di Nica FIORI
POMPEI 79 d.C. Una storia romana
Chissà se Mozart nel suo viaggio a Pompei, dal cui Iseo trasse ispirazione per Die Zauberflöte (Il Flauto magico), ebbe modo di vedere quell’affresco con una figura umana ingabbiata e con una grande civetta sulla gabbia, che a me ha fatto venire in mente il personaggio di Papageno, il buffo uccellatore cui viene messo un lucchetto in bocca.
L’affresco pompeiano, riprodotto nel Colosseo nella mostra “Pompei 79 d.C. Una storia romana”, rappresenta una scena di vita quotidiana ambientata in una fullonica (tintoria-lavanderia). L’operazione che l’operaio con la gabbia si accinge a compiere dovrebbe essere una fumigazione con zolfo, praticata per rendere le stoffe più bianche. La presenza della civetta allude ad Atena, in quanto protettrice dell’arte dei lanaioli, e in generale di tutti gli artigiani (foto 1).
Come si legge nella didascalia, l’affresco originale si trova nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) e risale al 49-75 d.C. Rientra, insieme ad altri affreschi, tra cui quello con Processione di falegnami (I sec. d.C.) e quello con Lari e serpenti (55-79 d.C. ), tra quelli della cosiddetta “arte plebea”, così chiamata in relazione agli strati sociali cui viene ricondotta. È un’arte che si discosta dalla tradizione naturalistica classica, perché favorisce la ricerca di un linguaggio più semplice e diretto, a scapito della resa illusionistica della realtà (foto 2 e 3).
Ma, ovviamente, in mostra possiamo farci un’idea dello sviluppo della pittura con i suoi quattro stili, della statuaria, del lusso, dei costumi, della religione, dei commerci, dei corredi funerari, seguendo un percorso cronologico che va dalla fine del IV secolo a.C. al drammatico momento dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
L’esposizione è stata curata dal grande archeologo Mario Torelli, prima della sua scomparsa avvenuta il 15 settembre 2020; è promossa dal Parco archeologico del Colosseo, diretto da Alfonsina Russo, con la collaborazione del Parco archeologico di Pompei e del MANN. Sono circa 100 le opere selezionate per dare un’idea del rapporto fra le due città nel corso di una lunga storia, facendo emergere il progressivo allineamento culturale di Pompei alle linee guida di Roma, prima come alleata e poi come colonia romana.
Le due città antiche non sono certo paragonabili come numero di abitanti e strutture funzionali, ma lo sono indubbiamente come fonte di conoscenza dell’epoca, tanto che Pompei, che paradossalmente ci ha restituito i suoi monumenti proprio a causa della sua distruzione, è il secondo sito in Italia per importanza archeologica, subito dopo Roma.
La mostra, che ci appare imperdibile per la bellezza dei reperti esposti, è allestita in modo suggestivo tra le arcate del II ordine del Colosseo.
Si apre con l’esposizione di una copia della celebre Tabula Peutingeriana, la lunga tavola relativa alla geografia dell’Italia antica, al di sopra della quale è collocata una carta temporale in italiano e in inglese. Vi sono evidenziati i vari avvenimenti storici, in rapporto allo sviluppo urbano e alla produzione artistica delle due città. Si inizia dal 310 a.C. quando la flotta romana di Publio Cornelio sbarca a Pompei e devasta il territorio sannitico di Nocera e di Pompei, ma i contadini ricacciano i saccheggiatori alle loro navi, infliggendo gravi perdite. Nel 308 a.C., dopo la sconfitta di Nocera, Pompei entra nella sfera d’influenza romana come città alleata (civitas foederata). Si assiste allora a una ridefinizione del tracciato viario orientato sulle porte delle mura cittadine. Si prosegue con la ridecorazione del Tempio Dorico, con la prima fase delle Terme Stabiane e con le prime case ad atrio della élite locale.
Tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. vengono ricostruiti gli antichi templi sannitici di Apollo e di Giove secondo il nuovo gusto ellenistico, e si assiste a un progressivo sviluppo della città. Nella seconda metà del II secolo a.C. si prosegue con la monumentalizzazione del Foro Triangolare, la costruzione delle Terme Repubblicane, la terza fase delle Terme Stabiane, la costruzione delle più importanti domus aristocratiche, l’erezione dei templi di Iside e di Esculapio. Da quest’ultimo proviene la monumentale statua in terracotta del dio della medicina, la cui identificazione risale al padre della storia dell’arte antica Winckelmann (foto 4).
Altri pezzi strepitosi di questo periodo sono il busto in bronzo della Diana saettante rinvenuto nel Tempio di Apollo e il mosaico dalla Casa del Fauno, realizzato con tessere tanto piccole da far pensare all’opera di mosaicisti provenienti da Alessandria d’Egitto. Rappresenta una scena con Fauna marina, racchiusa da una cornice con motivi vegetali e amorini.
Come ha dichiarato Alfonsina Russo, per Pompei il secolo d’oro è proprio
“il II secolo a.C., quando Roma si apre ai commerci marittimi e arriva fino alla penisola Iberica, da una parte, e all’Egeo e alla Grecia, dall’altra, importando oggetti, ma anche saperi, maestranze e tecnologie”.
Grazie al suo porto, Pompei è coinvolta nella progressiva crescita di una rete commerciale sempre più legata alla navigazione a lunga distanza, tanto che famiglie di mercanti pompeiani e campani sono attestate nei principali scali del Mediterraneo e perfino nel deserto nubiano e nel Mar Rosso.
A testimoniare l’ampiezza delle relazioni internazionali c’è in mostra anche una statuetta indiana in avorio della dea Lakshmi (la sposa di Visnù), ritrovata in una domus pompeiana, appartenente probabilmente a una famiglia di impresari navali. Data la nudità della dea, questa meraviglia esotica fu relegata inizialmente nel Gabinetto segreto del Museo archeologico di Napoli, insieme ai reperti giudicati “pornografici” (foto 5).
Intorno al 120 a.C. si ha la massima fioritura del cosiddetto I stile, ovvero una pittura decorativa che imita, utilizzando in alcuni casi anche elementi a rilievo in stucco, il rivestimento delle pareti in opera quadrata o con lastre di marmo.
Un momento critico per Pompei è quello dell’assedio da parte di Silla, durante la guerra sociale tra Roma e i suoi vecchi alleati italici (91-89 a.C.), quando le mura e le abitazioni nelle loro vicinanze vengono danneggiate. È forse nell’89 a.C. che Pompei diventa municipium, in seguito alla concessione della cittadinanza romana alle città alleate, che passano dalla lingua osca a quella latina, e nell’80 a.C. Silla fonda una colonia di suoi veterani ribattezzata Cornelia Veneria Pompeianorum.
Il nome fa riferimento sia a Lucio Cornelio Silla, sia alla Venere pompeiana, considerata la protettrice dei naviganti e ricordata in mostra da una statua in terracotta del II-I sec. a.C., proveniente dal santuario di Fondo Iozzino (Pompei, Parco archeologico) (foto 6).
Proviene invece da Ostia la statua in terracotta di una divinità in trono (I-II secolo d.C.), che ha una qualche affinità con quella di Venere, per via della trasparenza della veste, ma probabilmente si tratta di Iside-Fortuna.
In mostra troviamo anche la testa di principessa tolemaica (forse Cleopatra) raffigurata come Iside (I sec. a.C., Centrale Montemartini), ad attestare il culto di questa divinità egiziana, che viene importata nel mondo romano ancora prima della conquista dell’Egitto (foto 7 e 8).
Al tempo del conflitto tra Antonio e Ottaviano, tra il 40 e il 31 a.C., a Pompei fiorisce il II stile (casa delle Nozze d’argento), detto anche “architettonico”. Rispetto al I stile, l’innovazione è data dall’effetto di trompe-l’oeil che si crea sulle pareti, dipingendo in primo piano podi con finti colonnati, edicole e porte che si aprono a vedute prospettiche. La successiva età di Augusto, Pater patriae, vede a Pompei la scomparsa delle principali famiglie del primo periodo coloniale e la nascita di una nuova élite locale legata alla famiglia imperiale. Tra questi personaggi altolocati troviamo Eumachia, raffigurata in una grande statua marmorea, proveniente da un edificio pubblico accanto al Foro pompeiano, da lei commissionato per il culto di Livia, la moglie di Augusto. Eumachia fu tra i maggiori benefattori della sua città, ricevendo in cambio onori e il privilegio di avere il più grande monumento sepolcrale (foto 9).
Molto in vista nella Pompei augustea doveva essere anche Marcus Holconius Rufus, la cui statua loricata, in marmo, è stata rinvenuta in via dell’Abbondanza (foto 10). Egli, insieme al fratello Celer, aveva finanziato il restauro del teatro cittadino. Un’altra statua dello stesso periodo è quella togata di Marcus Tullius, proveniente dalla cella del tempio della Fortuna Augusta.
Nell’età augustea e tiberiana comincia ad apparire il III stile, detto “ornamentale”. In esso viene ribaltata la prospettiva e la tridimensionalità caratteristiche dello stile precedente, lasciando il posto a strutture piatte con campiture monocrome scure, assimilabili a tendaggi e tappezzerie, al centro delle quali sono dipinti a tinte chiare piccoli pannelli raffiguranti scene di vario genere. Tipici sono gli ornamenti con candelabri, figure alate, tralci vegetali. Al 20-10 a.C. risale l’affresco monocromo verde, da Portici (villa presso la Reale Scuderia, ora al MANN).
Provengono invece dalla casa di Augusto a Roma i frammenti di pittura di III stile, tra cui quelli con una figura egittizzante e una sfinge. Relativo all’area del complesso della casa di Augusto è la lastra fittile policroma (copia in gesso, Museo del Palatino) con fanciulle che ornano un betilo, simbolo di Apollo (foto 11).
Fanno pure riferimento a Roma i raffinati decori (databili al I secolo d.C.) della domus rinvenuta nel 2000 al Gianicolo, tra capitelli piatti e preziosi marmi color rosso e giallo antico, a testimoniare, come afferma Alfonsina Russo, “come Roma sia arrivata a dipingere con il marmo”. La Venere Charis e i capitelli con i delfini che troviamo in mostra fanno supporre che facessero probabilmente parte di un ninfeo della ricca abitazione del Gianicolo.
Il IV stile comincia con il regno di Caligola e prosegue con quelli di Claudio e di Nerone: è detto dell’illusionismo prospettico per l’inserimento di architetture fantastiche e di grande effetto scenico, che si aggiungono alle precedenti ornamentazioni tipiche del II e del III stile. Gran parte delle ville pompeiane furono decorate con pitture in questo stile dopo la ricostruzione della città a seguito del disastroso terremoto del 62 d.C. che provocò ingenti danni e che è ricordato in mostra dal calco di un rilievo della Casa di Lucio Cecilio Giocondo (Museo della Civiltà Romana), che riproduce il terremoto nel Foro (foto 12).
Quanto a Cecilio Giocondo, possiamo ammirare un’erma marmorea con il suo ritratto in bronzo. Dello stesso periodo è la bellissima parete in stucco policromo (62-79 d.C.) dalla Casa di Meleagro (foto 13).
Al momento dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. la città di Pompei non aveva ancora terminato la sua ricostruzione, come dimostra il ritrovamento di numerosi ristoranti e alberghi per i manovali dei cantieri. I lavori dovevano andare a rilento, visto che nel 72 d.C da Roma decisero di inviare un commissario. In questa fase di declino socioeconomico, nella quale prevale l’arte plebea, si inquadra anche l’affresco che raffigura una rissa tra nocerini e pompeiani, scoppiata nel 59 d.C. nell’anfiteatro cittadino, che suscita ovvi confronti con la violenza da stadio dei nostri tempi (foto 14).
Nica FIORI Roma 14febbraio 2021
“Pompei 79 d.C. Una storia romana”
Roma Colosseo – Fino al 9 maggio 2021
Orario: da lunedì a venerdì: 10.30 – 16.30. Chiuso sabato e domenica fino a nuove disposizioni
Informazioni: http://www.parcocolosseo.it
Prevendita e visite guidate tel. 06-39967700 e http://www.coopculture.it