di Marco VINETTI
Da tempo mi pongo costantemente il quesito del connubio tra musica e arte visiva, cercando di immaginare uno spazio di sovrapposizione, nonché di intermediazione, comune ad entrambi i segmenti.
L’esperienza maturata nella contemplazione di un dipinto, di una scultura o di una fotografia è tangibile, reale, inesorabilmente legata alla delimitazione percettiva di concretezza. La musica al contrario tocca corde differenti, maggiormente slegate ai sensi che mettiamo in campo per la decifrazione dell’arte sinteticamente definita, appunto, come visiva. Nella semplicistica ed estrema ratio: il dipinto c’è, la musica no. Il dipinto appare consistente, la musica no. Assioma sin troppo elementare, che permette tuttavia un’empirica demarcazione tra le due sfere sensoriali.
Ed è solo da questo “spazio zero”, questo nadir, che prende avvio la verifica che pone sullo stesso piano di analisi questi due così eterogenei emisferi del creare. Cos’hanno dunque in comune Charles Ellsworth “Pee Wee” Russell e Andrè Masson, George Wettling e Georges Braque, Ivo Perelman e Juan Mirò, Bill Dixon e Valerio Adami. Diverse similitudini nel significato, ancora più profonde ed assonanti nel significante. Per passione osservo nella stessa misura con la quale mi accingo ad ascoltare. A maggior ragione, la contemporaneità è capace di generare stimoli inediti e proiezioni costruttive e futuribili. Il tempo trascorso (storia) ci aiuta a sintetizzare le corrispondenze tra Daniel Humair e Theo van Doesburg, ma come anticipavo, ad esempio, non permette immediata sintesi nel reale che successivamente si concretizza e ci circonda.
Due esperienze dell’oggi, personali e distinte, così diametralmente opposte ma così straordinariamente accumunate da un unico minimo comun denominatore. Due “storie”, per ormai abitudinaria definizione estorta dall’antropologia ed inoculata nei social. Chiara Bertelli “Elly” ed Iros Marpicati.
Entrambi di origine bresciana; fieramente camuna lei, di origine ghedese lui. Giovane interprete di talento cristallino nella musica Soul\Jazz lei (classe 1998), assodato esegeta di un rigore post costruttivista lui (classe 1933); in procinto di terminare la formazione musicale presso il Conservatorio Luca Marenzio di Brescia lei (sotto l’occhio vigile di Boris Savoldelli); proveniente dall’Accademia Carrara di Bergamo lui (nel solco dell’esperienza vissuta accanto ad Achille Funi nel pieno degli anni’50).
Un album in studio, di recentissima pubblicazione, dal titolo “Elly in Jazz” (il terzo nonostante la sua giovanissima età) lei; un’ultima strutturata antologica allestita al Mo.Ca. (Centro per le nuove Culture di Brescia) dopo l’antologica in Fondazione Stelline a Milano e la LVI Esposizione Internazionale d’Arte Visive – La Biennale di Venezia, lui. Ed è proprio dalla sovrapposizione di queste apparentemente non sovrapponibili personalità, che muovo lo spirito di osservazione verso la dimensione dell’innesto.
L’improvvisazione della struttura Jazz di Elly, pone le proprie solide fondamenta sulla conoscenza maniacale della tecnica e del virtuosismo di una voce mai alterata o modificata per compiacere il pubblico. Elly fluttua, con mai acerba maturità, tra le pieghe calde e sinuose di Eddie Jefferson, miscelando l’espressionismo sentimentale di Barbara Streisand. Rielabora – facendola propria – la leggera eufonia del grande Nat King Cole del brano “The Frim Fram Sauce”. Ma dove indubbiamente Elly emerge, è nella totale immersione creativa della completezza. Nella composizione fusa all’interpretazione. In “Piccoli dettagli” (scritto a quattro mani con Massimiliano Alessi) brillano le vocalità, i toni, gli accordi di chi (profeticamente) scrive di “un futuro addosso” nella vita, come in un rapporto consumato tra fiori e spine.
Le stesse spine che ritrovo in Iros Marpicati. Spine di ricerca, di sintesi, capaci volutamente di rendere un paesaggio inospite. Nelle sue ultime composizioni Marpicati destruttura la presenza umana, la annienta agli occhi della metafisica. Pone l’essere nella dimensione del non essere, trasformando le architetture in archeologie antropologiche riferendosi però alle strutture musicali sintetiche della composizione di Alban Berg. Sentiero precorso questo dalla volumetrica rappresentazione pre\spaziale, dove Gianni Dova e Roberto Crippa smontano la visione della linearità compositiva convenzionale (così come il Jazz festosamente nella musica).
Marpicati sublima la sintesi di interpreti come Gualtiero Nativi, riferendosi primariamente al diktat culturale e comunicativo di Atanasio Soldati e Mauro Reggiani. La sintesi matissiana (solo tecnicamente recepita e rielaborata) trova confronto e conforto in quella “Società degli uomini” descritta sadicamente da Neil LaBute, dove ribolle magmaticamente un’analisi misogina e machista riflessa sui luoghi di appartenenza.
Dove allora possono trovare sintesi questi due mondi, quello del calore di una giovane voce, o della calcolata ed ormai lasciva certezza del domani sintetizzata dalla pittura? Semplicemente nei cromatismi, nelle armonie, negli accordi e nelle tonalità. Lemmi che accarezzano entrambi i mondi, parole che si fondono in ambedue le esperienze. Perché non vi è alcuna differenza tra Elly e Iros. Nessun punto di disgiunzione. Entrambi percorrono il sentiero accompagnati da Kalliòpe, dove nella figurazione di una medaglia, possiamo su una faccia trovare l’estensione e nell’altra la narrazione.
Entrambi percorrono dunque accumunati una strada impervia ma unica. Quella della creatività, quella dell’Arte nel suo più alto significato così tristemente sordo alle orecchie della nostra società. Ed entrambi, forse inconsapevolmente, permettono l’evoluzione della crescita culturale del mondo che li ha ospitati, li ospita e continuerà ad ospitarli grazie a ciò che lasceranno nel loro lento ma costante incedere creativo.
Marco VINETTI Brescia 14 febbraio 2021
“Elly in Jazz”, in tutti i digital stores. “Iros Marpicati, inospiti”, Brescia Museo Mo.Ca. Fino al 28.02.2021.