di Veronica PIRACCINI
Novità su di un ricalco dal segreto del Velo di Manoppello, la Veronica e la Sindone di Torino
di Veronica PIRACCINI Docente di Pittura (Accademia di Belle Arti di Roma) Pittrice
In una splendente giornata di sole del 30 maggio nel 2014, mi recai in gita da Roma in Abruzzo, e precisamente nella cittadella di Manoppello per visitare e conoscere il suo misterioso Velo, che si trova nell’ attuale Basilica Minore del Volto Santo (fig. 1), ex santuario elevato a Basilica nel 2006 da papa Benedetto XVI, dopo che lo andò a visitare.
Avevo letto interessanti studi su questo strano oggetto velato, tanto per iniziare, la leggenda che lo fa apparire a Manoppello nel 1506, portato da uno sconosciuto viandante che lo lasciò in dono al notabile della cittadina, Giacomo Antonio Leonelli, perché si racconta, questi si trovava lì, alla chiesa di San Nicola.
La figlia del Leonelli, quando ereditò il Velo, lo conservò per molti anni ma poi lo vendette al dott. Antonio de Fabritiis, che volle farlo restaurare, per poi dargli nuova sistemazione presso i padri Cappuccini, dove padre Clemente da Castelvecchio purtroppo lo ritagliò in quanto era un formato più grande di ora, e lo fece restaurare dal frate Remigio da Rapino. La donazione avvenne nel 1638 ed è documentata dalla “Relazione Historica” di padre Donato di Bomba del 1646. Dobbiamo anche dire che, dal 1703, divenne sempre più il Volto Santo da venerare nel giorno della Trasfigurazione del Signore.
Oltre alla sua storia leggendaria, che ce lo fa pervenire attraverso l’ignoto personaggio misterioso di cui non sappiamo niente, ci sono anche tanti altri studi approfonditi di Padre P. Heinrich Pfeiffer. Secondo lo studioso il Volto Santo, oltre ad essere prezioso per le sue particolari caratteristiche acheropite, ha fatto un lungo percorso da Gerusalemme a Efeso, poi a Camulia in Cappadocia, e da questa a Costantinopoli, poi a Roma alla Cappella Sancta Sanctorum del Palazzo Lateranense, fino alla Cappella della Veronica in San Pietro in Vaticano, ed infine al Santuario di Manoppello. E secondo le ipotesi di alcuni, l’oggetto avrebbe cambiato nome nel tempo, da immagine Acheiropoietos di Camulia, a Prototypos, a Acheropita e Volto Santo della Cappella Santa Sanctorum, a Veronica - nome nato dalla parola latina Vera e la greca Icon (immagine) Vera Immagine, per nominazione della donna che accolse col suo fazzoletto l’immagine di Gesù quando gli asciugò il volto nella Via Crucis – e oggi inteso da alcuni come il Volto Santo di Manoppello.
Insomma, per i tanti appassionati, sembrerebbe che l’identità del Volto Santo di Manoppello (fig. 2) sia rapportabile alla Veronica romana (fig.3) ma, mi domando come potrebbe essere?
Sappiamo che a Roma in San Pietro c’è già conservata la reliquia, per il quale nella domenica della Passione avviene la sua stessa ostensione dalla balconata (fig. 4) vicino alla straordinaria opera d’arte del 1630-40 di Francesco Mochi (fig. 5) statua posta in uno dei nicchioni della crociera (fig 6 )
di fronte al baldacchino del Bernini, che raffigura la donna Veronica con in mano il fazzoletto impresso col Volto di Gesù (figg. 7-8). Della reliquia romana, la Veronica di San Pietro, ne parla Dante nella Divina Commedia: << Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l’antica fame non sen sazia, ma dice nel pensier, fin che si mostra: “Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vostra? >> (Paradiso, canto XXX, 1300); e Petrarca ne il Canzoniere opera creata a più riprese nel tempo dal 1337-75: << Movesi il vecchierel canuto et bianco / del dolce loco ov’à sua età fornita/…..rotto dagli anni , et cammina stanco/ et viene a Roma, seguendo ‘l desio / per mirar la sembianza di colui/ ch’ancor lassù nel ciel vedere spera/ così lasso, talor vo cerchand’ io/ donna, quando è possibile, in altrui/ la disiata vostra forma vera >>; ebbene su questo tema della Veronica, consiglio anche di leggere gli scrupolosi scritti di un nostro contemporaneo esperto dell’argomento, il fotografo e studioso Roberto Falcinelli che da molti anni se ne occupa e di cui cito questi due articoli “Der schleier der Veronica und das antlitz von Manoppello “ Neue untersuchungen und Erkenntnisse , Vienna 2015; “The face of Manoppello and the veil of Veronica: new studies” Convegno Proceedings of the International workshop on the Scientific approact to the Acheiropoietos Images, ENEA Frascati, Italia, 4-6 Maggio 2010.
Dobbiamo poi dire che il Velo di Manoppello è stato valorizzato e messo in evidenza da Padre Domenico da Cese, insieme a un’altra personalità che ha ereditato la documentazione costituendo il museo del Velo a Manoppello, e cioè l’attuale custode e studiosa suor Blandina, innamorata profondamente dell’immagine.
Ma c’è di più, alcuni altri addirittura, lo vorrebbero credere il vero Sudario posto sul Volto di Cristo nel sepolcro quasi a sostituire per importanza la Sindone, e altre ipotesi essere il Mandylion raccontato da “Storia Ecclesiastica” del 325 d. C., oppure essere il vero Velo della Veronica cosa che trovo improbabile essendo già presente in San Pietro, come anche le altre prime due ipotesi non riscontrabili per la mancanza di dati storici riferibili al Velo.
Vi anticipo che la mia riflessione sul Velo di Manoppello, si basa sul concetto sostanziale che, seppur non ci sono sui fili del telo materie visibili ad occhio nudo di pigmenti e leganti su imprimitura tipici della pittura, si individuano e osservano però delle forme proprio come dipinte, nitide nelle movenze dei capelli, barba e baffi, ma anche dagli occhi molto ben delineati e anche le labbra, solo il colore del viso è più sfumato e scaldato dalla tonalità più rosea delle gote (fig. 9).
Insomma la sensazione è quella di una pittura fatta per assorbenza con gusto nordico di epoca da definire.
E’ certamente un oggetto molto particolare, magico, che molto incuriosisce.
Intendo parlare di ciò che il Velo mi ha comunicato, di ciò che ho visto attraverso l’intuito e il mio occhio di pittrice, a prescindere dalla storia e dagli avvenimenti.
1) Il Velo di Manoppello (fig. 10) di formato cm 17 x 24, si trova posto in mezzo a due vetri avanti e dietro, tenuto in trasparenza e circondato da una cornice d’argento, protetto da un’ulteriore teca di vetro chiusa. È posto sull’altare (figg. 11-12) a fondo libero, perciò ci si può girare intorno, guardarlo fronte\retro salendo da una apposita doppia scala;
2) questo Velo è effettivamente molto particolare in quanto i suoi fili sono stati tessuti a trama larga ortogonale tipo garza, ma di consistenza appena maggiore seppur sottile, molto serica (fig. 13);
3) i fili sono traslucidi e dorati, sembrano trasparenti proprio come il Bisso marino che conosco molto bene, in quanto per parte di madre sono spesso a Taranto. Questa zona fin dall’antichità da quando era Magna Grecia, è il luogo di arcaica estrazione di Bisso Marino dalla speciale radichetta di un grande bivalve la Pinna Nobilis (fig. 14);
4) Il Bisso Marino, dunque, non è da confondere con il Lino di Bisso che viene così chiamato solo quando riceve una speciale lavorazione sia di filato che di tessuto sottile molto torto e lucido a mo’ di Bisso. La differenza è sostanziale, in quanto il Bisso Marino è un filo unico liscio, tipo capello per dire, cioè ogni fine radichetta che tiene salda la Pinna Nobilis al fondale marino, potremmo dire, è come la nostra testa e relativa chioma, e dunque si compone di molti filamenti, ma questi, quando vengono puliti e liberati dalle scorie, diventano come seta da venir tessuti meravigliosamente come gli antichi avevano maestria, e spesso tinti di porpora, per cui sono famosi i preziosi abiti che indossavano le menadi danzanti (fig. 15). Il lino di terra invece, che viene da una pianta a fibre liberiane, ha così sottilmente infinite e minuscole fibrille che, per essere filate devono venire unite insieme, e perciò il filo si compone di più fibrille;
5) si osserva che il Velo permette di vederci attraverso, tant’è che la luce ci passa dentro e la sensazione di trasparenza è data non solo dalla sottigliezza, ma anche dalla trama rada, e principalmente dalla consistenza dei particolari fili serici traslucidi;
6) il Velo, oltre a queste caratteristiche, ha di assolutamente importante, l’ immagine di un volto maschile dalle fattezze somatiche paragonabili al Cristo della Sindone.
Tale canone iconografico lo si trova elaborato nell’arte, fin dai primi secoli del Cristianesimo, come sappiamo dopo il 313 d. C. con l’editto di Milano promulgato dall’ Imperatore Costantino che attuò la libertà di culto, tant’è che molti studi che ho effettuato da pitture, sculture e numismatica rivelerebbero elementi ripetuti che potrebbero essere stati ispirati al Telo Sacro di Torino;
7) portai con me un disegno a traccia rossa su carta da lucido (fig. 16), che ricalcai da una foto a grandezza naturale della Sindone (figg. 17-18) nel 2012 quando dipinsi le “Sindoni”, cioè tre dipinti che si possono individuare in rete e su di un libretto “Il prodigioso dipinto” 2014, ed. Ponte Sisto,
e allora mi venne la curiosità di anteporlo al Velo (fig. 19) perché ero curiosa di vedere se coincideva. Ebbene devo dire che effettivamente si sovrappone in molti punti somatici, oltre ad essere il Volto della stessa grandezza di quello della Sindone. Ma bisogna dire che i volti, il più delle volte coincidono. Infatti i crani sono più che altro di tre tipi: cranio normale, piccolo, e macrocefalo da come si evince da statistiche anatomiche;
8) portai anche un altro foglio da lucido trasparente pulito, per ricalcare a traccia nera per contatto l’immagine del Velo di Manoppello da come si vede mentre disegno nelle tre foto in sequenza (fig. 20), per poi riportarlo a casa e metterlo direttamente sul Volto della Sindone come si vede dalle due foto in dritto (fig. 21) e poi verso cioè speculare (fig. 22),
e anche sul mio dipinto impercettibile “Dall’impronta di Gesù” in dritto (figg. 23-24)
e speculare (fig. 25) e capire meglio le coincidenze.
Queste forme abbastanza coincisero sia in un verso che nell’altro incredibilmente, anche se trovai più difficoltà sulla Sindone perchè è senza disegno solo sfumata senza contorno, elementi questi non presenti nel Volto di Manoppello che si evidenzia più delineato con i tratti. Coincisero pure i capelli sulla spalla più lunghi da un lato, l’accenno della ciocca sulla fronte che invece nella Sindone è rivolo di sangue, e l’asimmetria del volto dello zigomo gonfio, come anche il naso al setto nasale deviato segno di ferita;
9) il Velo di Manoppello, che è posto nei vetri, guardandolo in fronte\retro, risulta uguale da entrambi i lati, però molto vi influisce l’incidenza della luce che quasi gli fa cambiare espressione, colore e forme come si vede nelle tre foto in sequenza (fig. 26) risultando trasparente, sia per la trama larga che per la sottigliezza dei fili luminosi dorati che dal didentro infrangono la luce restituendola all’esterno;
10) dall’immagine del Volto sul Velo presente, sia ad occhio nudo che con lente (fig. 27) d’ingrandimento, non ho riscontrato colore di materia o grumi. Ma una cosa importantissima che ho notato è come, l’incidenza della luce sia naturale che artificiale, influisce sull’ immagine quasi da renderla dinamica, stimolo offerto anche dalla serificità e trasparenza dei fili di bisso marino dorati, la trama rada, la sottigliezza del tessuto, il chiaroscuro, le forme del volto e della capigliatura;
11) ma guardando attentamente, si scorgono sottili pennellate nella barba, bocca, denti e capelli (fig. 28) naso, occhi e sopracciglia (fig. 29), però penso vi chiederete: << se si riscontrano pennellate, allora perché non si individua presenza di materia colorata sopra i fili a spessore o a pellicola, più o meno evidenti?
12) la spiegazione è che il Velo di Manoppello, se anche fosse vera reliquia impressa d’immagine acheropita, potrebbe essere stata essa stessa rinfrescata e dunque nel tempo ridipinta con grande maestria, non con le tradizionali paste cromatiche, ma con pigmenti coloranti dalle proprietà tintorie, senza deposito, sia minerali che anche biologici di vegetali e animali. Su questi ultimi pigmenti pittorici vegetali e animali (non starò a parlare dei pigmenti minerali più conosciuti) mi voglio soffermare con alcuni dati, anche se questi colori non sono tutti presenti nel Velo, ma solo alcuni miscelati fra loro affianco a quelli minerali.
E’ bene dire che fin dall’arcaicità e antichità oltre a quelli minerali, dal regno vegetale e animale di terra e d’acqua sono molti i pigmenti organici disponibili in natura ottimi da usare in pittura, e tra i più famosi abbiamo l’Indaco un Violetto Lilla estratto dai fiori e foglie di piante del genere Indigofera Tinctoria, oppure dalle bacche di Sambuco una tinta più viola-nera; invece dalla pianta Isatis Tinctoria otteniamo per immersione in acqua bollente il pigmento detto Guado dalla tonalità che varia dall’Indaco all’Azzurro molto intenso e conosciutissimo fin dagli Egizi sino ai Celti, ma non presente nel Velo di Manoppello.
Sempre dai vegetali si estraggono altre tinte, come la storica e antichissima Lacca Robbia per la sua proprietà colorante di rosso-magenta-arancio-bruno anche scuro, gamma vasta di varianti che per alcune tonalità è detta Garanza o Alizarina o Geranio ed è un Rosso bellissimo tendente al ciclamino Magenta che si ottiene dalla famosa radice Rubia Tinctorum (termine latino ad indicare le proprietà tintorie); mentre dall’erba Reseda Luteola si ottiene un ottimo giallo usatissimo nel Medioevo; altri gialli vegetali da cartamo, curcuma, bucce di cipolla per bollitura, e ancora gialli dal pregiatissimo zafferano suoi pistilli profumati, e fiori di camomilla per infusione, oppure da Anthemis tinctoria per macerazione calore ed infusione. Ancora dai vegetali si ha il Rosso Verzino tonalità dall’Aranciato al Magenta, ricavato dalla polverizzazione della corteccia di leguminose brasiliane, e un’imitazione Porpora dalla feccia del vino rosso Primitivo.
Altri rossi si ottengono da piante come la Dracaena pigmento resinoso detto Sangue di Drago bellissimo per laccatura, e Rosso Chicca dalla pianta omonima. Un rosso speciale che potrebbe essere stato usato per le gote del Velo, il Cocciniglia parassita animale di piante spesso di agrumi. Abbiamo molti neri vegetali come il Nero Vite un puro pigmento organico naturale usato fin dall’antichità, ottenuto per combustione dei legni e anche per deposito su pareti la detta Fuliggine, oppure per calcinazione della feccia del vino. Di origine vegetale è anche il Nero fumo ricavato tramite la combustione incompleta di sostanze organiche ricche di carbone come legni resinati, resine, essenza di trementina, sostanze grasse vegetali o fuliggini dalle tonalità dette Bistro.
Di tinte di giallo- oro-bruno sino al verde abbiamo lo Stil de Grain, che quando chiaro e scuro si ottiene dalle bacche acerbe dello spincervino il Rhamnus cathartica, mentre il Verde vescica è di bacche di Pruno nero.
Altri pigmenti si estraggono da radici delle erbacee perenni come i carciofi, e altre piante con le loro foglioline quali il tè, o semi del caffè, oppure dalla frutta secca come la noce che produce dal suo mallo tinte scure cioè i tannini, e ancora simili i bruni da cortecce di quercia da bollire e mettere in infusione e macerare; poi da animali, altre tonalità somiglianti al bistro vegetale ma dai molluschi quali seppia e polpo dalle loro vescicole fortemente pigmentate, oppure la splendente Porpora da Murex pregiato rosso-viola intenso, pigmento che io stessa estraggo ancor oggi creando monocromi (figg. 30-31 ), simbolo d’incorruttibilità che potrebbe essere presente nel Velo di Manoppello nei rosati delle gote insieme al Cocciniglia, e anche i bruni vegetali;
13) questi pigmenti, usati in un certo modo, dunque solo liquidi, senza leganti tipici della pittura quali uovo, colle, resine, cere, ecc., essi tingono ma non creano spessore. Pensate alle stoffe colorate e decorate con l’arte tintoria sia di oggi create dall’industria, che in antichità epoca del Velo, quando venivano stesi a mano o assorbiti in bagni caldi con bollitura abbisognando di mordenti che dopo assorbenza li fissano. Un esempio tipico è quello del pigmento giallo dei fiori di camomilla, oppure del color rosso violaceo o anche ocra dell’ henné, erba per tintura di capelli, che sia se il pigmento è di tinture chimiche contemporanee sintetiche, o come le dette henné naturali, ebbene questi pigmenti entrando nel capello, con vari tempi di posa o calore o chimici, vi si assorbono nel fusto capillifero tingendolo senza lasciare materia, che infatti, la qual di più materia, viene tolta con il lavaggio e shampoo;
15) gli esempi appena detti, sono molto importanti per dire che, anche quando non c’ è materia, questo non vuole dire necessariamente che i fili di un tessuto non possano essere stati tinti e colorati;
16) per rispondere a chi afferma che il bisso marino non può essere tinto, dico che i greci lo tingevano di porpora come accennato al punto 4 per le preziose trasparenti e leggerissime vesti, e poi ci tessevano anche l’oro per i famosi abiti delle menadi greche, come anche più avanti nel tempo a decorare e valorizzare a protezione le reliquie;
17) a chi volesse sostenere che il velo di Manoppello possa sostituire la Sindone di Torino, oppure, essere il Velo della Veronica o il Mandylion, dico che il confronto non regge per tutte le osservazioni descritte, e per quelle che vado a concludere.
Tengo a dire che il Velo di Manoppello è un oggetto veramente straordinario che dobbiamo continuare a studiare e anche analizzare al microscopio. La gita nella cittadina abruzzese vale veramente la pena di realizzarla, in quanto c’è un bellissimo paesaggio, e la Basilica è un incanto. Di Manoppello è anche particolare il museo del Velo a esso dedicato, che documenta la storia, se pur con alcuni eccessi riguardo il confronto-sfida con la Sindone di Torino, aspetti che sono esageratamente forzati.
Ma quello che mi ha colpito ulteriormente, sono i tanti pellegrini che ho visto con i miei occhi giungere nella Basilica, e che vidi appoggiare oggetti ed immagini (fig.32) poi da venerare in quanto posti a contatto su questo bellissimo oggetto misterioso del Velo, campo di forte energia e di preghiera commuovente per l’avvicinamento che provoca: spesso le immagini sono il tramite della nostra forza spirituale che ci giunge da Dio. Si percepisce e sorprende, il tanto amore rivolto al Velo di Manoppello, sul quale in assoluta devozione i pellegrini mettono la foto, il fazzoletto, ecc., per acquisire queste cose sacralizzate, in quanto il contatto porterà con sé i poteri apotropaici. Ma da dove viene questa tradizione? Ebbene per come da tempo affermo, penso che ciò provenga dalla più sacra e vera reliquia, quella del corpo improntato impalpabile, ma potente di Cristo nella Sindone di Torino.
E visto che Dio fino a prova contraria, Egli Trinitario si è compiaciuto a sovraimprimersi nella Sindone di Torino, così da indicarci per riflesso in spirito e sostanza l’atto del contatto come verità, non possiamo far altro che prendere coscienza, credenti o no, dell’inequivocabile quale forza promanante della Sua a noi speculare esistenza.
Veronica PIRACCINI Roma 21 marzo 2021