di Carmen D’ANTONINO Storica e critico d’arte
Carmen D’Antonino ha conseguito la Laurea Magistrale in Storia dell’Arte Moderna (110 e lode) presso La Sapienza Università di Roma e un Master in Museografia, Museotecnica, Illuminotecnica ed allestimento di esposizioni museali presso “Art Gap” Roma (voto Eccellente). Frequenta il Master di II livello in “Attribuzioni d’arte, perizie e riconoscimento stilistico” presso la Galleria Art Gap di Roma. tra gli altri titoli vi sono Master presso Link Campus University, in Gestione e Management dei Beni Culturali (voto 110). 2016 Galleria “Art Gap”; gestione di rapporti istituzionali con Enti Pubblici, allestimento tecnico, organizzazione eventi, comunicazione e ufficio stampa, composizione testi critici.2019 “Galleria In Arte Werkkust” Bergamo; selezione artisti, curatela e composizione di testi critici. Dal 2015 Socia Associazione Memo Cantieri Culturali (regione Molise); didattica, visite guidate; Dal 2016 si occupa della direzione artistica Galleria Arte Petrecca (Isernia).
Quando parliamo del ruolo dell’arte nella storia dell’umanità, come sostiene Ernest Gombrich, è inevitabile chiedersi quale sia il ruolo dell’artista, perché non esiste una cosa chiamata arte, ma esistono gli artisti e le loro opere e, in un giudizio sull’arte, è imprescindibile l’esame del ruolo degli artisti e di cosa essi possano produrre.
In questo contesto è interessante analizzare come si sia evoluta l’iconografia della donna, nel suo percorso artistico, dall’antichità fino ad oggi, soffermandosi su pochi momenti storici simbolicamente significativi.
Nell’ iconografia antica, la donna era sempre associata alla fecondità e la sua conoscenza e vicinanza alla natura, contribuì a creare un mondo mistico attorno a lei. Si riteneva avesse un legame con le divinità e, per questo, era coinvolta nelle cerimonie rituali e religiose. Con le sue connotazioni fisiche, poi la donna iniziò a diventare soggetto della piccola statuarietà paleolitica. Tra i ritrovamenti ricordiamo la famosissima Venere di Willendorf, una statuetta di 11 cm d’altezza, scolpita in pietra calcarea e dipinta in ocra rossa(fig. 1).
L’opera, raffigurante un fisico femminile steatopigo è una delle più famose statuette paleolitiche. Un altro esempio canonico da ricordare è la Venere di Savignano (fig.2). Qui possiamo notare l’intento dell’ignoto autore di celebrare i tratti femminili che si associano alla maternità e alla fertilità. I Greci, invece si avvicinarono molto all’ideale di bellezza moderno e, a partire dal V secolo a.C si affermano i veri canoni estetici di bellezza. All’idea di bellezza i greci associano i concetti di grazia, misura e proporzione del corpo.
Pensiamo all’ Afrodite di Prassitele, la cui conoscenza ci è nota solo attraverso copie di epoca romana, completamente nuda, pronta per immergersi nell’acqua. Il gesto che compie rivela che è stata sorpresa da un osservatore, infatti con la mano destra si copre il pube mentre con la sinistra posa o afferra la veste da un’idria poggiata su una base. Secondo altri studiosi invece la Venere ha appena terminato il suo bagno.
La statua di Afrodite Cnidia è un nudo, cioè la rappresentazione artistica di un corpo femminile privo di abiti (fig.3). Secondo gli storici si tratta del primo prototipo di nudo femminile della scultura greca. In generale l’ideale del corpo femminile greco è costituito da bellezza, armonia e perfezione. Andando avanti nella trattazione stilistica della donna nella storia dell’arte è importante citare la donna etrusca poiché ha segnato in maniera indelebile l’evoluzione della donna nella storia antica (fig.4).
Nella vita domestica, la donna etrusca era una parte ponderante e la sua posizione sociale e politica era elevata rispetto alle altre civiltà. Nello stesso tempo le donne etrusche erano molto criticate dai Greci – Romani poiché banchettavano con gli uomini coricati sotto il loro mantello, per questo possiamo dedurre che la donna, per gli etruschi, godeva di maggiore libertà e considerazione rispetto ai greci.
Per quanto riguarda l’arte romana, il corpo ideale di donna era raffigurata con seni piccoli e fianchi larghi, i grandi seni erano derisi come umoristici o segno di vecchiaia. Nel periodo augusteo le donne erano idealizzate come carnose con seni arrotondati e addome pieno (fig.5).
Nell’ iconografia del Medioevo il ruolo della donna cambia e con l’avvento del Cristianesimo essa viene raffigurata nelle immagini sacre, identificata con il ruolo della Vergine Maria, che diventa protagonista dell’arte medievale. Tra gli innumerevoli dipinti del periodo da considerare, va citata la Madonna con il Bambino di Simone Martini. (fig. 6)
Nel Medioevo maturo, Tommaso d’Aquino ricordava che alla bellezza sono necessarie tre cose; la proporzione, l’integrità e la claritas, vale a dire la chiarezza e la luminosità[1].
Con l’avvento dell’Umanesimo e successivamente del Rinascimento, la donna non è più rappresentata solo in veste di Santa, ma si rinnova e si evolve in aspetti sempre più diversificati, venendo raffigurata in episodi di vita quotidiana o di natura mitologica. A tal proposito viene spontaneo citare due artisti fondamentali per questo periodo; Domenico Ghirlandaio con il ritratto di “Giovane Donna” (fig.7) e Sandro Botticelli con “l’Allegoria della Primavera” nella quale viene esaltatala la donna dalla bellezza soprasensibile che costituisce la vera natura della bellezza (fig.8).
La rappresentazione botticelliana non è l’esaltazione divina della donna, piuttosto è la forza motrice della natura umana vista nella sua dualità: sia come simbolo dell’amore fisico e sensuale, sia come amore per la filosofia, per l’intelletto e la conoscenza. Come dice Vasari: la realtà imita la natura senza esserne mero specchio, e riproduce nel particolare la Bellezza del tutto.
Verso la fine dell’Ottocento invece, la donna è ancora rinchiusa in schemi che la vedono angelica ed eterea come le donne romantiche dal lirismo soave di Dante Gabriel Rossetti ma anche tentatrice fonte di perdizione. Pensiamo ad Edvard Munch, il quale esprime nelle sue opere il suo malessere nei confronti della figura femminile, concepita artisticamente in maniera negativa coma la femme fatale, che vuole divorare, attraverso la sua sensualità l’uomo (fig.9).
Anche Gustav Klimt sceglie di rappresentare le donne dei suoi quadri come donne fatali e pericolose per l’uomo, come si vede nelle due opere che hanno per protagonista la figura biblica di Giuditta, la donna che riuscì a decapitare il generale Oloferne grazie al suo fascino sensuale. Simbolismi che trovano riscontro anche nella letteratura simbolista e decadente di Baudelaire, dove la donna è personificazione del “sogno di un altrove dove l’esistenza possa trascorrere serena e carica di promesse” (fig.10).
La donna artista per lungo tempo ha vagato in un oblio che ha inghiottito l’arte femminile senza alcuna differenziazione di epoche o luoghi. Solo a partire dagli anni sessanta del Novecento con l’inizio della contestazione femminile per il raggiungimento della parità dei diritti, anche nell’arte si è sviluppato un movimento di liberazione che è al centro della ricerca di molte artiste.
Studi ben precisi ne hanno riportato alla memoria numerose: da Artemisia Gentileschi fino a Margaret Keane, piuttosto che a Frida Kahlo. Nelle arti visive, in un’epoca in continua evoluzione, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio germogliare della figura femminile.
Esempio cardine è l’opera di Giacomo Balla che rappresenta, il volto di sua moglie Elisa, ritratta mentre si volta per guardare qualcosa o qualcuno dietro di sé. Il senso di tutto il dipinto è racchiuso nello sguardo della donna che si trasforma da oggetto da ammirare e in cui emerge la vera essenza della donna nell’arte, corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione (fig. 11). E’ una donna curiosa che inizia ad interrogarsi sulla propria identità cercando di rompere quel modello che la vuole rinchiusa nell’ intimità delle mura domestiche[2].
Il Novecento scardina non solo il tradizionale modo di vedere la donna ma, soprattutto, a seguito delle teorie freudiane anche la tradizionale posizione nella famiglia che ne segna il luogo di inclinazioni, di turbamenti e di discordie.
Analizzando la donna nel XXI secolo vorrei soffermarmi su un artista contemporanea che studia in modo meticoloso la donna nei suoi vari aspetti riprendendo in essa sia la parte antica con una rivisitazione del tutto moderna, sia lo studio psicologico, avvicinandosi in modo particolare alla leggerezza dell’“En plein air” e alla vivacità contemporanea della pop – art.
Si tratta di Carla Ann di Nunzio, artista ed educatrice canadese e ambasciatrice delle arti visive. E’ unanimemente considerata un’artista poliedrica per l’utilizzo che fa dei materiali, che vanno dalla resina, al colore ad olio, al pastello, alla cera fredda. La sua formazione artistica è piuttosto vasta, tanto da portarla a sperimentare nuove forme e ad utilizzare nuovi pigmenti e nuovi supporti che evidenziano in modo affascinante la sua cultura.
Ella pone tutte le sue esperienze e ricerche al servizio della sua arte. Studia l’arte come uno strumento per esporre tutta la sua conoscenza delle emozioni umane femminili. I suoi ritratti non sono un’immagine di se stessa ma sintetizzano l’essenza femminile, che si sublima in arte ed emozioni. Carla considera la pittura come un dono della vita per comprendere al meglio la vera psicologia e complessità dell’umanità. Ha pensato di essere una pittrice astratta perché ama l’astratto.
La sua abilità è proprio quella di catturare l’espressione dell’essere umano, analizzandone la psicologia e la storia personale. Le sue opere sono volti femminili, donne raffinate avvolte di sguardi vigorosi e persuasivi, con piccoli tocchi di colore che determinano la costruzione della figura stessa. L’artista stessa afferma “catturare l’essenza di una donna è fondamentale” poichè è sempre stata una sostenitrice nella promozione delle pari opportunità per le donne artiste e combatte perché sempre di più le artiste femminili siano riconosciute con pari dignità rispetto agli uomini (figg. 12 -13).
Lesue opere cercano di guidarci alla comprensione della nostra importanza come individui e, per estensione, come gli altri contano nella nostra società. Nelle sue opere possiamo trovare uno spazio comune condiviso dove possiamo dialogare tra di noi su questioni più profonde senza alcun pregiudizio.
Come afferma la Dott.ssa Catherine McKernan dell’Università di Toronto:
“le emozioni giocano un ruolo fondamentale nel modo in cui viviamo la nostra vita, impegnandoci con gli altri giorno per giorno e prendendo le decisioni più opportune”.
Il suo lavoro vuole penetrare negli angoli nascosti della psiche collettiva, trasportando sulla tela una potente gamma di sensazioni emotive.
Carmen D’ANTONINO Roma 7 giugno 2023
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