di Rita RANDOLFI
Un sogno trasformato in un’esplosione di colori, un sogno che è ispirazione e ricerca al contempo.
Questo è il filo rosso della mostra di Agostino de Romanis ospitata nel Museo di San Salvatore in Lauro a Roma, un’esposizione che abbraccia varie fasi della produzione dell’artista di Velletri, ma soprattutto che ne rivela la complessa cultura e personalità. L’indagine sulla vita, sulle emozioni, sui temi esistenziali, sulla natura si riflette nelle opere dell’artista, la cui sensibilità, plasmata da esperienze importanti, come la formazione da scenografo all’Accademia di Belle Arti, il viaggio in Indonesia, gli studi filosofici, la profonda fede cristiana sono comunicati con una straordinaria efficacia.
L’arte è bellezza, è la ricerca della bellezza e Grido di dolore (2015, fig.1) è un olio su carta rintelata in cui De Romanis denuncia quanto l’uomo può deturpare un ambiente perfetto come quello marino.
Contro questa violenza si scaglia il grido di dolore dei tre pesci, che inghiottono immondizia, trasformandola in un urlo di rabbia e ribellione, proprio come quello di Munch, o in un rivolo di sangue, simbolo di una vita e di un habitat oltraggiati. Le forme sinuose, semplificate e appiattite alla Matisse, e la cromia accattivante ma essenziale, basata solo sui blu e i verdi che contrastano con il rosso, conferiscono una forza incredibile all’opera, invito a salvaguardare il creato e la natura, un tema vagheggiato anche in Legami spezzati, (2015) dove alcuni piccioni, con un cartiglio arrotolato nel becco, il cui messaggio resta misterioso, sono improvvisamente separati da uno spazio centrale, forse a causa di un intervento umano che ha legato un filo attorno al loro collo, impedendone la libertà e quindi il legame che li teneva uniti. In basso la scritta 2015, non si sa se evocativa di un evento particolare che De Romanis ha voluto in qualche modo immortalare, o gioco di numeri, che rinvia a realtà altre.
Il pittore si scopre poeta e gioca con le immagini e le scritte in Fabula (2017), dove egli stesso fornisce la chiave di lettura dell’opera: «La Fabula è immaginazione, è trasgressione, è abisso e labirinto. La Fabula è sogno».
La fabula è il regno dell’invenzione, dove tutto è possibile. Le scritte ricorrono nei quadri che esaltano la maestosità degli alberi, dietro i quali come lo stesso pittore dichiara «cala lo schermo della vita» (fig. 2) o si combinano con i simboli dei numeri pitagorici, o della cabala o della Bibbia, con i quali cavalieri acrobati si divertono a giocare e a rincorrersi.
Nove piccole cupole (2017, fig. 3) invece racconta la bellezza di una città come Roma, capitale del cristianesimo, dove, come scrive il pittore stesso, abita «la verità, la bellezza, l’immagine che prepotentemente è salvata dalla memoria».
De Romanis si incanta di fronte alla maestosità della storia, dell’architettura del Cinquecento e Seicento, permeata della presenza del passaggio di santi, papi e artisti, che hanno reso Roma non solo immortale, ma un simbolo, il simbolo della cristianità nell’immaginario collettivo.
Questo senso del sacro emerge con prepotenza nelle opere dedicate alla Sicilia e all’Asia, dove il lavoro nei campi o nelle risaie, come già in Millet, condizionato dalla precarietà degli eventi atmosferici, conserva quel carattere religioso di affidamento totale a Dio, regista del creato, che santifica l’opera dell’uomo. La natura benigna, tuttavia, può rivelarsi matrigna in alcuni frangenti, come accade ad esempio in Tsunami del 2004 (fig. 5) ma il leopardiano sconforto non lascia che la disperazione prenda il sopravvento, bensì viene trasformato in una nuova dimensione, nella quale il legame d’amore tra i vivi e coloro che non ci sono più si fortifica e genera nuova vita. Nel dipinto il pittore mette in scena il dramma di un evento devastante, torna l’iconografia del Grido, ma morte e vita si sfiorano, e saranno le vittime, ridotte in pallidi fantasmi, ad infondere il coraggio nei superstiti, in un circolo di vitalità inesauribile, che si perde nelle note del blu del cielo e del mare, dei volti scuri e stravolti di chi combatte per sopravvivere ed in quelli emaciati, ma sereni, di chi continua la sua esistenza, ma sotto un’altra forma. Il tema degli affetti perduti, ma presenti, e della mano protettrice di Dio, che custodisce, salva, ristora, ricorre in molti dipinti dell’artista.
Colpisce il fatto che non venga mai rappresentato Gesù Salvatore, ma Dio stesso, Dio, percepito come il Padre buono che veglia sull’umanità, un Dio che si manifesta a chi lo sa riconoscere, come avviene ne L’ascolto, del 2008, dove l’uomo orientale, steso sull’erba si tura le orecchie per concentrarsi sulla sua anima, per scorgere la voce del suo creatore, che si palesa nella bellezza della sua interiorità e in quella della natura che lo circonda.
Un omaggio a Leopardi è sicuramente L’infinito (fig. 6), dove la siepe non impedisce al poeta, e di conseguenza al pittore, di librarsi sulle ali del pensiero, per naufragarvi dolcemente.
Il viaggio in Indonesia si rivela una tappa che segna profondamente la personalità del De Romanis, gli permette di approfondire argomenti a lui cari. In Cinture che bendano la vita del 2003 (fig. 7) è come se l’artista volesse fornire un’immagine evocativa dei tormenti che talvolta l’essere umano, in questo caso una donna, si infligge da sola; le schiavitù che si impone la rendono sorda e cieca di fronte agli altri, e la portano ad un isolamento, che ha il sapore di una folle perversione.
Viceversa il Volo verso il mondo felice (olio su cartone, fig. 8) del 2003 è il canto della libertà, che fa sognare mondi sconosciuti e affascinanti, ed evocare affetti cari, come si vede nel profilo abbozzato sullo sfondo.
Nel quadro l’inserimento di elementi materici, denuncia la ricerca di espressione da parte dell’artista che partendo dal liberty, ricordando le sperimentazioni di Klimt, e attraversando il cubismo sintetico, giunge a composizioni che rievocano i paesaggi incantati ed introspettivi di Gauguin, ma tutto è rivisitato con l’occhio del sognatore, un occhio che lo accomuna allo spirito libero di Chagall.
De Romanis si sperimenta anche con la scultura, e forse le opere che maggiormente raccontano la sua personalità sono le due intitolate Il rimpianto (figg. 9, 10). Il pittore parla di sé e dell’amore della sua vita, la compagna Angela, conosciuta in età matura. La scelta, inizialmente condivisa dalla coppia, di rinunciare ad un figlio, pesa ad entrambi come un macigno.
Ed Angela si accascia su se stessa, seduta sopra un pacco regalo, ornato con tanto di fiocco rosso, che a suo tempo non ha voluto scartare, tenendo nel palmo di una mano un neonato, quasi un feto, che guarda con tenerezza e disperazione. Si percepisce lo sguardo triste del pittore, che anche se fisicamente assente, dà l’impressione di voler abbracciare Angela e cullarla come una bambina, per lenire il suo dolore. Anche lei, nuda, assume quasi una posizione fetale, rannicchiata su se stessa.
Le forme, i colori, i numeri, le parole costituiscono la grammatica simbolica del mondo interiore di Agostino De Romanis, un pittore dotato di una notevole cultura, ma che non cade nella trappola del concettualismo elitario e intellettuale, piuttosto mette a nudo i suoi sentimenti, e con gli strumenti propri dell’arte, arriva dritto al cuore di chi si incanta davanti alle sue opere, in un dialogo intimo, silenzioso, in cui cuore, occhi, mente comunicano in totale armonia.
Per la mostra, che sarà visibile gratuitamente fino a marzo, sono state realizzate incisioni tratte da l’opera Il Bianco si nasconde
Realizzata nel 2020 raffigura i tre colori della bandiera nazionale italiana, che si stagliano contro un cielo solcato da nuvole, simboleggianti la crisi attuale. Tuttavia quattro colombe tentano di far volare ugualmente il tricolore. Ancora una volta De Romanis, inguaribile ottimista, regala un messaggio di speranza.
Rita RANDOLFI Roma 21 febbraio 2021
Dove: Nel complesso monumentale del Pio Sodalizio dei Piceni, Piazza San Salvatore in Lauro
Da Lunedì al venerdi dalle 10 – alle 13 e dalle 16 – alle 19 (sabato e domenica chiuso) Ingresso gratuito
Catalogo: Il Cigno Edizioni