le meridiane, che utilizzavano aste metalliche orizzontali incassate in un pavimento lungo la direzione dell’ombra del sole a mezzogiorno.
Questi orologi solari, che consentivano la divisione del tempo in ore, si diffusero a Roma a partire dalla prima guerra punica (metà del III secolo a.C.), quando fu sistemata nell’area del Comizio nel Foro Romano la prima meridiana solare, mentre fino a quel momento i Romani erano soliti determinare il tempo dividendo il giorno in due parti, cioè osservando i raggi del sole tra i Rostra e la Graecostasis, due monumenti del Foro Romano alla base del Campidoglio.
Il primo orologio solare, importato da Catania dal console Valerio Massimo Messala, non si adattava perfettamente a Roma, in quanto concepito per una città a una latitudine più bassa. Un secolo dopo il censore Quinto Marcio Filippo ne fece sistemare uno predisposto appositamente per i Romani.
Ma è con Augusto che si realizza il grandioso Horologium in Campo Marzio.
Nella piazza di Montecitorio possiamo ancora ammirare l’obelisco di Psammetico II, che costituiva lo gnomone dell’orologio, tuttora utilizzato in una più moderna meridiana. Portato a Roma da Heliopolis, questo simbolo del dio solare Ra assumeva un significato particolare per il primo imperatore: era il monumento che rappresentava la sua vittoria sull’Egitto e allo stesso tempo proiettava sulla sua figura un alone divino.
La sua ombra si stendeva su una grande piazza lastricata (m 160 x 75), che era proporzionata all’altezza complessiva dell’obelisco (100 piedi romani, corrispondenti a m 29,6), in modo che, come ci fa sapere Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXVI, 15),
“nell’ora sesta – cioè mezzogiorno – del solstizio d’inverno l’ombra di esso fosse lunga quanto la lastra e decrescesse lentamente giorno dopo giorno per poi ricrescere di nuovo, seguendo i righelli di bronzo inseriti nella pietra: un congegno che vale la pena conoscere, e che si deve all’acume del matematico Facondo Novio. Questi aggiunse sul pinnacolo una palla dorata, la cui estremità proiettava un’ombra raccolta in sé, perché altrimenti la punta dell’obelisco avrebbe determinato un’ombra irregolare – a dargli l’idea fu, dicono, la testa umana”.
La cuspide dorata dell’obelisco terminava con una sfera, simbolo del dominio di Roma sul mondo, segnando i giorni, i mesi, i segni zodiacali e perfino le indicazioni sui venti. Il mirabile congegno (inaugurato nel 10 a.C.), ideato da Facondo Novio, stupì i romani e i visitatori della Caput mundi, ma dopo trent’anni la registrazione del tempo “non era più conforme al vero”, sempre secondo Plinio, forse perché lo gnomone si era smosso in seguito a una scossa tellurica, oppure perché le alluvioni del Tevere ne avevano provocato l’abbassamento.
Il monolito di granito rosso, alto 22 metri, era iscritto con geroglifici su tutte e quattro le facce, mentre oggi appare molto rovinato e una facciata è stata rivestita da lisce lastre granitiche. Il suo cattivo stato è dovuto ai Normanni di Roberto il Guiscardo, che, arrivati a Roma nel 1084, lo ridussero in pezzi. Rimesso in luce nel 1748 da Nicola Zabaglia, è stato poi innalzato 200 m più a sud rispetto alla collocazione di Augusto.
Quanto al lastricato originale in travertino, se ne può scorgere solo una piccolissima parte nella cantina di un palazzo in via di Campo Marzio (n.48).
Delle scritte e regoli di bronzo originali rimangono poche lettere pertinenti a segni zodiacali: le parole greche ΛΕΩΝ (leon = leone) e ΤΑΥΡΟΣ (tauros = toro), delle quali si leggono rispettivamente le ultime due lettere e le prime quattro; sono divise, tramite due lunghe strisce trasversali da ΠΑΡΘΕΝΟΣ (Parthenos = vergine) e ΧΡΙΟΣ (Chrios = ariete), delle quali si conservano le prime quattro lettere e le ultime due. A interrompere la sequenza tra i vari segni vi è la scritta tra il leone e la vergine ΕΤΗΣIAI ΠΑΥΟΝΤΑΙ (etesiai pauontai = cessano i venti etesii), una situazione meteorologica riguardante il Mediterraneo orientale, dove il 24 agosto, al cessare di quei venti, si interrompeva la navigazione dall’Italia e dalla Grecia verso l’Egitto.
Anche un’altra iscrizione è relativa al calendario marittimo: ΘΕΡΟΥΣ ΑΡΧΗ (therous arché = inizia l’estate), data da collocare non al 21 giugno, giorno tradizionale del solstizio d’estate, ma al 9 maggio, come avveniva già nei calendari greci.
Durante gli scavi cinquecenteschi nell’area della chiesa di San Lorenzo in Lucina fu rilevata, in uno dei quattro angoli del pavimento, l’iscrizione in latino di un altro vento, “BOREAS”, com’è testimoniato dall’umanista ed erudito del XV secolo Pomponio Leto:
“Dov’è la chiesa di San Lorenzo in Lucina con l’orto, dove c’era il Campo Marzio, dove si tenevano i comizi. E dove è stata costruita la nuova abitazione dei cappellani della cappella di San Lorenzo ci fu la base del celebre orologio. Nel Campo Marzio, dove c’è la tomba dei cappellani, lì fu portato alla luce l’orologio, che aveva intorno sette tacche e linee decorate con metallo dorato e la pavimentazione del campo era di ampi blocchi quadrati e aveva le stesse linee. E agli angoli i quattro venti a mosaico con iscrizione del tipo «soffia BOREA»”.
Non è che un frammento quello che vediamo, eppure dà un’idea della grandiosità della meridiana, ideata basandosi su modelli greco-ellenistici, ai quali si aggiungeva l’intento celebrativo di Augusto, tanto che il 23 settembre, sua data di nascita e insieme equinozio d’autunno, l’ombra dello gnomone raggiungeva il centro dell’Ara Pacis, massimo monumento augusteo. In tal modo, come sostiene lo studioso tedesco Edmund Buchner (Die Sonnenuhr des Augustus, 1982), era come se una linea conducesse dalla nascita di Ottaviano Augusto direttamente alla Pace, e in effetti egli si riteneva “natus ad pacem”.
Come dire che con Augusto aveva inizio un nuovo giorno e un nuovo anno, o meglio una nuova era: un’era di Pace.
Nica FIORI & Francesca LICORDARI Roma 27 dicembre 2020