L’ “Altra Europa” alla ricerca di un riconoscimento; si sposterà all’Est il mercato artistico ?

di Giulia CARUSO

Giulia Caruso, molisana di nascita romana d’adozione, si è laureata alla Sapienza Università di Roma con una tesi su Ruth Wolf-Rehfeldt, artista tedesca dedita alla poesia concreta e alla mail art sotto la DDR, con un focus sul suo giovane archivio e il suo lancio nel mercato ad opera della galleria ChertLüdde di Berlino. Con un forte interesse per il mercato dell’arte, è attualmente interessata alle ricerche artistiche e alle logiche di mercato nei Paesi appartenenti all’ex Unione Sovietica. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art.

La caduta del muro di Berlino (1989), con la conseguente implosione del comunismo sovietico (1991), è stato l’evento storico che si è imposto come spartiacque del mondo contemporaneo: l’abbattimento del muro divenne infatti simbolo del crollo di tutto l’ordine comunista che portò a un’accelerazione imprevista della storia, che in pochi mesi rivoluzionò equilibri e schieramenti che fino a quel momento sembravano immodificabili. Ha simboleggiato l’inizio di una rivoluzione nell’Est Europa che di fatto ha invalidato una prospettiva politica e culturale che durava da quasi mezzo secolo, o forse di più, costringendo in qualche modo a una riconsiderazione dell’Europa nel suo insieme all’interno di una geografia globale.

Fino a quel momento c’erano state infatti due Europe, come due vicini di casa separati da una siepe spinosa, alta e invalicabile, passata alla storia grazie a Winston Churchill come Cortina di Ferro, un muro reale e al tempo stesso metaforico che rendeva chiare le disparità economiche nei due fronti, il benessere dell’ovest si opponeva alla povertà dell’est. Tali disparità vanno osservate e studiate all’interno di un complesso sistema di pregiudizi culturali che purtroppo ancora separa le due Europe. La Cortina di Ferro non esiste più da trent’anni, eppure la sua ombra permane, perché nei fatti il concetto di Est Europa resiste al tempo trascorso. Ciò non è dovuto solamente a una mentalità retrograda o a strutture intellettuali vecchie di mezzo secolo lente a disfarsi, bisogna tener presente che l’idea di Est Europa è molto più antica della Guerra Fredda.

Lo studioso Larry Wolff, nel suo libro Inventing Eastern Europe, sostiene infatti che l’Europa dell’Est sia stata “inventata” nel diciottesimo secolo da filosofi e intellettuali viaggiatori dell’Illuminismo, creando una divisione del continente in due aree ideologiche e politiche opposte ma complementari. Gli intellettuali occidentali avevano disegnato e costruito l’immagine di un’Europa diversa, lontana, in cui l’arretratezza economica e persino le barbarie imperversavano, in contrapposizione alla loro società civile e illuminata dell’ovest. La Cortina di Ferro, quella linea di demarcazione che oggi è associata alle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale e agli accordi di Yalta[1], seguiva in realtà un confine già tracciato più di duecento anni prima, un’invenzione culturale dell’Età dei Lumi di auto-promozione da parte degli occidentali[2].

Czelaw Milosz

È così che è nata l’idea di Europa dell’Est, sopravvivendo secoli e rafforzandosi con l’avvento della Guerra Fredda che non ha fatto altro che legittimare e incrementare il divario economico e culturale tra le due aree. Parlare di Est Europa è quindi una semplicistica generalizzazione che ancora oggi appiattisce le differenze e le unicità regionali, è un concetto di natura politico-economica più che socio-culturale, che il premio Nobel per la letteratura Czeslaw Milosz ha preferito sostituire con la nozione di “altra Europa”, per sottolineare la marginalizzazione di una grande parte dell’Europa che doveva e deve tornare a far sentire la propria voce[3].

L’idea di un’Europa segnata da profonde differenze resiste allo scorrere del tempo, è ancora molto attuale, nonostante il dibattito intellettuale si stia concentrando ormai da diversi anni sulle modalità per ripensare e divulgare l’idea di una nuova e unica Europa alla luce di obiettivi economici e culturali comuni. Tali differenze emergono anche nell’ecosistema artistico, da sempre caratterizzato da equilibri precari, eppure tanti sono gli studiosi e i critici che promuovono oggi una più accurata conoscenza delle ricerche artistiche sviluppatesi in quei territori che per anni sono stati a est del muro di Berlino, nel tentativo di conciliare accademia e mercato.

Piotr Piotrowski

Lo storico dell’arte polacco Piotr Piotrowski (1952-2015), scomparso all’età di 63 anni, è tra i pionieri negli studi di storia dell’arte sull’Europa centro-orientale. Era un insegnante, non solo per i suoi studenti, ma per tutti coloro che hanno letto le sue pubblicazioni e che hanno compreso il suo obiettivo: sovvertire la geografia tradizionale della storia dell’arte, in favore di un approccio longitudinale ed egualitario in grado di contribuire allo sviluppo di una vera storia dell’arte globale, in cui l’arte dell’Est Europa possa colloquiare con quella occidentale da pari a pari.

Piotrowski nei suoi scritti fa notare come per troppo tempo l’ovest sia stato considerato come modello artistico da cui l’Est potesse solo attingere, e tale convinzione purtroppo ha cercato e trovato validità nelle fuorvianti similarità delle pratiche artistiche, che vanno invece considerante alla luce di scambi e connessioni transnazionali e di simultaneità di idee[4]. Il risultato più evidente dell’eurocentrismo occidentale è che anche il mondo artistico, come quello economico e politico, ad oggi è diviso in tre zone in conseguenza alla condizione coloniale creata dalla modernità e alla successiva globalizzazione esplosa sul finire del XX secolo.

Si parla di Primo Mondo in riferimento alle nazioni dell’Europa occidentale, al Nord America e a tutti i Paesi industrializzati; il Secondo Mondo abbraccia invece l’ex Unione Sovietica e tutte le società comuniste che gravitavano intorno ad essa; infine il Terzo Mondo si identifica con tutti gli altri stati, scarsamente industrializzati e accoglie la maggior parte della popolazione mondiale, non bianca, divisa da grandi disuguaglianze economiche. Nonostante i progressi compiuti verso un mondo dell’arte globale, le realtà nazionali, con annessi barriere economiche e pregiudizi culturali, sono ancora molto forti e, a livello di mercato, la gerarchia geo-politica centro-periferia è ben radicata.

Tale gerarchia è ben evidente nell’organizzazione interna delle case d’asta, in modo particolare delle più influenti a livello mondiale, Sotheby’s e Christie’s. Entrambe contano decine di dipartimenti, ognuno dedicato a una categoria di collectibles. Tale suddivisione settoriale garantisce efficienza organizzativa ma anche un netto divario tra i vari compartimenti, in termini di prezzi di vendita e visibilità. Restringendo l’osservazione ai reparti dedicati alle sole opere d’arte, il valore di un’opera sarà sicuramente maggiore se questa verrà presentata durante un’asta serale (Evening Sale) e se l’artista che l’ha realizzata è inserito nelle categorie Impressionists and Modern Art e Post-War and Contemporay Art.

Ma che ruolo gioca l’Est Europa, l’Altra Europa, all’interno di queste dinamiche?

Avendo l’arte del centro e dell’Est Europa ancora poco seguito a livello mondiale, e mantenendo invece un mercato locale molto vivo, viene inserita in mostre e in aste in cui viene accentuato il carattere di differenza.

Un esempio è l’asta proposta da Sotheby’s il 30 novembre 2016 a Londra dal titolo 20th Century Art – A Different Perspective [5], in cui sono stati proposti artisti da vari Paesi dell’Europa centro-orientale, con un forte seguito regionale ma non ancora affermati a livello globale, con particolare attenzione verso la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ungheria. Ha avuto un discreto successo per cui viene riproposta regolarmente. Nello stesso anno, il 7 giugno a Londra, sempre Sotheby’s aveva proposto la prima asta dedicata esclusivamente all’arte dell’Europa centro-orientale dal titolo Contemporary East, sotto la guida di Jo Vickery, Senior Director e International Director del Dipartimento di Arte Russa di Sotheby’s Londra, raggiungendo un totale di vendite di un milione e trecentomila sterline circa[6].

In un’intervista per Huffpost la Vickery evidenzia l’interesse di Sotheby’s verso l’arte dell’Est Europa già dal 2013, quando ha iniziato a dedicare aste all’arte caucasica accanto a quella russa e a inserire artisti dell’est in specifiche aste e rassegne espositive. È sicuramente un grande traguardo per l’arte delle regioni est-europee avere un riconoscimento pubblico di esistenza autonoma rispetto all’ex Unione Sovietica, poiché è stata troppo spesso associata esclusivamente alla Russia e ai suoi artisti, da una parte per mancata conoscenza delle tante realtà regionali uniche, dall’altra perché l’occidente se guarda ad est, ancora oggi, tende ad appiattire le unicità e a raggruppare nazioni e singolarità sotto le etichette di “blocco sovietico” e di “paesi satelliti”. Non a caso la Vickery paragona quest’incremento d’interesse per l’arte dell’Est Europa da parte di Londra a quello di New York per l’arte dell’America Latina che ha portato il mercato secondario nord-americano a realizzare aste dedicate esclusivamente all’arte dei Paesi sud americani[7].

Sorge spontaneo chiedersi se è questa un’ulteriore forma di alienazione dei confronti dell’Est Europa e del Sud America, marginalizzati anche nel mercato secondario delle aste, oppure se tale situazione è da intendersi come un passaggio fondamentale per ottenere maggiori riconoscimenti futuri nel mercato artistico globale. Analizzando la situazione alla luce degli studi post-coloniali e della critica al sapere tradizionale, la nuova condizione d’interesse per l’Est Europa anche da parte del mercato artistico potrebbe consentire l’apertura di nuovi orizzonti per lo studio e la comprensione della cultura dell’Altra Europa sviluppatasi in contesti politici illiberali, nelle sue varie sfaccettature.

L’accentuazione del carattere di differenza in queste aste dedicate a una determinata regione, come quella sud americana o est-europea, può essere vista in chiave positiva come possibilità di avvicinamento e spostamento di confini, ponendo l’attenzione sul carattere di differenza come condizione irriducibile di identità. Identità intesa non come qualcosa di dato alla nascita in base al luogo di nascita e alla cultura di provenienza, identità intesa invece come relazione con l’altro, con l’occidente in questo caso, con la speranza che in un prossimo futuro le storie che un artista cresciuto in territori ai margini ha da raccontare possano essere ascoltate senza pregiudizi dalla critica e dal mercato.

Giulia CARUSO   Roma 7 febbraio 2021

NOTE

[1] La conferenza di Yalta è stato un vertice politico tenutosi il 2 febbraio del 1945 in Crimea tra i tre Capi di Stato dei principali Paesi Alleati, Churchill (UK), Roosevelt (USA) e Stalin (URSS), in un momento della guerra favorevole alla Russia. Gli accordi che ne derivarono decretarono il destino del conflitto e il futuro dell’Est Europa e della divisione in blocchi d’influenza del continente europeo, nonché l’istituzione dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite).
[2] Cfr. Wolff L., Inventing Eastern Europe. The Map of Civilization on the Mind of the Enlightenment, Stanford Univeristy Press, Redwood city, 1994, pp. 1- 5.
[3] Per un approfondimento vedi Czeslaw Milosz, La mia Europa, Adelphi, Milano, 1985 (trad.italiana). Milosz (1911-2004) è stato un poeta e saggista che nel 1980 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura per aver raccontato la condizione dell’uomo senza compromessi in un mondo pieno di conflitti. Ha vissuto in prima persona l’alienazione che la logica dei blocchi ha causato agli abitanti dei territori dell’est: nato in una cittadina oggi in Lituania ma all’epoca appartenente all’impero Russo, ha studiato a Vilnius oggi in Lituania e allora in Polonia, lavorò poi molto in Polonia scrivendo per la stampa clandestina di Varsavia durante la guerra.
[4] Cfr. Bazin J., Dubourg Glatigny P., Piotrowski P. (a cura di), Art Beyond Borders. Artistic Exchange in Communist Europe (1945-1989), Central European University Press, Budapest, 2016, p. 5.
[5] Per maggiori informazioni sull’asta 20th Century Art – A Different Perspective vedi sito web Sotheby’s alla pagina: https://www.sothebys.com/en/auctions/2016/20th-century-art-l16103.html
[6] Per maggiori informazioni sull’asta Contemporay East vedi sito web Sotheby’s alla pagina: https://www.sothebys.com/en/auctions/2016/contemporary-east-l16117.html
[7] Cfr. Lopez Calderon J., Can Central and Eastern Europe be United? Yes, Sotheby’s Knows How, in «Huffpost», 6 dicembre 2017.