di Annalisa STANCANELLI
Michelangelo Merisi da Caravaggio dipinse alcuni ritratti nel periodo che trascorse a Roma (1596 c.-1606).
Un ritratto, tuttavia, risulta, secondo le fonti e gli studi sul periodo lombardo, già realizzato negli anni antecedenti alla stagione romana. Si fa riferimento al ritratto di Marsilia Sicca, che emerge da alcune note della collezione di Vincenzo Giustiniani, il ricco marchese che tanta parte avrà nelle committenze romane di Caravaggio. Nell’elenco della sua vasta pinacoteca (inventario del 1638) si trova la registrazione di un quadro di Caravaggio alla prima maniera:
“un ritratto di matrona lombarda con un velo bianco in testa e suo nome Marsilia Sicca” (Stefania Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio: documenti, fonti e inventari 1513-1724, Ugo Bozzi Editore, Roma, 2003).
Maurizio Marini nel suo ponderoso volume Caravaggio. Pictor praestantissimus (Newton Compton editori, Roma 2003) in riferimento al periodo romano tra i quadri perduti ricorda diversi ritratti: di un oste, di un medico, di Onorio Longhi, di Caterina Campani, moglie di Onorio Longhi, di Crescenzio Crescenzi, di Melchiorre Crescenzi, di Virgilio Crescenzi e del Cardinale Serafino Olivier Razali. Quest’ultimo ritratto è ricordato in alcuni versi del giureconsulto Marzio Milesi mentre il frate teatino G. Silos nella sua opera Pinacotheca sive Romana pictura (M.Basile Bonsante, a cura di, edizioni Canova, 1979) racconta di aver ammirato anche un altro quadro Il ritratto di Gismondo Tedesco pittore che scompare dalla storia a Berlino nel 1945 come altri dipinti di Caravaggio San Matteo e l’angelo, Cristo nell’Orto degli ulivi e Il ritratto di cortigiana ovvero il ritratto di Fillide Melandroni.
Proprio riguardo a questo dipinto di Caravaggio si incrociano fitti misteri e domande senza risposta.
Quale la storia di questo ritratto? Chi è Fillide Melandroni? Davvero la cortigiana fu coinvolta nelle ragioni che portarono Caravaggio a uccidere Ranuccio Tomassoni quel fatidico 28 maggio 1606? Possiamo ipotizzare che sia di Fillide Melandroni il volto dei capolavori Giuditta e Oloferne, Marta e Maddalena, Santa Caterina di Alessandria?
Partiamo dal Ritratto di Cortigiana. Nell’inventario della Collezione Giustiniani del 1638 riportato nel volume di Stefania Macioce già citato, risultano due dipinti:
un quadro di mezza figura Ritratto di Cortigiana famosa depinto in tela ancora imperfetto alto palmi 4 e largo 3 in circa di mano di Michelangelo da Caravaggio con cornice negra e un altro quadro con ritratto di una cortigiana chiamata Fillide in tela da testa con sua cornice negra di mano di Michelangelo di Caravaggio.
Le fonti storiche e documentarie confermano che la protagonista del ritratto inserito nella collezione di Vincenzo Giustiniani in cui confluiscono anche i dipinti del Cardinale Benedetto Giustiniani, il fratello, è Fillide Melandroni (Siena 8 gennaio 1581-Roma 3 luglio 1618, da M. Marini, 2003). Verità, notizie incomplete, fonti parziali caratterizzano spesso la storia di Caravaggio e delle sue opere. Qui però la fonte afferma che Fillide è ritratta da Caravaggio.
Cosa sappiamo di Fillide?
Sempre Marini (2003) ricorda alcune note documentarie in cui si legge di “Filida Melandroni senese cortegiana”, “Fillida Malantrona senese”, “Cresimata e comunicata Filida Melandroni cortesana di 22 anni”; si tratta di registrazioni di atti avvenuti in parrocchie come San Lorenzo in Damaso, Santa Maria del Popolo, Sant’Andrea delle Fratte.
Fillide, indicata come cortegiana- cortesana, è una prostituta e incrocia la vita del Caravaggio probabilmente in più occasioni. E’ certo che l’artista la raffigura in questo ritratto su commissione che potrebbe risalire, secondo l’età dimostrata dalla donna, agli anni successivi al 1600. Fillide è una “cortigiana honesta”, una prostituta di alto bordo. Secondo R.Vodret e P. Jorio (in Luoghi e misteri di Caravaggio, Cairo editore, 2018) tra gli amanti eccellenti della “cortigiana” vi erano proprio i fratelli Giustiniani e altri personaggi potenti e altolocati della Roma della fine del 1500 e degli inizi del 1600. Il ritratto potrebbe essere stato richiesto a Caravaggio da Giulio Strozzi che dovrebbe aver intrattenuto una relazione stabile con la donna nei primi anni del 1600 e che è citato nel testamento di Fillide Melandroni dove si parla di “un ritratto” fatto da Caravaggio che “pertiene” a Giulio Strozzi
“dixit et declaravit se habere in eius domo unum quadrum seu retractum mani Michaelis Angeli de Caravagio quod spectat et pertinet ad ill. d. Julium Strozzium propterea voluit illud eidem ill.re Julio restitui et consignari”
e che a Strozzi deve essere restituito in caso di morte.
Nel ritratto “il pictor praestantissimus” dipinge la cortigiana con i capelli acconciati in alto che stringe al petto un mazzo di fiori. Del viso di Fillide colpisce lo sguardo “fiero” da cui trapelano ironia e lusinga mentre il volto irradia una dolcezza ambigua, quasi felina, carica di sottintesi.
Pervenuto per acquisto nel 1815 entrò a far parte della collezione di dipinti del re di Prussia Federico Guglielmo III, andò disperso nel maggio 1945 a seguito dell’incendio della Flakturm di Friedrichshain dove erano stati accatastati migliaia di capolavori di pittura e scultura. Del dipinto abbiamo una riproduzione fotografica reperita da Maurizio Marini in un catalogo storico-artistico ( di W. Weisbach) nel 1924.
Torniamo al ritratto e al suo “compagno”. Nell’inventario della Collezione Giustiniani ci sarebbe un altro “ritratto” di Cortigiana famosa.
Eppure il frate teatino G. Silos che ammira la pinacoteca Giustiniani e loda i dipinti di Caravaggio nei suoi epigrammi, uno per uno, ricorda un solo ritratto (forse l’altro essendo imperfetto non era esposto sebben catalogato) e gli intitola una lirica Taide, “un nome dall’origine letteraria con il riferimento a Menandro, dove Taide è protagonista della commedia “Eunuchus”, e soprattutto a Dante Alighieri che nel XXVII canto della Inferno racconta l’aspetto di questa “cortigiana” soffermandosi sulle “unghie” e su una capigliatura “selvaggia”(quasi una creatura ferina):
Taidè è, la puttana che rispose/ al drudo suo quando disse “Ho io grazie/ grandi appo te?”: “Anzi maravigliose!/.E quinci sian le nostre viste sazie”[i].
Il frate teatino nel cantare il quadro di Caravaggio si sofferma, appunto, sullo sguardo “ferino” della cortigiana, sui capelli arrotolati, sulle labbra “rosse”, in una suggestione che la “vede” come una leonessa ( e il rilievo sui capelli ci fa pensare al ritratto della Melandroni).
Ecco alcuni versi dell’ epigramma 165[ii] ( che si trova nel testo citato in versione integrale latino-italiana):
“Una volta questo bel flagello assaliva Atene. Quella (Taide) quante stragi compì con le rosee guance! Quegli occhi che catturano, e feriscono, quella chioma che si muove attorno al collo e attorcigliata circonda il volto. Sempre gli occhi sembrano divorare e quindi e le labbra si arrossano per il sangue e veramente la selvaggia leonessa lambisce le sue vittime (…).
Torniamo a Maurizio Marini (2003) per cercare di capire meglio gli ultimi due quesiti che riguardano le affinità fra i caratteri fisici della Melandroni e le donne raffigurate in quadri di Caravaggio dipinti a Roma. Scrive lo studioso nella scheda dedicata a Ritratto di Cortigiana:
“il volto e la forte penetrazione dello sguardo pongono questa donna in stretta connessione con la Santa Caterina d’Alessandria e Giuditta e Oloferne”.
Si ritrovano delle somiglianze tra il volto e soprattutto lo sguardo della Melandroni con le donne raffigurate nei dipinti citati e anche in Marta e Maddalena (esposto a Detroit) e ne La deposizione (Pinacoteca Vaticana) dove il volto della “cortigiana” sembrerebbe ripetersi nella “Maddalena” e nella “Maria di Cleofa”.
Anche Carla Cerati nel saggio Volti e corpi di Caravaggio. La natura dei modelli , in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero (a cura di M.Sivo e O. Verdi, Roma, Archivio di Stato di Roma, 11 febbraio-15 maggio 2011) segnala che
“il volto della modella nelle tre opere Santa Caterina d’Alessandria, Marta e Maddalena, Giuditta e Oloferne, presenterebbe caratteristiche simili: il taglio degli occhi grandi e allungati, il naso con le narici alte, le labbra, l’inferiore carnoso e il superiore leggermente arricciato, la fossetta sul mento , l’orecchio con il lobo rotondo staccato dal viso”.
Sono ipotesi, certo, ma davvero suggestive così come quelle alla base dell’ultimo interrogativo.
Fillide che ruolo ebbe nel duello della Pallacorda?
E’ fondato il coinvolgimento di Fillide nello scontro che vede la morte di Ranuccio Tomassoni con cui la Melandroni probabilmente intrattenne stretti rapporti e la fine della carriera artistica di Caravaggio a Roma e l’inizio del suo peregrinare?
Anche per l’ultimo cruciale quesito il Marini (2003) dà il via alla nostra riflessione quando scrive:
“Fillide oltre che in dimestichezza col suddetto Strozzi è anche l’amante del Tomassoni (…) da ciò parrebbe lecito intuire che lo scontro risalirebbe a una precedente tresca fra la Melandroni e il Caravaggio”.
Alcuni studiosi mettono in campo un altro movente dello scontro, legato a un presunto debito di gioco di Caravaggio nei confronti del Tomassoni, ma ci sarebbe anche un’altra spiegazione relativa a una donna che potrebbe aver innescato il duello e non è la Melandroni.
Si tratterebbe di Lavinia Giugoli, moglie di Tomassoni; al duello con Caravaggio, infatti, sono presenti anche i fratelli di Lavinia. Tommasoni avrebbe sfidato a duello Caravaggio perché quest’ultimo l’aveva disonorato. Il pittore avrebbe in qualche modo offeso la moglie di Tommasoni:
«C’era un’antica ostilità tra i due e Tommasoni volle che ad assistere al duello ci fossero anche suo fratello e suo cognato. Ciò dimostra che si trattava di una lite d’onore».
Graham Dixon (Cfr.Caravaggio. Vita sacra e profana, Mondadori 2010) accenna a un comportamento adulterino della Giugoli gettato in faccia a Tomassoni dal Caravaggio, ma non si hanno fonti certe in merito.
Don Sandro Corradini tuttavia ribadisce tale ipotesi di uno scontro per un’offesa verbale di Caravaggio in riferimento a Lavinia (Cfr., “L’incidente della Pallacorda: un omicidio ‘preterintenzionale’ ? Nuova luce sulla rissa tra Caravaggio e Ranuccio Tomassoni, in Una vita per la storia dell’arte. Scritti in memoria di Maurizio Marini, a cura di P. di Loreto, Etgraphiae, Roma-Foligno, 2015, pp.123-133), suffragandola con alcuni documenti che riguardano le decisioni assunte da Lavinia Giugoli subito dopo la morte del marito Ranuccio. La vedova otto giorni dopo cerca un tutore per la piccola figlia Plautilla dichiarando di non poterne avere cura e di stare per contrarre nuove nozze.
Scagionata Fillide (forse) dalla colpevolezza di un regolamento di conti finito male vogliamo concludere questa breve riflessione tornando all’opera del frate teatino Silos che nella sua Antologia poetica inserisce un epigramma sul grande dipinto La Deposizione, l’unica opera di Caravaggio lodata da tutti persino dal Baglione, esposta nella Chiesa dei Padri Oratoriani, in cui Fillide Melandroni potrebbe aver dato il volto non a una ma a due donne….
Il corpo del Redentore portato al sepolcro, di Michele Caravaggio nella Chiesa dei Padri dell’Oratorio. EPIGR. LII[iii]
Vedi andare verso il pegno d’amore degno di pietà del sepolcro del Signore esanime, pegno eterno e degno di pianti./Dopo la rabbia degli uomini, dopo le ferite del duro ferro/lo accolgono i freddi sassi nell’aspra cavità/Così desideroso e così senza dubbio fu assetato di dolori che anche se morto rimase quella sete./Ma tu, chiunque sia, guardi che mentre un Dio degno di compianto viene seppellito /E risolve la sciagura accanto a Dio/Non credere che sia morto; Così il pittore esprime la sua arte cosicchè l’esanime (Gesù) tu già ritieni risorto.(traduzione A.STANCANELLI)
Fillide Melandroni, dunque, allo stato attuale degli studi, fu l’unica cortigiana che ebbe un rapporto documentato con Caravaggio per il quale posò per il suo ritratto, e tenne il dipinto presso di sé fino alla morte. Fillide -Taide resta famosa così nella storia e nella storia dell’arte.
Poiché quest’anno corre l’anniversario dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri si conclude la breve riflessione con una suggestione, avvicinando il grande pittore al Sommo poeta e alla sua Commedia, che proviene da un componimento poetico di Marzio Milesi il quale aveva espresso il suo entusiasmo per la pittura del Caravaggio e aveva rivolto a tutti un appello, costruendo l’incipit di un’ottava sul verso dantesco di Inf., IV, 80 («Onorate l’altissimo poeta»), con il quale uno dei poeti del Limbo saluta Virgilio esprimendo il sentimento di tutti:
“Ammirate l’altissimo Pittore,/ ch’a quanti pria ne furo passa avanti (…)”[iv]
Annalisa STANCANELLI Siracusa 10 gennaio 2021
NOTE