La luscengola di Stefano Maderno da Bissone, scultore di Gran Fama. Un racconto breve

di Lev M. LOEWENTHAL

LUSCENGOLA DI STEFANO MADERNO DA  BISSONE, SCULTORE DI GRAN FAMA

D’un calesse lontano un’eco fuggevole. Passi celeri sul selciato e … la cecia (1) sul trabiccolo s‘è tosto freddata:

“Sfondrato, stramaledetto cardinal tignoso, ho guazza gelata sotto il coltrone!”.

Stipendiato da quel pitocco pittima del Cardinale Sfondrato, Stefano Maderno da Bissone, scultore, aveva il proprio giaciglio in una bettolaccia romana di letichini farisei, ai quali doveva lemosinare anche un poco di foco per incalorirsi il letto.

Luscengola [Chalcides chalcides (Linnaeus, 1758)

Mentre, la notte del 22 novembre 1599, il sonno prendeva a ravvolgerlo, con l’occhio ancora dischiuso egli intravvide un rettile sul tavolaccio, proprio tra il pane raffermo e la coltella da formaggio.

Una luscengola che s’avviticchiava su quel bronzato d’Ercole e Anteo, ch’egli aveva fatto per addestrarsi un poco nell’arte d’imitar gli antichi. E s’attorceva su d’una calìa donatagli come gran cosa dal suo Monsignor Mignatta.

Quel corpo selenico bislungo, ricoperto di squame sfolgoranti, luceva nella sorgente diafana d’un barlume di luna che entrava da una losanga della finestra e mandava tutt’attorno bagliori nella cameraccìa buia.

“Varda, varda come sguizza la saetta, che tronada malarbetta, varda i fìamm, varda lassù …”.

Per non rimanere folgorato, Stefano Maderno nascose il capo sotto le lenzuola fredde. Una musica d’organo e una melodia latina piovvero allora dal soffitto come da cantorìa. Una voce gutturale, appena velata, sottile, rìsuonava di leggeri innumerevoli accordi, come se riproducesse il timbro dei più svariati strumenti musicali antichi e moderni e ancora da costruirsi, e pareva che nessuna sua nota fosse stata mai catturata da alcun pentagramma. Come accompagnamento alle parole incomprensibili s’udiva il passaggio di venti lunari.

Il Maderno, scultore affamato, fece capolino da sotto il coltrone e risguardò:

“Il vino era annacquato: o sogno, o la follia della fame, in quest’eufonia, inizia a visitarmi!”.

La luscengola gli sorrideva con labbra umane e volto di fanciulla bionda, adorna d’un’aureola rilucente di fiamme vive, come d’Essenza eterna. Non umana, quel sorriso esprimeva una gioia, quasi una divina letizia.

Stefano Maderno, con un colpo di reni, si trovò in piedi, si precipitò sul tavolaccio, afferrò la coltella da formaggio e menò tre fendenti alla cieca contro quella luce d’astri. I venti lunari turbinarono e in un mulinello d’aria capricciosa si spensero i tanti accordi …

I passi sul selciato si fecero più vicini. Tutto, se mai era accaduto, doveva esser durato il tempo d’un baleno. Stefano Maderno da Bissone udì quel ticchettio ritmato di passi varcare il portone della taverna, salire lentamente le scale e fermarsi dinnanzi alla porta del suo antro ora, nuovamente, buio.

Un ometto candido, con piedi piccoli entro scarpini lucidi e mani minuscole ben curate entrò senza bussare, portando su un vassoio una lepre macerata nell’olio d’alloro e cotta nel vino.

Il messo del Cardinale!

Stefano Maderno s’accigliò, divorò la lepre e l’olio d’alloro gli rigò il mento.

“Se il Cardinal Pitocco mi pasce come un bue, vorrà pur ben che gli renda un qualche servizio!”.

“Presto, presto, è stato ritrovato, il corpo della santa, ancora intatto. Il Cardinale ordina che il suo scultore si rechi immantinente in Trastevere”. Sussurrò in un fiato l’ometto.

Nel pulirsi i denti con la lingua, Stefano Maderno sentì un lontano sommessissimo lamento, come un pianto composto ed armonioso.

“La luscengola? Devo averla vista nel delirio della fame …”.

L’omino argenteo ticchettò col piede in terra, e su, su, s’ha da far presto, lesto, lesto, Sua Eminenza attende.

In chiesa il corpo selenico d’una giovane, le braccia e le gambe compostamente abbandonate, come se dormisse, stava disteso sotto l’altare maggiore, coperto d’una morbida tunica bianca.

Nella nebbia mattutina, il primo raggio di sole che filtrò dalla vetrata si specchiò in quel chiarore diafano. La giovane aveva il capo timidamente volto all’indietro.

Il pallido collo scoperto, offerto alla vista del Maderno, era orribilmente deturpato da uno squarcio profondo nella carne, che pareva ancora tutta palpitare.

Dopo quattordici secoli il corpo di Cecilia era intatto.

Lev M. LOEWENTHAL  Lugano 28 marzo 2021

NOTE

1 Cecia = scaldino da letto. Questo, come altri termini in ce- / -lia anticipano il nome Cecilia. Santa Cecilia è la patrona della musica e, secondo la leggenda, sarebbe l’inventrice dell’organo.
2 La luscengola, rettile sottile e provvisto di arti rudimentali, ricoperto di squame dure e lucenti è noto anche col nome latino di cecilia.
3 Cecilia, nobile fanciulla romana, del II sec. d. C. convertì al cristianesimo il suo promesso sposo. I due, scoperti, vennero condannati a morte, l’uno per decapitazione, l’altra per soffocamento. Ma la giovane non morì e l’imperatore allora ordinò che le fosse tagliata la testa: venne colpita tre volte. Spirò dopo tre giorni d’agonia, durante i quali dettò le sue ultime volontà. Venne riesumata nel 1599. Stefano Maderno ne riprodusse il corpo delle stesse dimensioni e nella stessa posa in cui fu rinvenuto, intatto, e il rilievo venne collocato in una nicchia di marmo nero sotto l’altare maggiore. La Santa Cecilia rappresentò un fortunatissimo caso isolato nella produzione classicheggiante del Maderno.